Un singolo giudice è forse un potere dello Stato, tale da potersi contrapporre nei suoi atti a una sentenza della Corte costituzionale? Può un giudice, nelle motivazioni di una sua sentenza, criticare nero su bianco il pronunciamento della Consulta al quale si è dovuto attenere per emetterla? E può, nelle motivazioni, emettere una condanna «morale» nei confronti di imputati dichiarati «non perseguibili»? O non sono forse, tutte queste, materie tutt'al più per un articolo, o per un saggio da scrivere separatamente e in un secondo tempo, ma in nessuno modo da introdurre in un atto ufficiale?
Il giudice Oscar Magi, nelle motivazioni della sentenza sul caso Abu Omar, depositate oggi, ci tiene a manifestare tutto il suo dissenso rispetto alla sentenza della Corte costituzionale che, confermando l'esistenza del segreto di Stato, lo ha «costretto» a prosciogliere l'ex direttore del Sismi Pollari e il suo vice Mancini. Non solo la critica apertamente (un «paradosso logico e giuridico di portata assoluta e preoccupante»), ma si dissocia dalla sentenza che ha emesso. Non l'avrebbe scritta, tiene a farci sapere, se avesse potuto seguire la sua coscienza. Ma la soggezione alle leggi del Parlamento è il fulcro dell'indipendenza dei giudici, dice la Costituzione (l'ha ricordato di recente il primo presidente della Cassazione, Vincenzo Carbone), e la vera indipendenza è indipendenza anche "da se stessi".
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