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Friday, August 07, 2009

Usa-Iran, come sta cambiando la politica di Obama

Dopo le "carote", settembre potrebbe essere il mese del "bastone"

La principale svolta di Obama nella politica estera americana, l'apertura al dialogo con l'Iran, è stata travolta dagli eventi in soli sei mesi. La crisi politica scoppiata dopo la contestata rielezione di Ahmadinejad - lungi dall'essere superata - rende prossime allo zero le già esigue possibilità di risposta positiva da parte di Teheran. Ancor più di prima, infatti, la paranoia del nemico esterno, la corsa all'atomica e la chiusura verso qualsiasi compromesso con il "Grande Satana", saranno per Khamenei e Ahmadinejad strumenti irrinunciabili per ricompattare il regime e rinsaldare il loro potere. A meno che Ahmadinejad non sia tentato dal calcolo ipotizzato qualche giorno fa da Amir Taheri.

A Washington sono consapevoli della mutata situazione. Tra l'altro, ad una lettera personale che secondo il Washington Times il presidente Obama avrebbe segretamente inviato ad Ali Khamenei agli inizi di maggio, la Guida Suprema, rivela il New York Times, avrebbe risposto in modo «deludente». Ufficialmente le porte rimangono aperte, ma Obama si aspetta una risposta entro la fine dell'anno e sono allo studio i passi successivi nel caso di una mancata, o negativa, risposta da parte di Teheran. Il piano "B", nel caso in cui la diplomazia fallisse, non prevede solo nuove sanzioni, ma anche l'opzione militare.

La mattina del 3 agosto il segretario di Stato, Hillary Clinton, ha presieduto una videoconferenza con 20 funzionari del Dipartimento di Stato in servizio in sei località del mondo elette «punti di osservazione» privilegiati sull'Iran. Gli «occhi e le orecchie» dell'America sulla Repubblica islamica. Tra i funzionari è emerso un ampio consenso nel ritenere che la crisi in corso indurrà Teheran a concentrarsi sulla politica interna piuttosto che sulle sue relazioni bi e multilaterali. La Clinton ha ribadito la volontà americana di aprire con gli iraniani un «canale bilaterale», ma ha tenuto a sottolineare di aver «più volte ripetuto che in assenza di una risposta positiva da parte del governo iraniano la comunità internazionale si consulterà sui prossimi passi, e certamente i prossimi passi possono includere sanzioni».

Ma non è l'unico segnale che l'amministrazione Obama ritiene che si siano affievolite, se non del tutto azzerate, le possibilità di una risposta in tempi brevi da parte iraniana alla sua offerta di "engagement". Durante la sua visita in Israele della settimana scorsa, il segretario alla Difesa Gates ha delineato la tempistica Usa: l'Iran ha più o meno fino all'Assemblea generale Onu di metà settembre per rispondere positivamente all'offerta di negoziati bilaterali o multilaterali sul suo programma nucleare, dopo di che scatterà il tentativo di imporre sanzioni più dure, compreso un possibile embargo sull'esportazione in Iran di prodotti petroliferi raffinati, inclusi carburanti come benzina e gasolio. E' improbabile che Russia e Cina saranno d'accordo, ma gli Usa sembrano intenzionati a ottenere un regime più aggressivo di sanzioni, per aumentare la pressione e spingere l'Iran a rispondere all'offerta di dialogo, nonché per dissuadere Israele dall'agire unilateralmente.

L'amministrazione Obama in ogni caso non sembrerebbe affatto essersi rassegnata a un Iran nucleare, come aveva fatto credere l'incauta uscita di Hillary Clinton sull'«ombrello difensivo» da offrire ai Paesi arabi e del Golfo, che ha indotto molti a pensare che Obama non considerasse più inaccettabile l'atomica iraniana e che si preparasse al contenimento e alla deterrenza - linea dei realisti Scowcroft e Brzezinski, secondo cui l'Iran può essere contenuto come si è fatto con l'Urss. Una delle opzioni è quella definita dall'analista della Brookings Institution, Kenneth Pollack, «Leave it to Bibi», cioè lasciare che sia Israele ad attaccare gli impianti nucleari iraniani. Ma il messaggio recapitato da Gates ai leader israeliani sembra essere esattamente il contrario.

Secondo fonti militari e di intelligence israeliane, infatti, il segretario alla Difesa Usa avrebbe assicurato a Israele che, oltre a nuove e più dure sanzioni, l'amministrazione Obama è tornata a considerare, sia pure come ultima risorsa, l'opzione militare unilaterale contro l'Iran. Ma gli Usa avrebbero anche chiesto allo stato ebraico di lasciare che siano loro ad occuparsene. Ad avvalorare il ritorno dell'opzione militare sul tavolo, la notizia che il Pentagono sta cercando di ottenere dal Congresso i fondi necessari per accelerare il programma di costruzione della Massive Ordnance Penetrator. Una bomba da 13,6 tonnellate, che trasportata dai bombardieri invisibili ai radar B-2 sarebbe in grado di distruggere i bunker sotterranei penetrando a una profondità di 60 metri prima di esplodere.

Oggi, sul Wall Street Journal, il generale Chuck Wald ha contestato le convinzioni diffuse secondo cui le forze armate Usa sarebbero troppo «stressate», che non disporrebbero di un'adeguata intelligence per individuare i siti nucleari iraniani, né di armi in grado di distruggere i bunker sotterranei. «Se le pressioni diplomatiche ed economiche falliscono - assicura - quella militare è un’opzione tecnicamente fattibile e credibile».

1 comment:

adriano said...

E quello dei finocchi? quando sarà?