Ci sarebbe da ridere se la situazione non volgesse al drammatico, ripensando a come media e ministri degli Esteri avevano accolto la settimana scorsa l'ennesima finta «apertura» di Ahmadinejad sul nucleare. Il balletto continua e pochi giorni dopo Teheran ha deciso di assestare il «cazzotto». Ahmadinejad l'aveva preannunciato nei giorni scorsi, e dopo la notifica formale di ieri all'Aiea, ecco l'annuncio ufficiale dell'avvio del processo di arricchimento dell'uranio al 20%, mentre Khamenei nel frattempo torna a minacciare l'Occidente e l'opposizione al regime.
L'Iran dunque rinnova la sua sfida e la comunità internazionale - l'Occidente - a questo punto è di fronte a un test di credibilità. Non procedere in tempi brevi a nuove sanzioni sarebbe un segnale deleterio. Tuttavia, se la Russia sembra ormai disponibile, evidentemente appagata dalla rinuncia Usa allo scudo antimissile in Polonia e Repubblica Ceca, rimane l'ostacolo della Cina. Può essere anche l'irremovibilità cinese sulla questione iraniana ad aver indotto Washington ad alzare la tensione con Pechino nelle ultime settimane. Ma sono proprio curioso di vedere come l'auspicio espresso oggi (sanzioni «entro qualche settimana, non mesi») dal segretario alla Difesa Usa, Robert Gates, possa coniugarsi con il veto cinese.
Teheran potrebbe aver deciso di forzare la situazione vedendo l'Occidente all'angolo, nell'impossibilità di imporre sanzioni efficaci a causa della copertura cinese, e comunque molto lontano persino dal considerare l'opzione militare. Insomma, almeno per ora agli occhi iraniani la minaccia non è credibile e a Teheran devono essersi convinti che una volta avviato l'arricchimento al 20 per cento del loro uranio al 3,5, dai 5+1 arriverà un'offerta migliore per ottenerne la sospensione.
Intanto, Usa e Ue, per la prima volta congiuntamente e così esplicitamente, condannano le violazioni dei diritti umani in Iran. Una nota formale, che suona però come un avvertimento al regime. Le potenze occidentali potrebbero davvero schierarsi attivamente - almeno a parole, ma sarebbe già qualcosa - al fianco degli oppositori. E' vero, la strategia dell'engagement ha reso evidente il fatto che sia l'Iran a non voler collaborare. Ma ora? Dopo mesi di controproposte più simili a provocazioni, segnali contraddittori, aperture e chiusure, sarebbe ora di svegliarsi e di dimostrare a Teheran risolutezza. Un fardello che pesa interamente sulle spalle di Obama, mentre si rafforza il sospetto che alla fine si voglia addossare a Israele l'onere di compiere il lavoro "sporco".
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