Hai ragione, «sono stati persi tre anni». Da voi.
Pur dimesso nel tono della voce, il ministro Tremonti ha proferito all'assemblea dell'Abi la sua lezione sulla crisi. Se l'è presa con gli strumenti finanziari, con il deficit di governance nell'Ue («è in discussione l'idea stessa di Europa»), con il debito degli Stati, appesantito perché con i salvataggi si è accollato i debiti privati, con il balzo degli spread che è un problema «non del singolo Stato, ma della struttura complessiva». Tutto vero, verissimo, ma abbassa la cresta, caro Giulio, un po' d'autocritica, please, perché la tua manovra ha fallito, va riscritta e rischia di farci perdere molti soldi.
«Sono stati persi tre anni» e «nulla è stato fatto di quello che andava fatto», recrimina Tremonti. Ma se questo è vero a livello europeo e globale, è ancor più vero per quanto riguarda l'Italia, caro Giulio! Chi è che teorizzava che durante la crisi non si potevano fare le riforme? Il nostro debito alto non deriva dai salvataggi delle banche, ma da tre decenni di spesa incontrollata, e la crescita anemica dura da almeno un decennio. Malattie del nostro Paese che precedevano la crisi, con cui la crisi non c'entra nulla, che andavano curate indipendentemente dalla crisi e che stanno sopravvivendo alla crisi per l'immobilismo del governo e del suo ministro del Tesoro.
E l'ennesima manovra, quella che doveva evitare all'Italia di entrare a far parte del gruppo dei Paesi dell'euro a rischio default, ha fallito. Oltre a essere illiberale, si è rivelata insufficiente, perché indugia in una serie di misure ragionieristiche e di balzelli da Prima Repubblica, rinviando all'«anno del mai» i risparmi e le riforme strutturali, nonché la questione della crescita. In pratica, rinvia le scelte, non "governa". I mercati se ne sono accorti benissimo, e infatti hanno aspettato la pubblicazione del decreto prima di includere anche l'Italia nel moto di sfiducia che sta colpendo il ventre molle dell'area euro.
Di questo fallimento sono responsabili in primo luogo Tremonti, artefice dell'impianto e della "filosofia" della manovra, dominus della politica economica del governo, che fino ad ora aveva avuto per lo meno il merito di aver resistito alle sirene pro spesa interne ed esterne all'Esecutivo, ma che oggi palesa tutti i suoi limiti di visione politica e culturale; e in secondo luogo, Berlusconi e gli altri ministri, che hanno lasciato carta bianca a Tremonti e, anzi, avrebbero voluto una manovra ancor più annacquata. Errori grossolani, per mancanza totale di consapevolezza della gravità del momento ma soprattutto - ancor più grave - per mancanza di ambizione politica.
L'azzeramento del deficit, infatti, dovrebbe rappresentare - ancor di più agli occhi di un governo di centrodestra - un risultato epocale per l'Italia, da rivendicare con fierezza dinanzi all'opinione pubblica, e non da far passare come imposizione che viene dall'esterno, da rinviare il più possibile e di cui scusarsi con il cappello in mano di fronte ai cittadini. Certo è che se ci si muove con la destrezza di ladri che si aggirano notte tempo nelle tasche degli italiani, allora è ovvio che venga vissuta in questo modo. E' questo deficit direi culturale, l'incapacità di individuare e far propri nell'azione di governo obiettivi di cambiamento ambiziosi, il fallimento più grande.
E se il centrodestra, il Pdl in particolare, in futuro vorrà rinascere dalle ceneri di oggi, dovrà fare piazza pulita della cultura politica del duo Tremonti-Sacconi, che durante la crisi ripetevano che nulla si dovesse toccare, e che ancora oggi solo la sveglia dei mercati induce a muovere alcuni timidi passi. Pare infatti che il governo sarà costretto a far rientrare dalla finestra ciò che aveva inopinatamente fatto uscire dal proprio orizzonte politico di questi anni e, di conseguenza, anche dalla manovra: Tremonti ha confermato, intervenendo all'assemblea Abi, che privatizzazioni (vendita di aziende di Stato e municipalizzate) e liberalizzazioni entrano nella manovra. Un suicidio politico, un esercizio di tafazzismo, farsi imporre dall'Ue e dai mercati qualcosa che tra l'altro faceva parte dei propri programmi elettorali del 2008 e delle elezioni precedenti.
Privatizzare, privatizzare, privatizzare, dunque. Se si vuole davvero aggredire il debito, lo sanno tutti, è condizione necessaria (ma non sufficiente), come indicano anche Perotti e Zingales, oggi sul Sole 24 Ore, nel loro "programma" per il pareggio di bilancio. Una vera e propria dichiarazione di guerra ai "poteri forti" e parassitari del Paese: aziende di Stato, fondazioni bancarie (il presidente dell'Abi ha già replicato stizzito), municipalizzate, politici, burocrazia. Se entro sei mesi dal confronto tra il governo e le associazioni non usciranno regole ed eccezioni, scatteranno per tutti i settori automaticamente le liberalizzazioni.
Pare, inoltre, che Tremonti si sia deciso a presentare in Cdm un disegno di legge, promesso da mesi, per inserire nella Costituzione i vincoli Ue sul debito. Benissimo, ma allo stesso tempo bisogna inserire anche un tetto alla pressione fiscale, altrimenti il solo vincolo di bilancio rischia di tradursi in una spremuta di tasse senza fine. Ma la vera rivoluzione sarebbe quella (invocata da sempre dal solo Giannino, a quanto mi risulta) di passare dalle manovre fatte sugli aumenti tendenziali della spesa, per cui in termini reali la spesa corrente cresce sempre, e con essa le entrate, al cosiddetto "zero-based budgeting", in cui è l'intero budget di ciascun ente di spesa ad essere rivisto. «Se non si incide anche su altre voci di spesa - ha avvertito Draghi oggi all'assemblea Abi - il ricorso alla delega fiscale e assistenziale per completare la manovra nel 2013-2014 non potrà evitare un aumento delle imposte». Cioè, quella delega concepita originariamente per mantenere la promessa di ridurre le tasse, rischia di trasformarsi nell'occasione per un salasso.
E' deprimente, infatti, che i soli soldi veri che entreranno di sicuro nella manovra siano i 15 miliardi della cosiddetta "clausola di salvaguardia", il taglio del 15% su tutte le agevolazioni fiscali che scatterà in automatico dal 2013 nel caso non si desse corso alla delega fiscale che prevede il riordino delle prestazioni assistenziali per lo stesso importo (in pratica, aumenti Irpef tramite eliminazione di deduzioni e detrazioni), e che l'innalzamento dell'età pensionabile delle donne nel privato subirà, pare, un ritocco solo cosmetico, rimanendo previsto a regime entro una data semplicemente ridicola (il 2029). In tutto questo, il contributo alla manovra da parte delle opposizioni (preoccupate delle indicizzazioni delle pensioni, della progressività del bollo sui depositi titoli e della norma sull'ammortamento per le società concessionarie) conferma l'assenza di alternative credibili in termini di austerità e crescita.
No comments:
Post a Comment