«Nonostante i suoi continui omaggi al multilateralismo, Obama è stato fin qui altrettanto "unilateralista" del suo predecessore Bush. Ha pensato che i vecchi alleati democratici fossero solo un ingombro, non un punto di forza» per l'America. Con la differenza che nonostante il suo "unilateralismo", Bush di amici sinceri in Europa ne aveva molti, anche se non a Parigi, Berlino e Bruxelles.
Perso nella sua visione irenica, inebriato dall'esaltazione che da subito ha avuto intorno, santificato ancor prima di fare miracoli, si è illuso che bastasse la potenza evocativa della sua elezione, il suo ampio sorriso e una mano tesa, come dopo una partita di baseball, non solo per risolvere i motivi di tensione con avversari e nemici degli Usa, ma persino per costituire un nuovo ordine mondiale in cui risultassero annullate le differenze tra sistemi politici diversi tra di loro. Dunque, mentre vagheggiava di stabilire un rapporto privilegiato con la Cina, di "resettare" i rapporti con la Russia, di risolvere con le buone la questione nucleare con Teheran, Obama ha allentato il legame transatlantico, ha inquietato le altre democrazie alleate dell'America nel mondo, soprattutto nel sudest asiatico.
Panebianco cita Robert Kagan, che in un recente articolo ha criticato la visione di Obama, «che, volendo liquidare l'eredità wilsoniana (la tradizione di interventismo democratico che si fa risalire al presidente Woodrow Wilson) in tutte le varianti, assume l'alleanza e il rapporto privilegiato con le democrazie (europee, ma non solo) come non più vitale per gli interessi dell'America». Obama invece ha cercato intese "realistiche", dimostratesi irrealistiche, «con chiunque (persino all'Iran è stata tesa la mano, ed è stata ritirata solo perché gli iraniani l'hanno morsa) sulla base dell'irenico, e sbagliato, presupposto che sia sempre possibile mettersi d'accordo, trovare comunque una convergenza su interessi comuni. Gli esiti non sono stati fin qui brillanti».
E dimostrano che la natura dei regimi è un fattore imprescindibile di cui tenere conto nelle relazioni tra gli stati, che pesa in modo decisivo sulle possibilità di trovare quella convergenza di interessi, e persino un equilibrio per una coesistenza pacifica. La lezione che americani ed europei dovrebbero trarre da questo primo anno dell'"era" Obama è che per raggiungere certi obiettivi - diciamo di fondo e di lungo periodo - devono ricominciare a muoversi sulla scena mondiale come comunità, una comunità di democrazie.
Ci affidiamo quindi alla conclusione di Panebianco:
«La grande forza dell'America, dopo la seconda guerra mondiale, è sempre consistita nel fatto che, pur trattando e negoziando con le tirannie, essa non perdeva di vista l'importanza del suo rapporto privilegiato con le altre democrazie, europee in primo luogo. L'Amministrazione Obama sembra non averlo capito. Per giunta, e nonostante le tante magagne dell'Europa, quale altro vero alleato l'America potrebbe mai trovare per contrastare la minaccia del terrorismo islamico?... Forse il declino della potenza americana è inarrestabile, come molti ritengono, a causa del deterioramento della forza economica che la sosteneva e dell'emergere di altre potenze. Forse, come pensano altri, non c'è nulla di già scritto, di predeterminato, in queste faccende. E' però plausibile aspettarsi un'accelerazione del declino se la dirigenza americana penserà di poter fare a meno di quel rapporto con l'Europa che per tanto tempo ha contribuito ad assicurare a noi la libertà e agli Stati Uniti il primato».
1 comment:
Riguardo al rapporto Obama-EU, trovo molto interessante l'analisi fatta da Federico Rampini.
Il punto di vista è decisamente più "USA-centrico". In fin dei conti saranno gli elettori americani a dover giudicare il lavoro di Obama.
Perché Obama fa il cattivo (e i cinesi pure)
http://rampini.blogautore.repubblica.it/2010/02/04/perche-obama-fa-il-cattivo-e-i-cinesi-pure/
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