... bisogna anche saperli abbattere
Tremonti rischia di passare alla storia come il ministro che aveva capito tutto in anticipo ma che ciò nonostante non ha saputo evitare il peggio. Aveva previsto la crisi della finanza e poi il trasferimento di quella crisi sui debiti nazionali, coniando l'efficace metafora della crisi come un videogioco dai "mostri" multiformi. I "mostri" li ha visti in tempo, ma non ha saputo abbatterli. Tremonti per primo ci ha spiegato, e ancora ama ripetere nelle sue lezioncine, che la crisi imponeva un cambiamento di paradigma, eppure lui stesso non ha saputo trarne le dovute conseguenze, sul piano nazionale e per le funzioni che è chiamato a svolgere. Mentre tutto questo accadeva, infatti, Tremonti, insieme al suo compare Sacconi, ci ripeteva che non si potevano fare le riforme durante la crisi.
Quindi avanti così, limitandoci a stringere (giustamente) i cordoni della borsa - ché tanto gli stimoli fiscali, come dimostrano i miliardi di dollari spesi dai contribuenti americani per volere di Obama, sono perfettamente inutili - e con piccoli grandi aggiustamenti contabili, che ci hanno permesso di non sprofondare come la Grecia. Ma adesso sta arrivando il conto di quell'immobilismo e potrebbe essere salatissimo. Il paradigma, nel frattempo, è cambiato davvero, non solo a parole. C'è molta liquidità nei mercati, ma gli investitori sono molto più diffidenti. Che uno Stato indebitato, anche se europeo, possa fallire non è più un'ipotesi così inimmaginabile e allora ecco che ottenere credito costa di più. Soprattutto se non cresci a ritmi tali da poterti permettere di pagare certi interessi. Allora sono guai.
L'Italia entrava nella crisi esattamente in questa situazione: con un debito alto e una crescita anemica. Allora bastava semplicemente restare al di sotto del rapporto deficit/Pil fissato da Maastricht al 3% (ricordate? Sembra passata una vita); ora, ci viene imposto il pareggio di bilancio e un rapporto debito/Pil del 60%. I parametri sono cambiati, quindi se qualcuno pensava che potessimo uscire dalla crisi esattamente come c'eravamo entrati - cioè con debito alto e crescita anemica - be', si sbagliava di grosso. Il fatto che nella nostra debolezza siamo "stabili", che siamo diventati esperti nel gestirla, e quindi per i nostri parametri i "conti sono in ordine", non basta più. E ha ragione Tremonti quando dice che il bilancio si fa per legge, ma la crescita non è nella disponibilità di un governo. Ma proprio per questo riforme strutturali dovevano essere avviate per tempo, mentre adesso rischiamo l'ennesima spremuta di tasse e una nuova svendita di aziende di Stato (con la differenza che stavolta ci sono rimaste solo le migliori).
Non che vada preso per oro colato ciò che scrivono, ma Alesina e Giavazzi, sul Corriere di oggi, spiegano - come anch'io suggerivo nel mio post di ieri - che l'ingresso dell'Italia nel gruppo dei Paesi a rischio, ormai quasi come la Spagna, è principalmente dovuto alla delusione dei mercati per una manovra «troppo sbilanciata sul lato delle entrate e poco sul taglio delle spese», fatta delle solite misure contabili e non di riforme strutturali. Perché altrimenti, non essendo sopravvenute novità nei fondamentali di finanza pubblica e di crescita, gli spread sui titoli italiani avrebbero preso a salire al ritmo di quelli spagnoli solo immediatamente dopo la pubblicazione del decreto?
Gli investitori non si fanno impressionare più solo da cifre roboanti. Valutano la qualità e la credibilità di una manovra. Non si preoccupano più solo del rigore, ma di capire se è in grado di favorire una crescita sostenuta nel lungo periodo. Se, per esempio, ci sono troppe tasse, vuol dire che i soldi in più raccolti oggi verranno presto bruciati e l'attitudine dei politici alla spesa non cambierà di molto. Così come rinviare al 31 dicembre del 2013 non già le privatizzazioni, ma una norma che dovrebbe solo semplificare le procedure di vendita, o addirittura al 2032 l'innalzamento delle pensioni delle donne nel privato, dev'essere apparso una presa in giro, quasi più opportuno non inserirle affatto.
Non che la colpa sia solo di Tremonti. Berlusconi e i partiti di maggioranza conoscevano bene le sue idee quando gli hanno affidato il Tesoro, e non sono stati in grado di sbloccare questo stato di inerzia che tutto sommato faceva comodo anche a loro, perché rinviava negli anni il momento di scelte delicate e politicamente costose. Si è trattato di un deficit di leadership e di convinzioni. E Berlusconi, per motivi anagrafici ma soprattutto per gli attacchi mediatico-giudiziari cui è costretto a far fronte, non pare in grado di rimettersi al timone, di ripuntare l'azione politica del suo governo verso la destinazione promessa agli elettori del centrodestra. Anzi, appare sempre più esautorato, tanto che l'impressione è quella di trovarci già oggi, de facto, sotto un "governo del presidente", cioè del presidente della Repubblica.
L'esperienza di altre crisi finanziarie, avvertono Alesina e Giavazzi, insegna che «la metà di agosto è un momento propizio per gli attacchi», perché «i mercati sono poco liquidi e le decisioni di un piccolo numero di investitori sono facilmente amplificate». Abbiamo quindi ancora qualche settimana di tempo per almeno incardinare due-tre riforme strutturali che convincano i mercati che l'Italia sta davvero mutando paradigma sul peso e il perimetro dello Stato.
3 comments:
conoscevano benissimo le sue idee, tanto da averlo come ministro del tesoro per due legislature e riproporlo dopo la parentesi siniscalco.
oltre a ciò ci hanno detto anche che tutto andava benissimo.
cazzate su cazzate di incompetenti o/e di complici.
Mi sfugge una cosa importante: chi sarebbe in grado di fare le riforme nelle prossime settimane? Ormai stanno tutti al mare
Non mi meraviglio che gli investitori stranieri vendano le loro quote italiane...
Non è speculazione, come ci raccontano, ma oculatezza nella gestione del proprio denaro.
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