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Tuesday, May 03, 2011

I molti meriti di Obama (e quelli di Bush)

Per noi che ci sentiamo così fortemente parte di una virtuale (e anche un po' reale) "generazione 11 settembre" - «l'11 settembre 2001 è una data indelebile nella biografia interiore di ciascuno di noi», scrive oggi Sechi su Il Tempo - anche la data di ieri rimarrà per sempre stampata nella nostra memoria emotiva. Ma questa volta come un momento di giubilo e non di immenso terrore. Onesto e umanissimo giubilo, come quello cantato dal poeta Alceo che esortava a ubriacarsi per la morte di Mirsilo, tiranno dell'epoca, e ripreso secoli dopo da Orazio nel famoso verso nunc est bibendum. Festeggiare si può eccome per l'uccisione di Bin Laden, perché per dirla con le parole di Ferrara questa mattina su Il Foglio, qui «non si festeggia una sparatoria», si celebra un consapevole e liberatorio «atto di giustizia». E «un momento come questo non si apprende in nessun libro di storia», fa notare una mamma americana a Maurizio Molinari (La Stampa).

Un atto di genuina giustizia come solo la cultura americana sa concepire. Nella consapevolezza che se si vogliono vedere applicati i principi pomposamente e astrattamente sanciti sulle nostre carte costituzionali non ci si può spaventare nel vederli calati dall'iperuranio delle idee alla imperfetta realtà umana. Il presidente Obama non solo si è dimostrato affidabile come comandante in capo, ma ha saputo parlare da leader bipartisan della sua nazione e da leader dell'intero mondo libero. Perché dopo dieci anni di caccia all'uomo che avrebbero piegato la forza di volontà di molti, dimostra che anche i difensori della libertà e della democrazia sanno essere spietati. Che democrazia non vuol dire debolezza, e tolleranza non equivale a fregarsene. Non credo che con questo successo Obama abbia in tasca la riconferma per il 2012, che probabilmente si deciderà sull'economia, ma certo ha sgombrato definitivamente il campo su una delle qualità presidenziali cui gli americani sono più attenti: ha dimostrato di saper essere un valido commander-in-chief, di non tentennare quando in gioco c'è la sicurezza e l'onore degli Stati Uniti.

Molti meriti di questa operazione vanno ovviamente a lui, dunque, ad Obama, molti di più di quanto si sia portati a credere. La caccia a Bin Laden non è proseguita stancamente, non è divenuta una routine, come pure sarebbe potuto capitare dopo dieci anni. Obama al contrario l'ha elevata a priorità e ha saputo trasmettere a tutta l'amministrazione il senso di questa urgenza. Il presidente stesso ha seguito in prima persona le varie fasi della "caccia", ha preso le sue decisioni con prontezza, con una freddezza al limite del cinismo, meticoloso e calcolatore in ogni dettaglio. Ma soprattutto a lui va il merito politico di aver avuto il coraggio che si richiede ad un presidente degno della sua missione: quello di rischiare. L'operazione poteva trasformarsi in un clamoroso fallimento, una nuova Baia dei Porci, un nuovo "Black Hawk Down", o come il disastroso tentativo di liberare gli ostaggi in Iran da parte del presidente Carter. Da uno smacco simile Obama non si sarebbe risollevato. Per questo ha definitivamente dimostrato di possedere la statura di leader degli Stati Uniti.

Dal punto di vista strategico Obama ha impresso una svolta, annunciata fin dalla campagna elettorale, che si è dimostrata particolarmente lungimirante. Oltre al surge in Afghanistan affidato a Petraeus, la scelta di incalzare al Qaeda anche in Pakistan: pretendendo da Islamabad un maggiore impegno nelle zone tribali di confine e costringendo i pachistani a ingoiare il rospo di una più marcata ingerenza americana. Nel frattempo, tuttavia, i motivi di diffidenza nei loro confronti aumentavano, la collaborazione appariva sempre meno leale, e sempre più spesso quindi venivano tenuti all'oscuro dei movimenti americani sul territorio pachistano. Nient'affatto intimidito dal premio Nobel per la pace e dalle vittime civili come "danni collaterali", Obama ha moltiplicato i bombardamenti con i droni e intensificato le operazioni coperte delle truppe speciali e della Cia, neanche preoccupato dell'accusa di agire nell'ombra, spesso all'insaputa delle autorità pachistane e quindi in modo del tutto unilaterale. Anzi, lontane dagli occhi indiscreti delle telecamere, queste azioni sono sfuggite alla propaganda nemica e ai complessi di colpa occidentali. Un ruolo «paramilitare» della Cia sempre più marcato che in molti avrebbero denunciato e criticato se fosse stato un presidente repubblicano a ordinarlo.

Fin qui i suoi meriti, le sue intuizioni. Va però riconosciuto in Obama un continuatore dell'architettura antiterrorismo elaborata dalla presidenza Bush. A cominciare dagli uomini di cui ha scelto di circondarsi: il segretario alla Difesa Gates, il generale Petraeus, ma anche figure come John Brennan, numero due della Cia Tenet-Bush. Stessa determinazione, quasi gli stessi uomini, una strategia più efficace, per cui è stata coniata l'espressione Afpak, ma soprattutto Obama, nonostante le promesse in campagna elettorale, non ha temuto di affrontare l'impopolarità decidendo non solo di non chiudere il carcere di Guantanamo e di riprendere i processi dinanzi alle corti militari, ma di non smantellare quel controverso "metodo Guantanamo", che tanto pubblico disprezzo ha attirato sull'ex presidente repubblicano e sugli Stati Uniti, ma di cui oggi tutti sembrano essersi scordati.

