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Thursday, May 12, 2011

Assad non è Gheddafi. E' peggio

Anche su taccuinopolitico.it

Perché non si può agire con Damasco come con Tripoli ma non per questo bisogna rinunciare a sostenere apertamente il regime change

La domanda sorge spontanea, come avrebbe detto Lubrano: che differenza c'è tra la repressione scatenata da Gheddafi in Libia, che ha provocato l'intervento militare della Nato, e quella scatenata da Assad in Siria, che invece ha avuto come reazione solo le timide sanzioni da parte dell'Ue e degli Usa? Se lo chiedono in molti, e sempre di più, in questi giorni.

Per Frattini la differenza è che «diciamolo francamente, Assad non è Gheddafi» e «la comunità internazionale ritiene che ci sia ancora un piccolissimo margine per aprire ad un programma di riforme». Quando parla il ministro degli Esteri o è una gaffe, oppure, per tenersi "coperto", copia letteralmente le frasi del segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, che però a sua volta non è infallibile. Meglio la seconda ed è questo il caso. Dopo aver definito Mubarak «uno di famiglia» e il suo regime «solido» durante le prime manifestazioni del Cairo, fino ad una settimana fa la Clinton spiegava che «la Siria può ancora varare riforme, nessuno invece credeva che Gheddafi lo avrebbe fatto», e che c'è quindi «un percorso ancora possibile con la Siria, per questo continuiamo insieme ai nostri alleati a fare pressioni». Né il presidente Obama ha mai intimato ad Assad di andarsene, come ha fatto con Mubarak e Gheddafi.

Il presunto "riformismo" degli Assad è un marchio di fabbrica dei Democratici Usa rispetto alla chiusura totale dell'amministrazione Bush nei confronti di Damasco, inserita a suo tempo nell'Asse del Male. Nonostante gli eventi degli ultimi mesi e giorni sembrino dar ragione all'ex presidente, pare che alla Casa Bianca e al Dipartimento di Stato sulla Siria non intendano proprio voler cambiare idea, nell'illusione che battendo sul tasto di un ipotetico "riformismo" siriano si possa alla fine incrinare l'asse tra Damasco e Teheran. Nulla di più improbabile.

Assad non è Gheddafi, su questo Frattini ha ragione, ma non nel senso che intendeva. Assad infatti è molto peggio di Gheddafi, sia per la durezza della repressione, sia per l'influenza geopolitica negativa della Siria sull'intera regione rispetto alla Libia del Colonnello.

La repressione è altrettanto brutale, ma più metodica. Meno ostentata, ma più efficace perché i metodi sono quelli iraniani, sperimentati con successo nel soffocare le manifestazioni del 2009. Anche Assad si avvale di carri armati e cecchini, bombarda le città degli insorti, rastrella casa per casa, tortura i feriti per ottenere le liste degli oppositori. Dall'nizio delle rivolte si calcola che siano stati uccisi dal regime 7-800 siriani, in migliaia imprigionati, di cui di alcune centinaia non si hanno notizie.

Qualcuno penserà al petrolio, ma oltre all'efficacia della repressione è piuttosto il contesto geopolitico ad essere del tutto differente. La Siria è legata all'Iran da un patto d'acciaio e anche se gli Assad volessero (ma non vogliono) aprire alle riforme, al loro popolo, Teheran non lo permetterebbe. Tra i due Paesi esistono strettissimi legami economici e militari, tanto che agenti iraniani stanno aiutando il regime di Damasco nella repressione.

La Siria degli Assad è infatti per l'Iran una pedina fondamentale per portare avanti la sua agenda, la sua scommessa egemonica, in Medio Oriente. A Damasco risiedono il cervello e le casse di tutti i più pericolosi gruppi terroristici anti-israeliani appoggiati da Teheran; è la base operativa da cui i pasdaran iraniani conducono le loro azioni clandestine all'estero; attraverso la Siria passano le armi per Hamas e Hezbollah; ed è grazie a Damasco che gli iraniani riescono ad aggirare le sanzioni dell'Onu sul programma nucleare.

Dunque, agire nei confronti di Damasco come si sta facendo con Tripoli non è possibile, perché significherebbe dover affrontare direttamente o indirettamente l'Iran. La prima conseguenza sarebbe l'ulteriore destabilizzazione del Libano, poi una nuova guerra di Hezbollah (e Hamas) contro Israele, fino a possibili attacchi contro le truppe americane in Iraq. Persino gli israeliani, preoccupati per una possibile deriva islamista in Egitto, guardano con timore ad un simile scenario e si limitano a sperare nella fine degli Assad senza interventi esterni.

Ciò non significa però che bisogna continuare ad illudersi sul "riformismo" degli Assad e che sia opportuno non sostenere apertamente il regime change in Siria, colpendo il regime con sanzioni più dure e sostenendo moralmente e materialmente le opposizioni.

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