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Thursday, April 24, 2008

Era meglio Air France subito, ma mi sbagliavo: la cordata c'è

Dalla qualità del partner internazionale cui Alitalia finirà dovrà essere giudicato l'operato del Governo Berlusconi nella vicenda

Al di là di quanto possa rivelarsi comprensiva la Commissione Ue, non c'è dubbio che ha ragione il Wall Street Journal: il prestito-ponte di 300 milioni concesso dal governo ad Alitalia è un aiuto di stato. I sindacati hanno fatto fuggire i francesi, trovando però in Berlusconi, che manifestava apertamente la sua contrarietà alla loro offerta, definita «irricevibile», una sponda politica importante.

Come commentava ieri Alberto Mingardi, su il Riformista, «una volta di più ce l'abbiamo messa tutta per far capire al mondo le difficoltà di fare affari in Italia».

«La politica è un crocevia obbligato. L'esecutivo uscente ha tutto il diritto di biasimare le "dichiarazioni irresponsabili" della ex opposizione: ma si farebbe fin troppo in fretta a ricordare i casi Autostrade-Abertis e Telecom-AT&T. Entrambe le volte Prodi era riuscito in qualcosa di più grave che non cedere un asset pubblico a un compratore sgradito: aveva reso impossibile ai loro proprietari di disporre liberamente di due realtà ormai privatizzate. L'immagine dell'Italia ne è uscita come sappiamo».
Continuo a pensare che avremmo dovuto svendere, e di corsa, Alitalia ad Air France. E questo a prescindere dalle condizioni offerte dai franco-olandesi. La compagnia è di fatto in fallimento, ha un valore prossimo allo zero, e quindi tutto ciò che potevamo chiedere (e che Spinetta era disposto a concedere) era la conservazione del marchio Alitalia. Bisognava svendere ad Air France soprattutto perché sarebbe stata la soluzione migliore, più rapida, di maggior prestigio e dalle prospettive di sviluppo più promettenti per l'azienda e i lavoratori.

Nel valutare l'offerta, infatti, non bisognava soffermarsi sul prezzo d'acquisto (che comunque difficilmente verrà eguagliato dai prossimi compratori), ma sul piano industriale e sull'affidabilità dell'acquirente. Con Air France saremmo entrati nel primo gruppo aereo al mondo. Era l'unica cosa che contava davvero e ieri Franco Locatelli, sul Sole 24 Ore, l'ha spiegato bene.

I criteri da seguire erano soprattutto il modello di business e la qualità del partner industriale. Sul primo aspetto, spiegava, «nell'evoluzione della moderna industria del trasporto aereo ci sono tre soli modelli di business vincenti: quello delle compagnie low cost, quello delle grandi alleanze internazionali e quello delle compagnie regionali». Nessuna «quarta via». In Europa nessuna compagnia nazionale che punti a operare su scala internazionale riesce a fare profitti e a stare sul mercato con le sue sole gambe. Da sola una compagnia nazionale può solo buttarsi sul low cost o al massimo accontentarsi di diventare un operatore regionale.

Oggi «soltanto l'ingresso in una grande alleanza internazionale può permettere ad Alitalia il raggiungimento della massa critica necessaria» per svolgere un ruolo di primo piano nel trasporto aereo mondiale. Dunque, «l'idea che possa bastare una cordata nazionale ad assicurare un futuro di lunga durata, stabile e profittevole, per Alitalia è pura illusione». Il problema quindi non è quello di trovare imprenditori italiani volonterosi o banche amiche, ma un «partner industriale efficiente, esperto e disponibile a imbarcarsi in un'avventura ad alto rischio... Più ancora di nuovi capitali, che a breve sono certamente necessari, all'Alitalia serve una gestione manageriale finalmente libera dai troppi vincoli politici e sindacali che l'hanno sempre soffocata fino ad affossarla e che solo un'alleanza internazionale può garantire». Siccome oltre ad Air France non se ne vedono molte in giro che fanno al caso nostro, provocare il ritiro della sua offerta non è stata una mossa geniale.

Già, ma adesso? Adesso non credo che Berlusconi pensi seriamente ad Aeroflot come partner industriale: trasporta un terzo dei viaggiatori di Alitalia, possiede aerei ancora più decrepiti, il record di incidenti e di piloti ubriachi. E una privatizzazione a una compagnia statale straniera suona ridicola.

Non credevo che la fantomatica cordata italiana ci fosse davvero. Invece, devo ammettere che con ogni probabilità ci sarà. Anche se continuo a ritenere che sarebbe stato più saggio e molto più semplice svendere ai francesi, devo ammettere anche che il tentativo Ermolli-Letta sembra, dalle notizie che trapelano, più serio di quanto si pensasse. L'ipotesi che si fa strada non è quella di lasciare Alitalia a una cordata di imprenditori (Ligresti e Tronchetti Provera) e banche (Intesa-San Paolo) senza alcuna esperienza nel settore, oppure al massimo ricorrendo a una fusione con AirOne di Toto.

