Che la sessione finale del Summit Mondiale sulla Società dell'Informazione convocato dalle Nazioni Unite si svolga a Tunisi rappresenta già di per sé un paradosso, visto che il governo tunisino incarcera i giornalisti e limita la libertà d'espressione. Marco Cappato e Marco Perduca, delegati del Partito Radicale transnazionale al Summit, lo avevano già fatto presente due anni fa, al momento della sua convocazione. Un po' come aver affidato alla Libia la presidenza della Commissione Onu per i diritti umani. Ieri hanno espresso la propria solidarietà alle personalità della società civile tunisina da venti giorni in sciopero della fame per denunciare il regime oppressivo del presidente Ben Ali e per tentare di convocare un Summit parallelo, e lanciato come Partito Radicale una mobilitazione di sostegno, invitando i giornalisti italiani che partecipano al Summit «a intervistare i digiunatori al fine di far conoscere quali siano le reali condizioni della società tunisina».
Inoltre, alla vigilia del Summit si è appreso che il sito RadicalParty.org, insieme a molti altri siti, risulta «inaccessibile dai computer tunisini». Credenziali non proprio perfette per ospitare un vertice di questo livello proprio sulla «società dell'informazione».
Ma il Summit ha provocato le ire di blogger e internauti soprattutto per un altro motivo. A Tunisi infatti si discuterà se assegnare all'Onu, o comunque trasferire in sedi internazionali, il controllo tecnico degli indirizzi web, compito finora svolto da un'agenzia privata americana, l'Icann. Cina, Cuba e Iran spingono per il sì in funzione antiamericana. L'Europa come al solito cerca una mediazione. Sul suo blog Paolo Gentiloni scrive che nell'ipotesi che circola (quella Annan) «il cuore della governance» resterebbe Icann, ma con «un forum di dialogo che ne assicuri l'apertura alla Comunità internazionale Governativa e non». «C'è un certo ottimismo sulla possibilità di raggiungere un risultato positivo», ha dichiarato il ministro dell'Innovazione Tecnologica Lucio Stanca: «Finisce l'infanzia di Internet e inizia la sua maturità». Ma molti blogger non credono che affidare la governance della rete nelle mani dell'Onu, o lasciarla in balìa delle dinamiche internazionali tra gli stati, sia una buona idea.
A me che ciascun paese dica la sua su come gestire internet non sta bene. Per il semplice motivo che tra questi paesi sarebbero accolte con pari dignità tutte le dittature e le teocrazie possibili e immaginabili, dall'Iran alla Cina, dall'Arabia Saudita a Cuba, passando per lo Stato del Vaticano. Ecco, a me non sta bene. Finora il web è stato gestito nel modo migliore, più trasparente e aperto possibile dall'Icann. Quando si verificheranno i primi problemi ci penseremo, ma fino ad allora giù le mani da internet, farabutti dell'Onu! Perché l'Onu dovrebbe occuparsi di internet meglio di come si è occupata di diritti umani, la cui Commissione è stata presieduta anche da paesi come la Libia?
Lo scandalo è che, come sempre quando c'è l'Onu di mezzo, i carnefici si trasformano in vittime e viceversa. E quindi in Summit come quelli di Tunisi non ci troviamo a discutere di come costringere le dittature a consentire ai propri popoli un libero accesso a internet - per esempio legando gli aiuti per lo sviluppo della società dell'informazione ai progressi nel rispetto dei diritti umani e nelle riforme politiche ed economiche, il che basterebbe a provocare rivoluzioni democratiche senza interventi militari - ma lasciamo che l'agenda dei lavori la impongano loro e finiamo a preoccuparci di come sottrarre a una società americana un lavoro che svolge egregiamente.
L'attuale sistema, oltre a essere un prodotto tecnologico degli Stati Uniti, sviluppato coi soldi dei contribuenti americani, e poi messo gratuitamente a disposizione del mondo, ha garantito il libero, rapido e spontaneo sviluppo della rete. Perché mettere mano a una cosa che funziona alla perfezione o quasi? Le domande di "internazionalizzazione" della governance di internet nascondono obiettivi inconfessabili. Soddisfazione e sfogo di ideologie antiamericane e terzomondiste nel migliore dei casi; la volontà di esercitare pressioni per fissare a livello internazionale forme di controllo autoritario della rete nel peggiore. Tant'è vero che in prima fila nel presentare domanda sono gli stati campioni della "repressione digitale": Cina, Iran, Arabia Saudita, Cuba, Tunisia.
L'Onu non ha mai costituito un argine sufficiente contro la potente e organizzata lobby delle dittature e degli stati totalitari, che sfruttando la complicità di paesi tentati da antiamericanismo e terzomondismo sono riusciti non di rado a far passare imbarazzanti risoluzioni e si sono ritrovati persino a presiedere commissioni per i diritti umani e altri organismi minandone la credibilità. Figuriamoci: troppo preoccupati di dimostrare il loro elevato grado di inclusione, quanto potrebbero resistere un'ipotetica agenzia Onu predisposta alla gestione di internet, o un forum di dialogo, alle richieste pressanti di alcuni stati membri per introdurre forme di restrizione e controllo della rete via via sempre maggiori?
Arch Puddington, di Freedom House, sul Washington Post, mette in guardia proprio da tali pericoli: «Keep the Internet Free».
