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Tuesday, January 27, 2009

Meglio quattro pecorelle nere che il popolo ebraico?

Ratzinger preferisce quattro pecorelle nere all'intero popolo ebraico. Recuperare quelle pecorelle smarrite - davvero poche, quasi insignificanti - del proprio pascolo, anche se ciò dovesse provocare anni, forse decenni, di incomprensioni e diffidenze tra mondo cattolico e mondo ebraico. E lo fa nel momento peggiore che potesse scegliere, alla vigilia della Giornata della Memoria. Mentre una delle pecorelle ripaga la misericordia del Pontefice manifestando tutto il loro odio negazionista («neppure un ebreo è stato ucciso nelle camere a gas»).

Ma a questo punto, se fino ad oggi il Pontificato di Ratzinger è stato costellato di incidenti con il mondo ebraico, e se finora si è posto in totale linea di continuità con la tradizionale posizione di ostilità della Chiesa nei confronti dello stato di Israele (come abbiamo visto con la pericolosa e ambigua equidistanza rispetto ai due contendenti nell'ultima guerra a Gaza), è lecito sospettare che non sia un caso. Quando il cardinale Martino ha paragonato Gaza a un «campo di concentramento» ha allo stesso tempo banalizzato l'Olocausto, declassando la politica di sterminio nazista quasi a livello degli effetti collaterali di un conflitto, e negato a Israele il diritto di difendersi, cioè di esistere. In breve, sono suonate negazioniste e nazistoidi anche le parole di Martino.

C'è, evidentemente, come minimo, a voler pensare in positivo, insensibilità, disinteresse a coltivare buoni rapporti con i «fratelli maggiori» e a migliorarli. Certo, la Cei e l'Osservatore Romano si dissociano dalle parole del vescovo lefebvriano, le condannano, ma resta un fatto: la Chiesa tollera qualcosa di intollerabile. E il Papa, per ora, non ha neanche ritenuto opportuno di intervenire di persona e pubblicamente per richiamare il vescovo.

Ma non si tratta di entrare nel merito di scelte dottrinarie, come il "perdono" dei lefebvriani, anche se non si possono prendere alla leggera le loro tendenze antisemite. Il problema è che non si tratta delle opinioni personali di un fedele confuso, ma dell'ideologia negazionista di un vescovo, un esponente tra i più alti in grado nella gerarchia ecclesiastica. E non c'entra il suo essere lefebvriano. Sarebbe stato ugualmente grave se non lo fosse stato. Il Papa deve decidere se un antisemita può essere vescovo; se, cioè, l'antisemitismo non solo abbia diritto di cittadinanza nella Chiesa, ma sia rappresentato ai suoi vertici massimi. Di questo si tratta.

Come ha in modo perfetto e lampante spiegato Pierluigi Battista, oggi sul Corriere, il negazionismo sulla Shoah «non è un'opinione personale», una «disputa storiografica» legata a una «controversa pagina della storia». Il negazionismo è uno tra gli elementi principali di un'ideologia purtroppo ancora esistente e minacciosa, soprattutto in Medio Oriente ma, cosa ancor più grave, anche, di nuovo, in Europa.
«Ricollocato e rivitalizzato negli schemi di una jihad globale che vuole ripulire il mondo dall'impurità ebraica, il negazionismo vecchio stampo riacquista un significato e un'eco sconosciuti nell'infetto recinto neonazista in cui era confinato».
Da questa triste storia dovrebbero trarre qualche conseguenza coloro che - in compagnia di Giuliano Ferrara - si sono illusi che la Chiesa cattolica intendesse prendere «una sua posizione politica di validità generale, se non universale... sui conflitti di civiltà a sfondo religioso che dilaniano il mondo». E la prendesse schierandosi a difesa della democrazia contro la tirannia fondamentalista, in nome di una civiltà occidentale dalle radici giudaico-cristiane. «Con Israele e con gli ebrei la questione non si può risolvere sul filo delle acrobazie, nemmeno di quelle pie concepite per il bene della causa superiore», scriveva non molto tempo fa lo stesso Ferrara.

Caro direttore, si può ancora spiegare questa incredibile serie di incidenti con «potenti gaffe curiali», con «l'incompetenza di chi consiglia il Papa»? Chi sta davvero distruggendo «la connessione tra ellenismo, giudaismo e cristianesimo», o quanto meno se ne sta rendendo complice per miopia politica e dottrinaria?

Se oggi, con la tolleranza del Papa, un vescovo cattolico e il presidente iraniano Ahmadinejad possono essere accomunati per il loro negazionismo, forse è ora che Ferrara riveda la sua lettura degli ultimi anni (o per lo meno eserciti il dubbio su di essa) di una Chiesa baluardo della civiltà occidentale, aperta e democratica, che si fonda sulle radici giudaico-cristiane. Della parte giudaica di quelle radici la Santa Sede sembra fottersene. Come scrivevo qualche giorno fa, la decisione non è stata ancora presa. La Chiesa cattolica non ha ancora deciso quale nemico combattere: se schierarsi in difesa della civiltà occidentale e di ciò che rappresenta (liberalismo e relativismo compresi) - il che implica stringere un'alleanza solida con la parte giudaica delle sue radici - e contro il fondamentalismo islamico e le sue tirannie; o se invece trovare forme di convivenza non conflittuali con quel fondamentalismo per combattere il liberalismo come degenerazione (e non prodotto) della nostra civiltà. Alcuni segnali fanno purtroppo temere che possa essere presa la decisione peggiore.

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