Siccome la riforma fiscale a tre aliquote è a somma zero, dovrà cioè autofinanziarsi (ritoccando l'Iva e l'aliquota sulle rendite finanziarie - probabilmente - e, appunto, asciugando deduzioni e detrazioni), che non ci sarà una riduzione complessiva delle tasse è matematicamente certo, mentre c'è persino il rischio che la pressione fiscale aumenti ancora, per reperire le risorse - circa 17 miliardi - che sarebbero dovute arrivare dalla legge delega tramite tagli e razionalizzazioni dell'assistenza.
Per non parlare degli 8,8 miliardi già rapinati, a cominciare da ieri, dai depositi titoli. Una cosa è certa: come scrive Mario Sechi su Il Tempo, «caro presidente Berlusconi, non si può più dire "non abbiamo mai messo le mani nelle tasche degli italiani". Sta avvenendo. E i suoi elettori se ne sono accorti». La patrimoniale sui conti titoli è uno scandalo che grida vendetta. Pensavamo che solo la sinistra avesse la faccia tosta di chiamare «rendite» quelli che in realtà sono piccoli risparmi. Ci sbagliavamo. La mancata rivalutazione delle pensioni - non di quelle "ricche", ma di 1.500-2.000 euro - e l'aumento del bollo sui depositi titoli, sono «patrimoniali senza ma e senza se», sottolinea giustamente Claudio Borghi, oggi su il Giornale:
«I milioni di italiani che negli anni hanno aperto un conto titoli non percepiscono alcuna "rendita" ma tentano (di solito senza riuscirci) semplicemente di salvare il proprio capitale dall'inflazione, vera tassa occulta a favore degli Stati indebitati e in danno ai risparmiatori. In molti hanno votato Pdl in avversione alle idee della sinistra e confidando nel principio, sempre ribadito, della tutela del risparmio. Proprio da questo governo devono vedersi arrivare rincari sproporzionati sui depositi titoli e aumenti delle aliquote sulle cedole?... Colpevolizzare la ricchezza, bastonando la povera formica a tutto vantaggio delle solite cicale è una "tara" del comunismo: in bocca alla Camusso è normale, fatto da un governo di centrodestra è scandalo».E ovviamente le banche, che alzano timide il ditino, sanno bene che per loro il superbollo può rivelarsi persino un affare. Come riporta Il Foglio, infatti, «nel comitato esecutivo dell'Abi tenuto ieri c'era comunque la consapevolezza che l'incremento dell'imposta di bollo possa favorire altri strumenti finanziari come depositi vincolati, conti correnti, fondi comuni di investimento e operazioni in pronti contro termine».
Il problema che hanno di fronte a sé Berlusconi e il Pdl è che ormai evitare di mettere le mani nelle tasche degli italiani, e magari ricavare i soldi per un vero taglio delle tasse, il tutto a saldi invariati per azzerare il deficit nel 2014, è un'impresa disperata: bisognerebbe rovesciare radicalmente la manovra, tagliare ancor più violentemente la spesa di amministrazioni centrali e locali, abolire le province e altri enti inutili, allungare da subito l'età pensionabile e fare tutte le riforme liberali che fino ad oggi non sono state fatte. Il tutto mentre Comuni e Regioni, quelli amministrati dal centrodestra in prima fila, ma anche i ministri, sono pronti a tutto pur di difendere il proprio portafogli.
No, purtroppo l'errore, a questo punto insanabile, è a monte. Anzi, a Tremonti: l'aver lasciato per troppi anni la politica economica totalmente nelle mani del ministro del Tesoro, senza porgli fin dal primo giorno della legislatura obiettivi concreti e verificabili di cui chiedergli conto; l'aver accettato supinamente la scellerata teoria Tremonti-Sacconi che durante la crisi non si dovesse toccare nulla, mentre era proprio quello il momento migliore per impostare riforme radicali.
E la colpa - badate bene - non è dell'accentramento nel Ministero del Tesoro di competenze che una volta spettavano ad altri ministeri. Quella continua ad essere una semplificazione irrinunciabile se si vogliono tenere davvero sotto controllo i conti pubblici. La colpa è principalmente di chi era stato indicato dagli elettori nel ruolo di premier, di capo del governo, e del suo partito. Era Berlusconi che avrebbe dovuto fin da subito accentrare su di sé ogni decisione fondamentale, tenere le redini della politica economica, seguire e controllare l'operato del suo ministro, indirizzarlo. Che poi abbia dalla sua qualche alibi, qualche attenuante e qualche giustificazione, questo è vero, ma è un altro discorso e ci porterebbe lontani. Adesso l'impressione è che sia troppo tardi: anche se ci fosse la volontà politica, c'è da dubitare che qualcuno sappia mettere le mani laddove per otto lunghi e critici anni solo Tremonti ha potuto mettere le sue.
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