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Monday, January 05, 2009

Una tregua per che cosa? Hamas va annientata

La mossa lungimirante di Sharon

E' appena iniziato l'anno e già ci si deve vergognare di essere europei. Sto parlando della reazione dell'Ue all'offensiva israeliana contro Hamas. L'equidistanza enunciata dalla presidenza di turno francese va a braccetto con la palese impotenza europea. Diverse sono state le posizioni espresse singolarmente da Germania, Italia e Paesi dell'Europa orientale, con in testa la Repubblica Ceca, a favore del diritto di Israele a difendersi. Anche se, forse sorpresi dagli eventi, i governi di Berlino, Roma e Praga non hanno saputo muoversi per influenzare la posizione dell'Ue.

Per lo meno - pur condannando l'offensiva di terra israeliana, messa sullo stesso piano delle azioni terroristiche di Hamas - Sarkozy si è visto costretto a riconoscere, solo oggi, che «decidendo di rompere la tregua e di riprendere il lancio dei missili, Hamas si è assunta una pesante responsabilità nella sofferenza dei palestinesi a Gaza». Sarkozy mi ha comunque deluso: se in passato, sulla questione dell'atomica iraniana, aveva dimostrato fermezza, in questa circostanza, che vede Teheran non meno coinvolta, ha rivelato preoccupanti riflessi chiracchiani.

Si presta a interpretazioni maliziose il silenzio del presidente-eletto Obama, che però rimane istituzionalmente ineccepibile. Tra l'altro, qualsiasi politica intenda perseguire in Medio Oriente, non sarebbe furbo da parte sua pronunciare parole inutili su una situazione sulla quale non ha ancora modo di intervenire, e che potrebbero solo "bruciare" le sue future iniziative.

Per quanto riguarda il governo italiano, il ministro Frattini si è espresso con parole simili a quelle usate dall'amministrazione Usa, distinguendosi dalla posizione francese: ha chiesto a Israele di fare il possibile per evitare vittime civili, comunque ribadendo il suo diritto a difendersi dai missili e sottolineando che i palestinesi sono «le vere vittime di Hamas, che tiene in ostaggio la Striscia di Gaza».

Malissimo l'opposizione. Abbiamo scoperto che non solo sulla scuola e l'università, sulle riforme, sulla giustizia, la linea del Pd non è diversa da quella conservatrice, statalista e giustizialista dell'Unione prodiana. Ora anche in politica estera sappiamo che Veltroni non si è spostato di un millimetro dall'atteggiamento del vecchio centrosinistra, pregiudizialmente ostile nei confronti di Israele. Si è appiattito piuttosto sulle posizioni di D'Alema: con i terroristi si tratta. Poi forse qualcuno ci spiegherà perché bisogna passeggiare a braccetto con Hezbollah, trattare con Hamas e non, per esempio, con la camorra. La vittoria elettorale nel gennaio 2006 non rende Hamas un interlocutore, né tanto meno un'organizzazione democratica. Anche Hitler vinse le elezioni.

E' emblematico che l'Europa - e i media - abbiano per oltre un mese e mezzo ignorato i segnali che indicavano le intenzioni minacciose di Hamas, e che rendevano sempre più inevitabile e prevedibile la durissima reazione israeliana. Solo dopo l'avvio dell'offensiva israeliana l'attenzione dei media, e dei governi europei, è tornata sul Medio Oriente. Guarda caso non dopo che Hamas ha dapprima violato la tregua (il 6 novembre), e l'ha poi ufficialmente dichiarata finita (il 19 dicembre), quando forse qualcosa poteva ancora essere fatto per evitare l'escalation.

Dal 6 novembre ad oggi infatti sono piovuti più di 500 razzi da Gaza sulle città israeliane di Ashkelon e Sderot. Ma soprattutto il 20 novembre Hamas faceva saltare il tavolo delle trattative con Al Fatah faticosamente mediato dall'Egitto. Segnale inequivocabile di ciò che si preparava. Eppure, l'Ue non ha mosso un dito, né proferito parola. Il 19 dicembre passava quasi sotto silenzio anche l'annuncio unilaterale della fine della tregua da parte di Hamas. Da quel momento 200 razzi sono piovuti sul territorio israeliano e tutti sapevano che la reazione di Tel Aviv sarebbe stata inevitabile e particolarmente dura.

