Auguro a tutti i lettori buone feste e un felice anno nuovo. Pausa, e arrivederci al 2010. E che sia più... di questo.Ortisei, Piazza S. Antonio
Adesso che il processo Stasi si è concluso con un'assoluzione, si dirà che non poteva andare altrimenti. In effetti sarebbe così, se non fosse che siamo in Italia, dove è vero che «senza prova certa al di là di ogni ragionevole dubbio» nessuno può essere condannato, ma è anche vero che molte volte, troppe, questo principio rimane sulla carta e accade esattamente il contrario. A causa per lo più della sudditanza dei giudici nei confronti della pubblica accusa. La sola separazione delle funzioni, e non anche delle carriere, tra giudicante e requirente non è sufficiente a garantire la terzietà del giudice.«A questo punto, occorrerà che qualcuno dotato di autorità assuma qualche provvedimento. Non è infatti ammissibile che vi siano consulenti tecnici che si spendano sull'efficacia probatoria di determinate impronte di Dna, e che vengano clamorosamente smentiti da altri periti. Non è ammissibile che si discetti per mesi sulle mancate impronte ritrovate sulle scarpe dell'imputato, e che poi emerga che, forse, la spiegazione poteva essere reperita nella particolare composizione chimica delle suole. Non è, soprattutto, ammissibile che si continui a rifiutare, per mesi, che l'imputato possa essersi trattenuto al computer l'intera mattinata in cui si è consumato l'omicidio, per scoprire poi che egli aveva, effettivamente, lavorato dalle 9.36 alle 12.20 e che le tracce di questi passaggi erano state improvvidamente cancellate. Ne va, diciamolo chiaramente, della stessa credibilità degli uffici pubblici investigativi e peritali ai quali i magistrati della accusa si sono affidati nel corso delle indagini. Ne va, è doveroso soggiungere, della stessa credibilità degli uffici giudiziari interessati».Chi dovrebbe intervenire?
«Un'operazione che implica sia la resa dei conti con il "dipietrismo interno" al Partito democratico sia una ricalibrazione dei rapporti con le forze esterne (certi magistrati, certi giornali, eccetera), che sul dipietrismo interno al Pd hanno sempre fatto leva per condizionarne la politica. Opporsi alla persona di Berlusconi o opporsi alle politiche del governo? La risposta rivela la concezione della lotta politica, nonché il giudizio sullo stato della nostra democrazia, di ciascun singolo oppositore. Da quando c’è Berlusconi le due anime hanno convissuto e, quasi sempre, quella antiberlusconiana pura ha prevalso, essendo stato fin qui l'antiberlusconismo il vero ancoraggio identitario della sinistra».Secondo Panebianco, Bersani «ambirebbe a portare il Pd fuori dall'orbita del massimalismo antiberlusconiano» e a dare al partito «un chiaro profilo riformista», ma si preoccupa anche di «non perdere consensi».
«Poiché il massimalismo antiberlusconiano è ben presente nell'elettorato e fra i militanti del Pd un'operazione che separi nettamente i destini politici degli estremisti da quelli dei riformisti appare, sulla carta, assai rischiosa».Non potrebbe essere spiegato meglio. Ma è qui, conclude Panebianco, che «entra in gioco la questione della leadership». O per lo meno dovrebbe.
«Di Pietro non è un alleato ma un avversario da isolare e i dipietristi interni al partito sappiano che non sarà più tollerato chi tiene il piede in due staffe. A loro volta, le forze esterne che pretendono di condizionarmi sappiano che la linea politica del Pd la detto solo io a nome della maggioranza congressuale che mi ha espresso. Se vogliono opporsi a me e logorarmi si accomodino ma sia chiaro che, così facendo, favoriranno il centrodestra».Sono queste le parole che Panebianco vorrebbe sentir pronunciare da Bersani, ma confesso di nutrire ben poche speranze in proposito. Ha ragione Gianni De Michelis, quando al Corriere dice che «l'unico modo per salvare questo Paese è isolare Di Pietro», suggerendo che se «l'hanno fatto in Francia con Le Pen, che aveva molti più voti, devono farlo anche con lui che non è un soggetto compatibile con lo stato di diritto». Intanto, stiamo per entrare nella campagna per le regionali, quindi dubito che il rasserenamento reggerà dopo la fine delle festività natalizie. Il vero banco di prova sarà dopo le elezioni regionali. A quel punto, se dovesse trovarsi di fronte all'ennesima debàcle, il Pd potrebbe trovare la forza per dialogare sulle riforme e/o per rompere con Di Pietro, ma non c'è da illudersi troppo.
