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Tuesday, January 13, 2009

La "grande rimozione". Senza Iran e jihad non si può capire il Medio Oriente

Ripetutamente e instancabilmente su questo blog mi sono sforzato di sottolineare come in Italia, e in Europa, prevalgano nel dibattito pubblico letture datate della guerra nella Striscia di Gaza, come di quella in Libano due anni fa: qualsiasi cosa accada in Medio Oriente viene sistematicamente interpretata secondo i vecchi - e immutabili, pare - schemi della questione "nazionale" palestinese, nonostante, come scrivevo alcuni giorni fa, due fatti - ormai neanche troppo nuovi, ma risalenti agli anni '90 - hanno mutato per sempre la cornice in cui si inserisce. Nelle analisi dei politici di sinistra e degli opinionisti che ascoltiamo in tv o alla radio non compaiono quasi mai le due parole Iran e jihad, che evocano problematiche senza le quali non si possono comprendere le dinamiche che oggi muovono la politica mediorientale.

Israele sta combattendo una guerra diversa e tra i pochissimi a dirlo in modo esplicito è stato, ieri sul Corriere, Angelo Panebianco, che ha parlato di un «conflitto nuovo».

Purtroppo, però, in pochi si rendono conto della nuova realtà del conflitto. Ne è la prova, scrive Panebianco, l'assenza dai discorsi dei politici (di D'Alema, per esempio), da molte cronache e analisi giornalistiche, proprio delle parole «Iran» e «jihad». «Chiunque abbia, se non altro per ragioni anagrafiche, un passato, è portato a leggere i conflitti di oggi alla luce degli schemi mentali di ieri...», gli stessi schemi che spiegano gli «atteggiamenti europei verso il conflitto israeliano-palestinese», pregiudizialmente ostili nei confronti di Israele. «Il passato pesa sul presente ed è comprensibile che riflessi automatici portino ancora oggi tanti a leggere l'attuale scontro a Gaza con le categorie del passato. Ma è singolare che ciò avvenga al prezzo di una grande rimozione. Sono due i fatti nuovi che hanno determinato un cambiamento qualitativo del conflitto israeliano-palestinese e che tanti sembrano voler rimuovere»: la partita che l'Iran sta giocando sull'intera regione e la jihad globale, appunto.

Panebianco non ha usato a caso l'espressione «tanti sembrano voler rimuovere». Questo difetto di comprensione in alcuni casi infatti si trasforma in furbizia politica. E' il caso di chi - come D'Alema, e come molti politici e giornalisti di sinistra - pur avendo tutti gli strumenti conoscitivi per riformare le loro vedute, si aggrappano alle categorie del passato senza le quali si ritroverebbero privi di una parte in commedia.

Segni di rimozione appaiono anche da parte della Chiesa cattolica. Ma su questo argomento è stato Ernesto Galli Della Loggia, nel suo editoriale di domenica scorsa sul Corriere, a fare non opinione ma notizia, fornendo fondamentali, ma spesso dimenticati, cenni storici: dall'appiattimento del Vaticano sul «fronte del rifiuto» arabo-islamico fino a quel vescovo cattolico «sorpreso a trasportare armi nel bagagliaio della propria auto per conto delle organizzazioni armate palestinesi».

Ma l'atteggiamento della Chiesa nel conflitto arabo-israeliano, osserva Galli Della Loggia, va oltre i suoi rapporti con l'Ebraismo, riguarda, e serve ad approfondire, il problema del «pacifismo impossibile», quel «rifiuto/denuncia della guerra, virtualmente di ogni guerra», che finisce inevitabilmente per rivelarsi falso. La Chiesa infatti non rappresenta un'eccezione nel panorama di quelle forze politiche e sociali il cui pacifismo mostra un «carattere quasi sempre non neutrale». Il problema è che un «pacifismo coerente dovrebbe indurre non solo ad essere contro la guerra, ma a denunciare di continuo con eguale forza anche ogni manifestazione di conflittualità, di qualunque tipo o misura, che spesso costituisce la premessa obbligata del successivo scoppio delle ostilità vere e proprie. È dunque lecito chiedersi: la Santa Sede che è contro le odierne operazioni belliche di Israele, lo è stata allo stesso modo, con la stessa nettezza, lo stesso tono e soprattutto con la medesima pubblicità, nei confronti per esempio della politica estera di Siria e Iran? O di tante quotidiane manifestazioni violentissime del fronte palestinese? Ognuno può rispondere da sé».

Giungendo quindi al nocciolo del problema del «pacifismo impossibile», Galli Della Loggia conclude che «una vera politica pacifista è in realtà impossibile per qualunque organizzazione vasta e complessa, tutrice di vari e molteplici interessi, perché, intesa coerentemente, essa implicherebbe la rinuncia di fatto a svolgere un qualunque vero ruolo politico... per limitarsi, viceversa, ad un ruolo di esclusiva testimonianza morale». E chi si accontenta o chi, anche con le migliori intenzioni, si abbandona ingenuamente alla testimonianza morale, rischia di divenire spettatore passivo dei crimini peggiori. Proprio la Chiesa cattolica dovrebbe saperne qualcosa.

1 comment:

Anonymous said...

Eppure proprio alla Chiesa si imputa, rispetto alla Shoah, la rinuncia a una testimonianza morale manifestata con pronunciamenti pubblici. Le si imputa cioè la scelta di avere operato concretamente e segretamente a scapito della potente testimonianza morale pubblica. Insomma, cari anticlericali, decidetevi una buona volta.