I detenuti di Guantanamo infatti si sono dimostrati una preziosa, addirittura insostituibile fonte di informazioni, per sventare nuovi attacchi e forse ancor più necessari per "aggirare" i depistaggi pachistani nella caccia a Bin Laden. Proprio da una coppia di questi detenuti sottoposti al waterboarding sarebbe giunto l'indizio iniziale, su un corriere usato da Osama, che anni dopo avrebbe condotto fino al compound di Abbottabad. «Le informazioni che hanno consentito di arrivare al rifugio dove si trovava Bin Laden - rivendica Paul Wolfowitz, ex vicecapo del Pentagono e volto di punta dell'amministrazione Bush intervistato su La Stampa - sono frutto degli interrogatori condotti nel carcere di Guantanamo nei confronti di più detenuti, incluso Khalid Sheik Mohammed. Questo deve far riflettere coloro che in passato hanno criticato la gestione di tali interrogatori, arrivando fino a parlare di tortura, e professando la necessità di chiudere Guantanamo. Spero che chi ha sostenuto tali posizioni ora si renda conto dell'importanza della scelta che facemmo creando questo carcere militare per rinchiudere i super-terroristi». L'unica cosa stonata dell'operazione è stato il nome in codice assegnato al bersaglio: "Geronimo". Il grande capo indiano non meritava un simile accostamento a un volgare assassino.

L'uccisione di Bin Laden ha un altissimo valore simbolico ma avrà anche un impatto molto concreto, nel medio-lungo termine, soprattutto sull'appeal del jihadismo. Tuttavia, al Qaeda non è finita. E' un marchio che si diffonde in franchising. E' logistica, supporto finanziario, non è un'armata che si può mettere in rotta spezzando la catena di comando, o tagliando la testa del serpente. Ma ci tranquillizza non poco sapere che nonostante gli errori e le incertezze che rimproveriamo al presidente Obama in politica estera, l'America sa ancora essere unita nel perseguire gli obiettivi più importanti ed è ancora capace di battersi per rendere questo mondo più sicuro e più libero.

6 comments:

Jean Lafitte said...

Bin Laden non era, non è e non sarà mai "un volgare assassino". Bin Laden, come tutti coloro che votano la loro vita a una causa giusta come la libertà dei popoli oppressi dall'impero capitalista-occidentale, è un eroe. a prescindere dal numero di persone che possono essere morte, direttamente o indirettamente, a causa sua.

Anonymous said...

jl, scusa ma parlare di bin laden come eroe per la libertà dei popoli oppressi, mi sembra un'assurdità.
bin laden è sempre stato, prima di tutto, un ricco mercenario al soldo di chi paga di più( come dice la sua storia). non ha lesinato collaborazioni con regimi integralisti che il popolo l'hanno oppresso allegramente.
diciamo pure che ha giocato sui sentimenti di rivalsa e sulla fede della gente per avere seguito e reclutare persone che si facessero saltare in aria.

uno che ieri era pagato dalla cia per combattere i russi. uno che manda gente a sbattere contro grattacieli pieni di civili ottenendo in cambio due guerre interminabili dove i primi che hanno pagato sono stati proprio quelli che doveva "liberare" ed un aumento dei prezzi del petrolio che ha fatto la fortuna di regimi come l'arabia saudita. oltre ad un aumento di denari nelle tasche di gente come gli stessi bush.

gli eroi dei popoli oppressi sono altri, di certo non osama bin laden.
bin laden era un volgare assassino, pure ricco per giunta.

stefano

Martino said...

Ottimo articolo. Complimenti. L'idea di un Obama continuatore della politica di Bush non è sicuramente un'idea balzana. Anzi, credo che fondamentalmente Obama abbia tenuto stretto il filo d'Arianna del suo predecessore che però non ha preso il Nobel! ;-)
Senti, proposta. Volevo chiederti se ti va uno scambio link con il mio blog: http://www.iljester.it/
Fammi sapere magari scrivendo un commento sul mio blog! Sarei felice di inserirti fra i miei blog preferiti! ;-)
Ciao

Anonymous said...

beh, tra bush jr e obama corre la stessa differenza che c'è tra un'operazione decennale con due guerre di cui una non c'entra nulla senza raggiungere il bersaglio e un'operazione che prevede il lavoro dell'intelligence ed un successivo blitz con il risultato raggiunto.

e tutto senza gridare alla nuova crociata (cit.)

JimMomo said...

Volentieri Martino, ma sto pensando ad una profonda ristrutturazione del blog per cui spariranno tutti i link. Nel frattempo ti aggiungo volentieri.

Martino said...

Grazie JimMomo, è essenziale uno scambio link tra blog che trattano gli stessi argomenti! ;-)
Se fai la ristrutturazione, non dimenticarmi.
Comunque, avvisami quando mi inserisci. Io l'ho già fatto! ;-)
Saluti