Siamo, dispiace dirlo, all'appropriazione indebita. Su chi si accoda a chi ha scritto splendidamente Ispirati.
Ora, rileggendo i post, ho capito il trucco dei gemelli. Sia chiaro, per sana polemica, con stima e simpatia. A ogni politica che si dimostra efficace, appongono il timbro di "realista". Dunque, il realista è quello che ci azzecca, a posteriori of course. Se vi piace ragionare così a me sta bene, ma sul piano dottrinario il significato di realista viene totalmente svuotato e il termine torna al suo significato lessicale: "Persona con uno spiccato senso della concretezza e della praticità, che si ispira, nel comportamento e nel giudizio, più ai fatti e all'esperienza che non ai principi astratti e alle illusioni".
E' chiaro che individuare la politica efficace ai propri obiettivi, con i mezzi e la situazione dati, è solo questione di competenza e abilità. I valori, le scuole di pensiero e le dottrine, tutte cose che fanno parte di ogni decisione politica e che non sempre si riducono a ideologie, entrano in gioco nell'individuare gli obiettivi.
Dal 2001, e ancora oggi, Bush ha imposto una svolta alla politica estera americana, individuando nella democrazia e non più nella stabilità il valore e l'obiettivo principale, a cominciare dal Medio Oriente. E non per filantropia, o perché degli "interessi" non frega più niente a nessuno, ma perché s'è persuaso che l'interesse supremo, quello vitale, la sicurezza, viene meglio tutelato non costruendo e protraendo una stabilità "amica", ma espandendo la democrazia e la libertà. Che questo avvenga per passi graduali, per approssimazioni successive, senza immolarsi sulle trincee nemiche in modo sconsiderato, non significa che la strategia cade in contraddizione.
Ora a me risulta che questa sia la premessa dell'approccio neoconservatore (proprio in polemica con i realisti), fatta propria da Bush tra mille difficoltà e resistenze, mentre il concetto e il valore della stabilità in sé è più caro ai cosiddetti realisti (che per me non sono tali perchè si illudono che una partita a risiko possa risolvere tutto), per intenderci quelli della scuola kissingeriana.
Sento parlare di insorti. Certo, se ci sono insorti, cioè i sunniti che sentendosi esclusi dai giochi vogliono rientrarvi per tutelare i loro interessi, una politica di pacificazione nazionale è semplicemente una politica efficace e pragmatica a cui nessun "ideologo" neocon si opporrebbe e si è mai opposto. Ma non si tratta di una politica realista nel senso dottrinario del termine. Se l'obiettivo in Iraq rimane, come mi pare, la democrazia irachena (e con l'ambizione di avviare un effetto domino in Medio Oriente) non siamo nel contesto di una politica realista. Dunque chi si accoda a chi? Se mi si dice invece che l'obiettivo in Iraq non è più la democrazia, ma per esempio farsi amico un uomo forte a Baghdad e dargli le armi per stabilizzare il paese, o per esempio negoziare coi paesi confinanti (prendi Siria e Iran) una exit strategy onorevole, allora sarebbe certo una politica realista.
Il problema è capire lo scopo politico dei gruppi terroristici. Si tratta di sunniti che cercano di recuperare potere? Ne vogliono un po' per tutelare i loro interessi? Bene, rientrino nel processo politico. Lo rivogliono tutto? Male, vanno combattuti. Ma a me pare che l'approccio "oh, meno male, hanno capito i loro errori e ora tornano sui propri passi reintegrando i sunniti così la guerriglia finirà" non sia né realista né idealista, ma solo riduttivo. Se pensiamo che in Iraq il problema sia prevalementemente l'insorgenza sunnita, allora la chiave per spiegare tutto diventano gli errori politici del dopoguerra. Io invece ritengo che quello dell'insorgenza sunnita sia un aspetto tutto sommato marginale, certo da risolvere correggendo gli eventuali errori, ma che la chiave per spiegare quello che avviene sia una vera e propria guerra regionale che non ha rivendicazioni politiche trattabili come obiettivi. La fazione di Al Qaeda guidata da Al Zarqawi, e alcuni irriducibili baathisti, hanno tutta l'intenzione di proseguire la loro guerra terroristica qualsiasi cosa avvenga. Non c'è miglior toppa agli errori passati o trattativa che tenga. E penso che lo stesso discorso vada fatto per Iran e Siria che hanno in questa guerra regionale un ruolo fondamentale. Questo è il vero nodo e gli eventuali errori del dopoguerra appaiono marginali, anche se non per questo da trascurare.
Questa guerra regionale sarà vinta solo quando la democrazia attecchirà in Medio Oriente, a cominciare da quando cadranno Iran e Siria. E' possibile che accada senza interventi militari, ma occorre mettere in campo con determinazione e fermezza politiche coerenti, non calcoli geopolitici.
2 comments:
...ed è comunque tutta colpa di una non meglio identificata falange sciita filoiraniana in Arabia Saudita... ;)
www.francesconardi.it
cmq con questa cosa di realismo e idealismo ci stiamo divertendo un sacco... o no?
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