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Tuesday, November 22, 2005

La pace democratica. Per molti lo schiaffo della realtà/2

«La realtà non è come appare». Inizia con queste parole un istruttivo articolo di Stefano Magni su ideazione.com. Da sempre più frequenti studi autorevoli, l'ultimo lo Human Security Report presentato alle Nazioni Unite, si evince che il mondo, dopo il collasso dell'Unione Sovietica, è diventato «un luogo più pacifico in cui vivere». Ne avevamo già parlato in altri post. Un mondo più pacifico è il risultato della diffusione della democrazia nel mondo.
«Anche se non ce ne vogliamo rendere conto, noi viviamo in un mondo più libero, più pacifico e più ordinato rispetto a quello "bipolare" di 15 anni fa. Da quando è crollata l'Unione Sovietica stiamo tutti meglio, sotto ogni punto di vista».
Tra gli sconfitti, ovviamente, i regimi comunisti, «i maggiori assassini del XX secolo», ma anche «i maggiori generatori di disordine internazionale e di conflitto». Tra gli sconfitti annoveriamo anche tutti i teorici, politici e studiosi, della stabilità. La minaccia reciproca fra Usa e Urss, la pretesa necessità di mantenere l'equilibrio tra le due superpotenze, non hanno reso il mondo più pacifico e più ordinato. Sconfitti pure i fautori della Ostpolitik e della "distensione" con l'Unione Sovietica, che legittimando Mosca e i suoi satelliti come interlocutori, di fatto ne hanno prolungato l'esistenza, non contribuendo alla pace né a riconquistare diritti a chi li aveva persi.

Chi sono quindi i vincitori, quelli che hanno avuto ragione? Tra i politici Reagan, che ha lavorato per destabilizzare quell'equilibrio. E i teorici della «dottrina della pace democratica ("le democrazie non si fanno guerra tra loro") che hanno suggerito una politica di esportazione della democrazia nel mondo per far diminuire la violenza interna e internazionale. Ed anche i sostenitori della "pace capitalista"», secondo i quali la globalizzazione, con la necessità di privatizzazioni e libero mercato, avrebbe «favorito relazioni più pacifiche fra gli Stati».

«Alla fine del secolo più sanguinoso della storia umana, - conclude Magni - i dati rivelano che tutti coloro che erano stati bollati come "idealisti" (Immanuel Kant, Benjamin Constant, Frederic Bastiat, Norman Angell, Ayn Rand) erano più realisti di coloro che si dichiaravano tali. Però questa realtà ci viene celata e viene da pensare che ci sia tutto l'interesse nel farlo».

«Assaliti» da questa realtà sono anche i «neoconservatori», raccontati, da ultimo, anche da Fabio Cintolesi su Notizie Radicali, folgorato dal recente segretissimo incontro con Richard Perle all'Università di Firenze. L'articolo ha il merito di sintetizzare l'approccio "idealista" e al contempo "realista" dei neoconservatori, che li distingue dall'idealismo progressista che ripone in organizzazioni internazionali ormai screditate le sue speranze.
«Non contano i trattati o gli organismi internazionali, ma, detto molto sinteticamente, solo i rapporti di forza esistenti tra i vari attori internazionali. Ciò in quanto non c'è alcuna autorità internazionale che abbia il monopolio legittimo dell'uso della forza e che possa, quindi, sanzionare atti e comportamenti contrari al diritto internazionale comunemente riconosciuto. Va da sé che questo stato di cose impedisce al diritto internazionale di diventare un diritto a pieno titolo, e non una serie di norme ed enunciazioni di principio.

A questa analisi quasi brutale, però, seguono una serie di considerazioni prettamente idealiste. La stabilità basata sulla mera "balance" dei poteri è di per sé illusoria, affermano i neoconservatori, in quanto l'unica reale stabilità del panorama internazionale potrà affermarsi solo parallelamente all'affermazione di ordinamenti democratici in tutti i soggetti della cosiddetta comunità internazionale, in primis gli Stati. Questo assunto prende vigore da una convinzione, tutta kantiana, sulla naturale indisponibilità delle democrazie a farsi guerra. Di qui la necessità che la forza economica, politica e non ultima militare degli Stati Uniti, venga usata per quella che è considerata la missione storica dell'America, cioè quella di espandere la democrazie e le libertà americane nel mondo».

1 comment:

Anonymous said...

mi piace questo post. Bravo.