Con Kerry alla Casa Bianca rimarrebbero le divergenze con l'Europa
Gianni Riotta: «La crisi atlantica non è però frutto di galateo infranto o di stili e umori diversi, il texano cowboy Bush contro l'aplomb aristocratico del presidente Chirac e del suo ministro Galozeau de Villepin. Scaturisce da interessi materiali divergenti, da una opposta lettura della situazione mondiale e questi aculei resteranno, anche con il kennedyano Kerry presidente. Né Kerry né Edwards pensano a ritirarsi dall'Iraq nel 2005. Sono cauti, per non alienare il voto dei pacifisti, ma le loro intenzioni strategiche sono chiarite da un discorso dell'uomo che è assurto a patriarca dei democratici, Bill Clinton. In un magistrale intervento del 12 gennaio, al Forum America-Islam di Doha, Clinton ha chiarito che il dilemma non è più "guerra o no?", è creare "un governo democratico in un Iraq, libero, stabile, indipendente... prospero e ostile ai terroristi... e lo stesso vale per l'Afghanistan". Anche se tornassero i giorni "dell'Ulivo mondiale" gli europei dovranno quindi dare una mano a Bagdad e a Kabul, dove malgrado l'impegno comune e l'egida Onu, l'Ue ancora non mobilita gli elicotteri e le truppe d'èlite promesse al segretario Nato Jaap de Hoop Scheffer. E il piano di difesa europeo Esdp dovrà essere coordinato con la Nato "globale", chiunque sia l'inquilino al 1600 di Pennsylavia Avenue, la Casa Bianca. (...) Lo stress tra Usa e Ue ha radici nell'11 settembre, gli americani che si sentono minacciati dallo status quo, gli europei dalla sua rottura, ma anche da interessi materiali, sui commerci, tariffe, Cina, dollaro debole, euro forte».
Ci vorrebbe proprio un'Organizzazione mondiale delle democrazie: «Il potere benefico del blocco delle democrazie sarebbe straordinario, a patto di prepararlo con serietà, a Washington e Bruxelles». Leggi tutto
Corriere della Sera
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