«Se è vero che ICANN funziona con una licenza concessa dal Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti, il governo Americano ha però seguito una politica di stringente non ingerenza; gli atti della ICANN sono trasparenti e le decisioni sono prese solo dopo estese consultazioni.Sarebbe meglio, conclude lo studioso di Freedom House, che l’Unione europea decida di allinearsi agli Stati Uniti. In un comunicato i radicali Cappato e Perduca invitano a «non cedere a ricatti terzomondisti», ma poi cadono nell'ambiguità di suggerendo agli europei di «ingaggiare gli americani affinché il modello Icann sia rafforzato dall'inclusione di norme di stato di diritto internazionale universalmente riconosciute». Cosa vuol dire esattamente? Non c'è il rischio di far rientrare dalla finestra i "ricatti" che si sono voluti cacciare dalla porta?
(...)
Un certo numero di paesi stanno esercitando pressioni per rimuovere la supervisione da ICANN e trasferirla sotto una nuova organizzazione che farebbe parte del sistema delle Nazioni Unite... tra loro ci sono regimi che hanno preso misure per controllare l'accesso dei propri cittadini a Internet e che si sono distinti in controlli globali sui contenuti nella rete. Non è un segreto il perché Iran, Cina e Cuba fanno lobbying così disperatamente per sostituire ICANN: Internet si è dimostrata una potente arma contro la repressione degli stati.
... la passata esperienza dell'Onu suggerisce che una missione limitata può gradualmente estendersi in territori imprevisti sotto la pressione senza limiti di stati membri determinati. Alcuni dei più vergognosi episodi dell'Onu – in particolare riguardanti I temi della libertà – si sono verificati perché le democrazie del mondo sono state battute da una coalizione dei più repressivi regimi – proprio la coalizione che sta prendendo forma sul controllo di Internet. Lavorando con determinazione e disciplina, questa alleanza delle dittature ha già gettato la Commissione Onu per I Diritti Umani nella vergogna».
Viceversa Europa e Stati Uniti dovrebbero fare fronte comune contro ogni cambiamento sostanziale della gestione tecnica del web. L'offensiva da parte della coalizione delle dittature è strategica: per internet passano le maggiori possibilità di destabilizzazione dei regimi autoritari. La circolazione di informazioni e idee anche in piccole dosi può avere un effetto dirompente sul comportamento politico degli individui e dei gruppi. Secondo lo schema che gli scienziati politici chiamano information cascade, ed Elisabeth Noelle-Neumann "spirale del silenzio", nelle società chiuse i cittadini subiscono l'oppressione senza sapere che ampi settori dell'opinione pubblica vedrebbero con favore un'azione coordinata contro l'oppressore. L'uso di internet e di telefoni cellulari, favorendo la diffusione di informazioni di ogni genere, può rompere la "spirale del silenzio". Dunque qualsiasi - qualsiasi - compromesso negoziato sarebbe una concessione imperdonabile che potrebbe ritardare di anni i processi di democratizzazione.
Alcuni regimi come Cina e Iran stanno già avendo un discreto successo nel limitare l'accesso a internet.
L'emblematico caso cinese è stato illustrato dal blog Phastidio.net. La Cina conta attualmente circa 100 milioni di navigatori internet, agevolati dall'ampia disponibilità di linee telefoniche: tra fisso e mobile se ne contano 667 milioni, una ogni 1,9 abitanti. Quando un utente digita, nel titolo di un post, le parole cinesi che equivalgono a "libertà" o "democrazia", ottiene un messaggio d'errore che recita: «Dovete inserire un titolo per il vostro contenuto. Il titolo non deve contenere linguaggio proibito. Si prega di digitare un titolo differente». BlogChina.com, l'operatore di un servizio blog basato a Pechino, che negli ultimi due anni ha aumentato il numero degli utenti registrati da trecentomila ad oltre 2 milioni, impiega 10 dei 210 dipendenti al monitoraggio a tempo pieno dei contenuti dei post, per verificarne la rispondenza alle leggi sulla censura. La censura comprende livelli multipli di controllo e regolamentazione, tecnica e legale, dai cybercafè fino al backbone di rete. I regolamenti proibiscono agli utenti di «incitare al rovesciamento del governo e del sistema socialista», «danneggiare l'unità nazionale», «distruggere l'ordine della società», «promuovere superstizioni feudali» e «danneggiare la reputazione degli organi dello Stato», secondo quanto pubblicato sul sito del Ministero della Pubblica Sicurezza. L'Internet-polizia cinese non si limita a monitorare i siti web, ma dispone anche di software per individuare delle keyword "sovversive" nelle e-mail e nei download. Il governo dispone anche di squadre di propaganda che agiscono sotto copertura nelle chat per "pilotare" e sorvegliare le discussioni.
Altri blog da visitare su questo tema: 2twins; Walking Class; Nequidnimis; Robinik
1 comment:
oggesù
pure i nostri governi si schierano con sti quattro dittatorelli da strapazzo
credo che certe posizioni europee non sia affatto dovute a tattiche, strategie, interessi oppure ideologie
credo che l'ue sia ormai guidata da un antiamericanismo da psicanalisi, e pur di soddisfare questa nevrosi, riesce a negare anche se stessa, la propria libertà su internet
ma, dico io: e se il tentativo terzomondista avesse successo?
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