E' grottesco invocare una "tregua" quando si è arrivati a questa guerra proprio perché il 18 dicembre scorso Hamas ha unilateralmente dichiarato finita la tregua esistente, e perché sono fallite tutte le trattative per una nuova tregua in cui si erano impegnati egiziani e israeliani tra la metà di dicembre e l'inizio dell'offensiva. In quelle due settimane, quando forse si poteva evitare l'escalation, l'Ue non ha mosso un dito, né proferito parola, dimostrandosi ancora una volta impotente e disinteressata.
Le tardive prese di posizione dei governi europei, in ordine sparso e come se l'unico intento fosse quello di farsi vedere impegnati per la "pace" dalle loro opinioni pubbliche, restituiscono l'immagine di un'Europa ancora disunita. Il più svelto a rubare la scena è stato il presidente francese Sarkozy, impegnato a far credere che è la Francia a condurre la politica estera europea. In effetti, è riuscito a offuscare la presidenza ufficiale dell'Ue, di turno della Repubblica Ceca. Importanti governi, tra cui quello italiano, si sono fatti cogliere impreparati e scontano quindi una deplorevole irrilevanza in questa crisi.
Essendo la guerra scaturita dal fallimento di una tregua, è ovvio che una nuova tregua sarà tanto più possibile quanto più l'esercito israeliano riuscirà a infliggere ad Hamas perdite tali da renderla desiderabile.
In queste ore è oggetto di trattative un piano franco-egiziano. Il fatto che manchi la firma di Hamas, che detiene il controllo di Gaza, basterebbe di per sé a rendere ridicola la soddisfazione espressa ieri dal presidente francese per le aperture da parte di Israele e Anp. I dettagli non sono ancora noti, ma per essere accettata una nuova tregua dovrà garantire a Israele che non ci siano più lanci di missili contro i suoi territori. Ciò sarebbe possibile solo con lo schieramento di una forza d'interposizione nella Striscia di Gaza (come l'Unifil-2 in Libano) e un embargo efficace, di cui soprattutto l'Egitto dovrebbe farsi garante, che impedisca l'arrivo degli aiuti iraniani via mare e il traffico di armi attraverso i tunnel sotterranei scavati lungo i confini egiziani. Ma è proprio l'embargo la causa della rottura di Hamas.
La via delle tregue è lastricata di fallimenti. Per ottenerne una delle tante, l'Ue, con il consenso americano, non volle che Hamas fosse esclusa dalle elezioni politiche del gennaio 2006, come invece proponeva Ariel Sharon, in quanto si rifiutava di riconoscere gli accordi di Oslo e l'esistenza di Israele.
L'errore concettuale dell'Europa sta nel ritenere che qualsiasi movimento palestinese abbia un carattere prevalentemente "nazionalista" e possa quindi divenire, prima o poi, un interlocutore affidabile e pragmatico. Le analisi europee prescindono da due realtà inconfutabili: la partita che l'Iran sta giocando sull'intera regione e il network globale della jihad, di cui Hamas fa parte. Due fatti che hanno mutato per sempre la cornice in cui si inserisce la questione palestinese.
La guerra di Israele contro Hamas, come quella contro Hezbollah nell'estate del 2006, non è l'ennesima recrudescenza del conflitto tra israeliani e palestinesi. Fa parte di un altro conflitto, di portata più vasta e potenzialmente più distruttiva: quello finora a distanza tra l'Iran (e la Siria?) da una parte e Israele (e l'Occidente) dall'altra. E' falso che la stabilità della regione dipenda dalla risoluzione del conflitto israelo-palestinese. E' vero piuttosto il contrario: il completamento del processo di pace è ostaggio delle mire iraniane.
Hamas non aderirà mai allo schema "pace in cambio di territori", perché non è la questione palestinese il suo scopo, ma la distruzione di Israele e lo sterminio degli ebrei, com'è scritto a chiare lettere nel suo statuto. Sharon non si aspettava che consegnando Gaza ai palestinesi avesse in cambio pace e riconoscenza, ma il ritiro unilaterale ha contribuito ad un chiarimento. La spaccatura tra i movimenti palestinesi ha reso evidente agli occhi degli arabi e del mondo intero quali di essi si battono per la causa "nazionale" palestinese e quali, invece, animati dall'integralismo islamico, sono al soldo dei disegni egemonici iraniani.
Se si ignorano questi fatti, e l'innegabile natura jihadista e neonazista dei piani di Teheran e delle sue propaggini, ogni iniziativa diplomatica rischia di rivelarsi patetica. Tutti gli sforzi, militari e politici, in questo momento hanno senso se finalizzati ad un unico scopo: preparare il ritorno della Striscia di Gaza sotto l'Anp, per sottrarre la questione palestinese alle strumentalizzazioni iraniane. E' corretto quindi l'approccio del ministro degli Esteri Frattini: «Il problema è Hamas. Vogliamo che Gaza torni sotto il controllo dell'Anp».
1 comment:
bellissimo sito e anche molto informativo.
è bello vedere che c'è ancora qualcosa di libertario nei radicli ti aggiungo al mio blog tra i link,
saluti da un anarchico liberale
domenico
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