Bisogna una volta per tutte accettare che Hamas non aderirà mai allo schema "pace in cambio di territori", perché non è la questione palestinese il suo scopo, ma la distruzione di Israele e lo sterminio degli ebrei, com'è scritto a chiare lettere nel suo statuto. L'Ue sa solo chiedere «tregue», non si sa bene finalizzate a che cosa, se si prende in considerazione l'innegabile natura jihadista e neonazista di Hamas. L'errore concettuale dell'Europa sta nel ritenere che qualsiasi movimento emerga dall'estremismo palestinese abbia un carattere prevalentemente "nazionalista" e possa quindi divenire, prima o poi, un interlocutore affidabile e pragmatico. Le analisi europee prescindono dalle due realtà della partita iraniana e del jihad globale, che hanno mutato per sempre la cornice in cui si inserisce la questione palestinese.

Non ci si vuole rendere conto, anzi, che di fatto la questione palestinese è chiusa. I palestinesi hanno un loro stato, indipendente "de facto". Certo, il processo di pace non è ancora concluso e l'Anp continuerà a trattare con Tel Aviv ulteriori concessioni, territoriali e non, ma dopo il ritiro unilaterale di Israele da Gaza e Cisgiordania una terra ce l'hanno. Il fatto che i palestinesi non siano in grado di autogovernarsi e che siano in balìa di potenti gruppi terroristici, come Hamas e Hezbollah, manovrati da potenze straniere che perseguono ambizioni egemoniche, non riguarda i loro rapporti con Israele. E' un altro problema: regionale.

Hamas deve essere annientata e tutti gli sforzi diplomatici in questo momento hanno senso se finalizzati ad un unico scopo: non l'ennesima, inutile, tregua, ma preparare il terreno per il ritorno della Striscia di Gaza, una volta bonificata dall'esercito israeliano, sotto l'Autorità nazionale palestinese.

Come giorni fa ha sottolineato Piero Ostellino sul Corriere, «con la decisione di ritirare le truppe israeliane da Gaza, Ariel Sharon aveva offerto ai palestinesi un'opportunità», cioè che «le fazioni nelle quali il movimento era diviso abbandonassero la lotta armata, si unificassero sotto Al Fatah e partecipassero al processo di pace con Israele».

E' accaduto il contrario: è scoppiata una sorta di guerra civile tra i palestinesi. Continuo a ritenere che, seppure non priva di aspetti negativi, la decisione di Sharon fosse lungimirante. Non si aspettava certo che consegnando Gaza ai palestinesi avesse in cambio pace e riconoscenza, ma il ritiro ha contribuito ad un chiarimento necessario nella regione e non privo di sviluppi importanti. La spaccatura tra i movimenti palestinesi ha reso evidente agli occhi degli arabi e del mondo intero quali di essi si battono ancora per la causa "nazionale" palestinese e quali, invece, animati dal fanatismo dell'integralismo islamico, sono al soldo dei disegni egemonici iraniani.

Al contrario di gran parte dell'Europa, Egitto, Giordania e Arabia Saudita hanno recepito la portata chiarificatrice della mossa di Sharon e si sono rinsaldati contro l'Iran e le sue propaggini terroristiche. Nella Striscia di Gaza abbandonata dagli israeliani e occupata da Hamas hanno potuto vedere all'opera le trame di Teheran, sovversive degli equilibri di potere in Medio Oriente. Hanno capito che esattamente come la bomba atomica, anche Hamas e Hezbollah sono parte della strategia iraniana.

Dietro la tradizionale propaganda anti-israeliana e le consuete proteste di piazza, il presidente egiziano Mubarak, i re di Giordania e Arabia Saudita, il presidente dell'Anp Abu Mazen, temono più di ogni altra cosa che il virus jihadista infetti i loro paesi arrivando a rovesciare i loro regimi e sono contenti che Israele faccia il "lavoro sporco", contrastando i piani egemonici iraniani sull'intero Medio Oriente.

La crisi di questi giorni conferma che Hamas non ha nulla a che fare con la causa palestinese (anzi, la danneggia); e che ha scelto un territorio allo sbando come base da cui condurre la sua jihad per sterminare gli ebrei e abbattere i governi arabi "traditori". La guerra tra Israele e Hamas, come quella tra Israele e Hezbollah, non è l'ennesima recrudescenza del conflitto tra israeliani e palestinesi, fa parte di un altro conflitto, di portata più vasta e potenzialmente più disastrosa: quello finora a distanza tra l'Iran (e la Siria?) da una parte e Israele (e l'Occidente) dall'altra.

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