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Friday, March 26, 2004

Armi di attrazione di massa
Numero speciale di Diritto&Libertà
La nonviolenza e l'informazione, il rafforzamento delle istituzioni democratiche e del diritto internazionale, possono rappresentare l’arma più efficace per avvicinare i popoli verso la democrazia, i suoi valori e lo sviluppo di una pace nella giustizia? E' un'ipotesi realistica la conversione delle spese e strutture militari in spese e strutture civili? Nuovi tipi di politiche che coinvolgano la legittimità e il rispetto, la credibilità quale fonte di persuasione, e il soft power quale strumento di leadership globale, possono venire alla ribalta. L'antimilitarismo radicale dalla richiesta di disarmo unilaterale alla campagna contro lo sterminio per fame nel mondo. Il pericolo legato al complesso industriale-militare. Tutti questi temi vengono affrontati nel numero speciale di Diritto&Libertà presentato ieri pomeriggio nella sede del Partito Radicale.

Il commento - Un dibattito interessante, soprattutto utile, perché mi ha chiarito alcune cose, sotto la sapiente conduzione del direttore Massimo Bordin, bravo a far venire alla luce leggeri elementi di dissonanza - cosa non facile - tra gli oratori. Due pilastri della storia radicale come Angiolo Bandinelli, ma ancor più Gianfranco Spadaccia (quaglie in ogni frase), mi sono apparsi abbarbicati alle illusioni e alle lotte dei loro gloriosi anni '60 (il dinosauro Pannella avanti anni-luce), lasciando a Marco Cappato il compito arduo di sciogliere l'intricata matassa dell'oggi. E' una bella sfida parlare di interventismo, armato della conversione delle spese e strutture militari in spese e strutture civili di fronte alla minaccia terroristica del XXI secolo da una parte e il disimpegno pacifista dall'altra. Tenendo fermo l'obiettivo della promozione della democrazia, va effettuato, dice (e sottoscrivo), uno "studio di fattibilità" che dimostri un'efficacia della nonviolenza almeno paragonabile a quella dello strumento militare.
Fra tutti gli intervenuti, mi sono trovato stranamente più in sintonia con il direttore di Reset, Giancarlo Bosetti, che è rimasto con i piedi per terra introducendo i punti critici dell'attuale sistema internazionale e interessanti riflessioni legate alla teoria del soft power: sulle armi di attrazione dello Stato che si fa «seduttore».
Una considerazione, forse ovvia, che mi ha richiamato alla mente: non vorrei si ignorasse quanto l'auspicabile attrazione generata dal cosiddetto soft power sia definibile come "reazione" ad una "azione" di penetrazione - economica, culturale, politica - dell'occidente nel resto del mondo. Una seconda "reazione" possibile a questa penetrazione - ma di direzione opposta - si concretizza, soprattutto nel mondo arabo e islamico, nel fondamentalismo, che ci odia non per quello che facciamo, ma per quello che siamo. Dimenticando o sottovalutando quindi, che il soft power - come l'hard power - è anche parte del problema, e non solo parte - come ne sono certo - della soluzione, rischiamo di enfatizzarne l'efficacia; e di non vedere che ci sarà poco di aiuto contro i fondamentalisti, molto di più con la parte restante - la maggiore - delle società arabe.
Di fronte ad ogni organizzazione terroristica la prima domanda che dobbiamo farci è: ci odiano per quello che facciamo, o per quello che siamo? Dalla risposta che diamo a questo quesito dipendono la strategia di contrasto da adottare e le dosi di diplomazia, di politica, soft power, o hard power, o nonviolenza, che potremo somministrare.
A Spadaccia, che sottolineava la necessità di una politica internazionale basata sul diritto e non sulla forza, avrei voluto osservare che la forza però, bisogna farla rientrare dalla finestra. Cos'è infatti il diritto - internazionale come nazionale - senza minaccia e uso della forza? Non si può forse sostenere, con ragionevolezza seppure non con assoluta certezza, che esistano delle basi giuridiche di varia natura all'intervento angloamericano in Iraq?
Infine, prospettive concrete di benessere materiale (i radicali sembrano più disattenti su questo), ricorda Bosetti, rendono più seduttive le democrazie agli occhi delle nazioni più povere.
Da segnalare una divertente e indicativa espressione di Joanne Barkan (Dissent), riportata da Bosetti: la sinistra italiana mantiene, sulla lotta al terrorismo e sulla crisi irachena, un «kamasutra di posizioni».

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