L'aggressione di ieri a Berlusconi è l'ulteriore dimostrazione - ma chi se ne è già accorto non aveva bisogno di conferme e chi si ostina a non riconoscerlo non c'è speranza che lo faccia ora - che in Italia l'unica istituzione "a rischio", cui spesso le altre istituzioni e i partiti di opposizione mancano di «rispetto» (lo stesso che Fini invoca ad ogni occasione per bacchettare il premier), è quella del governo nella figura e nella persona del presidente del Consiglio. Se infatti l'aggressore è risultato uno squilibrato che ha agito presumibilmente in solitudine, tuttavia per sua stessa ammissione è stato mosso da un'ostilità politica e non si può certo ritenere una casualità il fatto che abbia deciso di agire ieri sera, al termine cioè di due settimane in cui il clima di demonizzazione - per mezzo stampa, tv e procure - nei confronti di Berlusconi ha raggiunto forse i livelli più alti di questi ultimi quindici anni.«Dobbiamo iniziare col riconoscere la dura verità: non estirperemo la piaga dei conflitti nell'arco della nostra vita. Ci saranno momenti in cui le nazioni, agendo individualmente o di concerto, riterranno che l'utilizzo della forza non è solo necessario, ma anche moralmente giustificato... So che non c'è nulla di debole, nulla di passivo, nulla di naive, nel credo e nella vita di Gandhi e di King. Ma come capo di stato, avendo giurato di proteggere e difendere la mia nazione, non posso farmi guidare solo dal loro esempio. Devo affrontare il mondo così com'è, e non posso stare immobile davanti a tutto quanto minaccia il popolo americano. Perché non dobbiamo illuderci: il male nel mondo esiste. Un movimento non violento non avrebbe potuto fermare le armi di Hitler. I negoziati non possono convincere i capi di al Qaida a deporre le armi. Dire che la forza a volte può essere necessaria non significa essere cinici; significa comprendere la storia, le imperfezioni dell'uomo e i limiti della ragione...»Forse per la prima volta, così esplicitamente, Obama si è detto «fiero dell'eredità» ideale e morale del suo Paese e delle sue scelte, anche delle guerre che ha combattuto, e ha rigettato il «sospetto» che grava sull'America:
«Il mondo deve ricordare che non sono stati le sole istituzioni internazionali, i trattati e le dichiarazioni a portare stabilità nel mondo dopo la Seconda guerra mondiale. Nonostante tutti gli errori commessi, i fatti, puri e semplici, sono questi: gli Stati Uniti d'America da oltre sessant'anni contribuiscono a sostenere la sicurezza mondiale con il sangue dei loro cittadini e la forza delle loro armi. Lo spirito di servizio e di sacrificio dei nostri uomini e delle nostre donne in uniforme ha promosso la pace e la prosperità dalla Germania alla Corea e ha permesso che la democrazia prendesse piede in luoghi come i Balcani. Ci siamo accollati quest'onere non perché vogliamo imporre la nostra volontà. L'abbiamo fatto in nome di un nostro interesse illuminato, perché desideriamo un futuro migliore per i nostri figli e nipoti, e perché crediamo che le loro vite saranno migliori se i figli e i nipoti degli altri potranno vivere in libertà e prosperità. E allora sì, gli strumenti della guerra hanno un loro ruolo nel mantenere la pace.Nel tentativo di superare l'antitesi realisti vs. idealisti, Obama sembra da una parte tendere verso l'idealismo...
