Conosciamo Blair attraverso le parole scritte da
Andrea Romano. E sarà lui a raccontarci l'inizio della fine di una grande leadership.
«La stagione della successione ora è si aperta per davvero», scrive oggi su
La Stampa:
«Nella carriera di un leader accade spesso che quel certo tratto personale che ne aveva favorito l'ascesa si trasformi d'improvviso nel propellente della caduta. È una legge del contrappasso naturale per ogni gioco politico, dove i potenti possono essere prima incensati e poi perseguitati per ragioni del tutto identiche».
Oggi per Blair arriva la prima e unica «umiliazione» parlamentare dal 1997. Il voto di mercoledì con cui la Camera dei Comuni ha respinto una sua proposta «ha poco a che fare con la legislazione antiterrorismo, di cui pure si discuteva, e assai di più con il suo «stile di governo».
«Quello stile che aveva fatto la sua virtù e la sua fortuna di "convinction leader", capace di assumersi in prima persona il peso delle proprie azioni in ragione di un principio tanto chiaro quanto rischioso: lo faccio perché è la cosa giusta da fare. Una moralità assertiva e non negoziabile, prodotta da una visione tutta britannica della responsabilità individuale ma capace di farne un modello universale di leadership politica. Di fronte alle decisioni più impegnative, alle implicazioni più scivolose, era quella moralità assoluta a far emergere Blair come il leader più riconoscibile. Anche prima del voto parlamentare di mercoledì, ad un passo dalla sconfitta, Blair ha fatto ricorso al suo repertorio più classico: "È sempre meglio perdere facendo la cosa giusta che vincere facendo quella sbagliata"».
Qualcosa che dividerà sempre, in modo incolmabile, il cavallo di razza Blair dal mulo Zapatero.
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