No, il piano è rischioso ma sembra diverso. Lo stesso Oscar Giannino, che da «liberista da anni ripete che occorreva commissariarla», fa notare che «la cordata italiana è qualcosa che nella testa del premier, come di Gianni Letta o di Bruno Ermolli... è di molto diversa da come sinistra e scettici la dipingono». Nessuno di coloro che ne farà parte è «scemo», scrive Giannino: «Sanno che il traffico aereo va gestito da esperti del settore, e in una modularità complementare a una rete e a una flotta integrata nei grandi flussi e nelle grandi alleanze internazionali».

La cordata italiana, dunque, servirà per una ricapitalizzazione (700 milioni-1 miliardo di euro tra imprenditori, banche e AirOne) che consenta alla compagnia di superare lo stato di insolvenza e operare i tagli dolorosi cui accennava Berlusconi. Solo dopo, in una seconda fase, si aprirà la porta al partner estero, dinanzi al quale Alitalia potrebbe presentarsi in condizioni migliori per trattare con pari dignità un'integrazione internazionale.

«Prima o poi una soluzione per Alitalia si troverà, ma il metro di paragone di Air France-Klm resterà», avvertiva ieri Locatelli: «La nuova offerta sarà davvero migliore di quella franco-olandese? Ma migliore per chi? Per i soli dipendenti o anche per i consumatori e per i contribuenti?». La nostra impressione è che sarà certamente inferiore o uguale dal punto di vista del prezzo di acquisto e dei tagli; e che difficilmente la qualità del partner industriale sarà paragonabile al livello di Air France: Lufthansa, British, o qualche compagnia americana (con l'apertura dei corridoi atlantici e gli accordi Open Skies) sono le uniche alternative valide. Al di fuori di queste Alitalia ha solo da rimetterci e la politica avrà fallito di nuovo. E' dal nome del partner internazionale cui verrà venduta Alitalia che potremo dare un giudizio conclusivo sull'operato del governo Berlusconi in questa vicenda.

2 comments:

Anonymous said...

offtopic, ma non tanto...

Per il "ponte" del 25 Aprile mi sono recato nel NordEst e, pur in vacanza con la famiglia, non ho potuto fare a meno di parlare con un po' di Veneti della Lega e della situazione locale.
Come sempre i Padovani ed i Veneziani sono gentilissimi e molto accoglienti e simpatici. Ci vuole un attimo ad entrare in argomento e sembrano quasi desiderosi di spiegarti la loro Lega.
Non è solo questione di sicurezza e di delinquenza da strada (da vicolo) da clandestini magrebini e balcanici, che sono davvero numerosissimi ed un po' minacciosi quando te li trovi alla stazione di Padova e nei dintorni appoggiati per centinaia di metri lungo i muri delle strade a non far nulla, è anche e soprattutto voglia di cambiamento reale.
Ed il cambiamento è la loro Lega.
Non ne possono più da tempo dei politici di mestiere e di affari sia democristiani che post-comunisti. Un gondoliere mi ha spiegato che da giovane si era impegnato col PCI, ma con il tempo la sua disillusione era cresciuta ed il suo voto a Cacciari era più un voto contro la precedente gestione che un voto politicamente convinto. Cmq, anche lui, alle Politiche aveva votato Lega.
Tra l'altro mi ha spiegato con estrema semplicità che il vero male di Venezia non è l'acqua alta, che c'è sempre stata, ma il moto ondoso: "troppa elica, troppa elica, ...si mangia le fondamenta della città con il moto ondoso... ed è tutta elica politica, mi creda..., anche il MOSE è tutta politica...". E forse voleva dire "vecchia politica".
Per strada regalano la Padania, giornalino molto semplice e di modesto interesse tranne la pagina delle lettere al direttore, ed il Gazzettino, giornale vero ed interessante per capire la realtà locale.
Proprio vero che il lavoro da quelle parti è il valore per eccellenza. Nel Padovano verace se provi a chiedere dove andare per le ville del Palladio sul Brenta restano basiti, ma con molta cortesia si fanno in quattro per trovar qualcuno che sappia o abbia mai sentito di queste ville e di questo Palladio... Magari se gli chiedi dove sta il Palladio dei rubinetti o quello degli infissi ti ci portano anche, ma quello delle ville... niente da fare!

P.S.: davvero da ridere il Ciellino Giuliano Ferrara che si è messo a perorare la causa di Formigoni e dei democristiani... Ho sentito l'intervista a D'Onofrio che teme la secessione della Padania e... quella sicula (minchia!!!), roba da sganasciarsi; se i DC sono questi viene spontaneo anche a me un simpatico "va da' via el ciap!".

Forse, laicamente staremo a vedere, il cambiamento passa proprio per la Lega, partito senza ideologie, ma con tante persone ed idee di buon senso.
Vedremo...

Anonymous said...

Una piccola annotazione per Federico.

Ho visto che hai postato su Decidere.net un pezzo di G.Alimonti sui biocarburanti di seconda generazione.
Interessante, ma forse è sfuggita a qualcuno questa assai più interessante intervista di S.Lorenzetto su "Il Giornale" di vari mesi fa all'Ing.L.Patorno:
http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=206400

Ciao.