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Parte della nostra sfida quindi è conciliare queste due verità apparentemente inconciliabili: che la guerra è talvolta necessaria e che la guerra è, a un qualche livello, espressione della follia umana. Concretamente, dobbiamo dirigere i nostri sforzi a compiere quanto ci chiese tempo fa il presidente Kennedy. "Concentriamoci su di una pace più pratica, più raggiungibile, fondata non su un'improvvisa rivoluzione della natura umana, ma su un'evoluzione graduale delle istituzioni umane".
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Capisco che la guerra non è popolare, ma so anche questo; la convinzione che la pace è desiderabile raramente basta a raggiungerla. La pace richiede responsabilità. La pace chiede sacrifici. Ecco perché la Nato continua a essere indispensabile.
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La pace non è solo l'assenza di un conflitto visibile. Solo una pace giusta, basata sui diritti innati e la dignità per ogni individuo, può essere veramente duratura».
«Ritengo che la pace sia instabile ovunque sia negato ai cittadini il diritto di esprimersi liberamente o pregare come credono, di scegliere i propri leader o di riunirsi senza timore... L'America non ha mai combattuto una guerra contro una democrazia, e i nostri alleati più vicini sono quei governi che tutelano i diritti dei loro cittadini».... ma poi arriva il colpo alla botte:
«Lasciatemi anche dire che la promozione dei diritti umani non si può limitare alle sole esortazioni. A volte deve procedere a fianco di una diplomazia laboriosa. So che dialogare con regimi repressivi equivale a fare a meno della purezza appagante dell'indignazione. Ma so anche che le sanzioni senza l'offerta di dialogo - la condanna senza la discussione - possono riportare soltanto a un rovinoso status quo. Nessun regime repressivo può imboccare una strada differente a meno che non abbia la possibilità di scegliere una porta che gli si apre davanti».
Chissà se tra qualche anno il caso di Amanda Knox ce lo ritroveremo sul grande schermo in uno di quei film angoscianti in cui cittadini americani innocenti vengono perseguitati da sistemi giudiziari kafkiani, nella migliore delle ipotesi, in Paesi come la Malaysia o l'Iran. Ebbene, non mi stupirei se un giorno Amanda Knox fosse la protagonista di un film del genere ambientato in Italia. Neanche uno sceneggiatore dei più geniali infatti avrebbe potuto concentrare in un unico processo, come quello di Perugia, e in una così vivida rappresentazione, tutti - ma proprio tutti - i vizi e i difetti del sistema giudiziario italiano: approssimazione e dilettantismo nella raccolta delle prove; fughe di notizie alla stampa; character assassination dell'imputato; sessuofobia; giudici succubi della pubblica accusa a causa di carriere non separate. Un processo che mi ha fatto vergognare di essere italiano. Qui non c'entra essere convinti o meno dell'innocenza degli imputati, ma ribellarsi di fronte a una condanna di chicchessia senza prove.
Alla fine, dopo tre mesi di seminari e tentennamenti, Obama ha preso la decisione giusta. Non è stato un discorso esaltante, ma quel che conta, come ha osservato Peter Wehner, è che ha dato a McChrystal i soldati (30 mila americani, più 5 mila dagli alleati) e la strategia (di contro-insurrezione) di cui ha bisogno per vincere. Tre quarti di quelli richiesti ad agosto dal generale, di conseguenza il discorso non poteva che essere buono per tre quarti, fa notare Max Boot. Ma l'importante, oltre ai numeri, è che sia stata respinta l'opzione Biden di un impegno limitato a combattere al Qaeda, disinteressandosi dei talebani e dell'assetto dell'Afghanistan. Al contrario, la strategia scelta si pone l'obiettivo più ambizioso: sconfiggere al Qaeda, fermare l'avanzata talebana, addestrare le forze di sicurezza afghane, rendere sicuri i centri abitati ed evitare che i talebani tornino al potere. Inoltre, contrariamente alle voci della vigilia, le nuove truppe verranno dispiegate rapidamente, nell'arco di sei mesi.