Il bivio l'ha indicato in tutta la sua drammaticità l'ormai ex governatore Draghi parlando ieri all'assemblea Abi: o ulteriori tagli alla spesa, o nuove tasse. Tertium non datur. Ebbene, il governo sembra aver già scelto: il rafforzamento della manovra, reso urgente dalla sfiducia manifestata dai mercati sulla prima versione, è quasi tutto basato su nuove tasse e su misure estemporanee da Prima Repubblica, non strutturali. Solo ritocchi cosmetici, insomma, e impegni vaghi per il futuro, mentre è tutt'altro che cosmetico l'aggravio fiscale: 20 miliardi di minori agevolazioni Irpef. La norma scatta subito per il 2013-2014, e non si applica solo se entro il 30 settembre 2013 (sotto un nuovo governo, dunque) verrà esercitata la delega fiscale e assistenziale in modo da rendere gli stessi importi tramite tagli alle spese inutili.
Adesso, a mente fredda, appare sempre più evidente che l'inclusione dell'Italia nel gruppo dei Paesi dell'euro che i mercati percepiscono a rischio default (e ci rimarrà a lungo a prescindere dal sali-scendi quotidiano) è stata principalmente dovuta alla delusione per una manovra anche pesante, ma certo non strutturale, tanto che l'attacco ai titoli di Stato è esploso un minuto dopo la pubblicazione del decreto. Eppure, questa emergenza rappresentava anche una opportunità senza precedenti, ghiottissima, per imporre al Paese una vera rivoluzione fiscale, sia sul lato della spesa che su quello delle tasse, un nuovo paradigma del ruolo dello Stato, insomma la svolta che da 17 anni il centrodestra promette ai suoi elettori senza mai nemmeno provare ad attuarla. Per esempio, passando subito al cosiddetto "zero-based budgeting".
Invece, un'altra, l'ennesima occasione d'oro sperperata. La manovra è una somma di rattoppi, che forse (ma non è neanche certo) rassicura i mercati nel breve termine, ma manca una visione dello Stato, e del suo rapporto con i cittadini, diversa da quella attuale, colpevole dell'alto debito e della crescita anemica che stanno soffocando il nostro Paese. Una parte consistente del risanamento viene addirittura conseguito tramite nuove tasse, due quinti della manovra nel 2013 e oltre un quarto nel 2014, il che rischia di provocare un aumento non lieve della pressione fiscale, già a livelli insopportabili, e quindi di deprimere ancor di più l'economia.
Senza contare che già da lunedì, alla riapertura dei mercati, gli investitori potrebbero ritenere non sufficienti i «rafforzamenti» predisposti. Una bocciatura che potrebbe davvero aprire la strada all'ipotesi preferita - ma per ora velleiteria - delle opposizioni: il governissimo. Che ovviamente è garanzia di ulteriore instabilità e di ulteriori patrimoniali. Si sta scherzando con il fuoco, insomma, perché non si è ancora capito che con la doppia crisi - prima del debito privato, poi dei debiti sovrani - sono mutati profondamente gli standard nella concessione del credito. Gli Stati non vengono più considerati al riparo da fallimenti (persino gli Usa), quindi la fiducia dei mercati va conquistata con i fatti e non con le promesse (questo entro il 2013, quello entro il 2014, l'altro entro il 2020, se non entro il 2050, sono tutte scadenze risibili, che non si beve più nessuno).
Non scandalizzano i ticket per i codici bianchi in pronto soccorso e sugli esami specialistici, strumento che può risultare efficace per responsabilizzare gli utenti rispetto all'inarrestabile ascesa della spesa sanitaria, né la minore rivalutazione sulle pensioni medie e il "contributo di solidarietà" sulle pensioni d'oro. Viene rimodulata la patrimoniale sui titoli di Stato, ma resta una patrimoniale e si mettono a bilancio fino al 2014 nuove cospicue entrate sottintendendo che i risparmiatori non reagiranno al salasso chiudendo i loro conti.
Il vero scandalo però sono il rinvio sine die delle riforme strutturali, gli impegni troppo vaghi e lontani nel tempo sulle privatizzioni, sulle liberalizzazioni e sulla riduzione dei costi della politica. Si anticipa al 2013 l'aggancio delle pensioni all'aspettativa di vita, ma perché non dal 2012? Mentre l'innalzamento a 65 anni dell'età pensionabile delle donne anche nel privato viene rinviato di due decenni. Rinviato di fatto alla prossima legislatura anche il ritorno alle privatizzazioni: entro il 31 dicembre 2013 (fra due anni e mezzo!) una legge quadro dovrebbe semplificare il percorso delle dismissioni delle partecipazioni dello Stato e da lì si potrà ragionare su cosa e come dismettere. Ci arriveremo a quella data?
Anche sulle liberalizzazioni, la manovra prevede impegni spostati nel futuro: da qui a otto mesi cosa e come liberalizzare sarà deciso dal governo insieme alle corporazioni. Non si toccano le professioni con l'esame di Stato, il che è come dire che non si tocca nulla, e per le altre saranno le corporazioni stesse che saranno chiamate ad elaborare, in accordo col governo, nuove regole. E vi pare che qualche corporazione sia disposta a liberalizzare se stessa. Sarebbe comprensibile se la ritrosia del centrodestra fosse dovuta alla preoccupazione di salvaguardare la propria "costituency" elettorale? Ma pare non sia solo così. Perché, infatti, non liberalizzare il mercato del lavoro (abolendo l'articolo 18) e il mercato dell'istruzione superiore, abolendo il valore legale della laurea e riformando la casta universitaria?
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