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Wednesday, November 05, 2008

Generation Obama

America, sei grande! Mi ero ripromesso di andarmene a letto non appena, come avevo previsto, fosse stata chiara la vittoria di Obama. Intorno, al massimo, alle 2:30 qui in Italia, il trend era chiaro. Il margine così stretto in Indiana faceva presumere che l'Ohio si sarebbe comunque colorato di blu. La Virginia faceva ancora sperare McCain, ma in Florida la tendenza per Obama si andava rafforzando, per non parlare della Pennsylvania, quasi subito assegnata. I giochi erano fatti, ma non ho resistito e sono rimasto in piedi fino all'alba attirato dallo spettacolo eccitante che si stava profilando a Chicago. Obama è stato bravo ad attirare su di sé tanto entusiasmo popolare. La folla che si è radunata a Chicago era letteralmente da pelle d'oca.

E forse spiega anche il perché di una vittoria così a valanga, paragonabile solo a quella del 1964 tra le elezioni presidenziali del secondo dopoguerra. La mia impressione, vista l'affluenza record, è che certamente la crisi economica ha dato a Obama la spinta finale, ma che tuttavia, viste le proporzioni, si possa parlare di una vera e propria Generation Obama. E' come se milioni di giovani e di nuovi elettori avessero voluto essere i figuranti di un film colossal che si stava girando su un evento epocale nella storia americana: l'elezione del primo presidente afroamericano.

Anche la crisi economica si è inserita perfettamente in questo plot. Più che chiedersi se le ricette di Obama fossero migliori di quelle di McCain, la mia impressione è che di fronte alla crisi gli americani si siano ancor più convinti che fosse comunque arrivata l'ora di una svolta generazionale. Quanto più la situazione volgeva al peggio, tanto più il gioco valeva la candela. O la va, o la spacca.

Il perfetto spot-documentario di Obama, lungo mezz'ora, trasmetteva esattamente il senso di una grande opportunità a portata di mano, qualcosa di straordinario che stava per accadere, un evento a cui non mancare. Scrivevo, in un post di qualche giorno fa, che «dal punto di vista psicologico la voglia di non mancare ad un appuntamento che con grande maestria Obama e il suo staff sono riusciti ad ammantare di un che di storico potrebbe essere un fattore d'attrazione decisivo». Così è stato: a prescindere dalle sue proposte politiche, per le sue origini e la sua biografia, il fatto stesso dell'elezione di Obama (come d'altronde ha riconosciuto anche McCain) rappresenta un cambiamento storico, che soprattutto giovani e nuovi elettori non hanno voluto mancare.

Obama ha intelligentemente giocato il colore della sua pelle non in modo identitario, come di solito sono inclini a fare i candidati neri, ma come un'opportunità offerta a un'intera nazione di ridefinire la propria identità politica. Si può dire, alla fine, che il fattore razziale lo abbia favorito, anziché danneggiarlo, perché la gente lo ha votato proprio per determinare, tra tante circostanze funeste per l'America, un evento storico che ridefinisse la coscienza collettiva della nazione prim'ancora che l'azione del suo governo.

Rimaneva la questione dell'inesperienza. Che in parte è stata superata, quanto meno nell'elettorato democratico, battendo Hillary Clinton alle primarie; in parte qui Obama è stato aiutato dall'esplodere della crisi economica, che ha sepolto i temi di politica estera e sicurezza nazionale, sui quali era più evidente la superiore sicurezza di McCain.

La festa, occorre dirlo, è stata impreziosita da John McCain. Mi sbilancio affermando che il suo è stato uno dei più bei discorsi di concessione che siano mai stati pronunciati. Non è stata una pura formalità e lo si è sentito dai mugugni che si levavano dalla platea di suoi supporters delusi a Phoenix. Mi è sembrato che McCain fosse sinceramente contento, "commosso" in un certo senso, di aver partecipato anch'egli, seppure nel ruolo di antagonista, ad un evento di cui ha avvertito tutto il significato storico; che fosse orgoglioso di servire una nazione che democraticamente stava effettuando una scelta così coraggiosa, così densa di significati. Mi è parso di cogliere questo senso dalle sue parole, quando ha posto l'enfasi sui grandi passi avanti che l'America ha fatto nell'ultimo secolo.

L'elezione di Obama attesta la vitalità della democrazia americana, in grado di selezionare, forgiare quasi dal nulla, senza più distinzioni razziali, leader sia preparati che carismatici, che non provengono da una delle tante dinastie presidenziali o senatoriali. Dimostra che il sistema funziona, che l'America rimane il paese in cui a nessuno che sia dotato di capacità e determinazione viene negata almeno un'opportunità di arrivare ai vertici: «Nulla in questo Paese è impossibile». Dovrebbero essersene convinti anche coloro che vaneggiavano su una quasi-dittatura di Bush, i più scettici sull'America sia dentro che fuori l'America, a cui si è rivolto lo stesso Obama ieri:
«If there is anyone out there who still doubts that America is a place where all things are possible, who still wonders if the dream of our Founders is still alive in our time, who still questions the power of our democracy, tonight is your answer».
Ecco, se l'elezione di Obama servisse a ridare agli americani fiducia nei potenti mezzi del loro sistema, e al resto del mondo l'ennesima dimostrazione della forza della democrazia, ne sarà comunque valsa la pena.

Politicamente, cosa devono attendersi l'America e il mondo dal presidente Obama (e da un Congresso a solida maggioranza democratica)? E' innegabile che Obama sia ancora una incognita dal punto di vista politico. Troppo breve il suo record senatoriale. Si rivelerà il più radicale dei liberal o il più moderato dei democrat? Un nuovo Kennedy o un nuovo Carter? Saprà prendere decisioni difficili, non scontate, che prescindano dal banale schema destra/sinistra?

Sarà un presidente incline ad espandere la spesa pubblica per realizzare i suoi programmi sociali, tassando i più ricchi. Ciò allevierà alcune situazioni di sofferenza nel breve termine, ma non aiuterà la crescita economica nel lungo. Tuttavia, in vista di un secondo mandato Obama sarà attento a non radicalizzare la sua azione. Certamente non è il "pacifista", il no global e l'anti-liberista che viene dipinto qui in Europa. Nei suoi discorsi riecheggiano una visione interventista in politica estera e un'idea muscolare della leadership americana nel mondo. Vuole il ritiro dall'Iraq, ma da oggi è anche la sua guerra e vorrà vincerla. Manderà più truppe in Afghanistan e come egli stesso ha ripetuto più volte, non esiterà ad usare la forza, «unilateralmente se necessario», per proteggere l'America. L'opzione militare per impedire all'Iran di dotarsi dell'atomica rimane sul tavolo. Non crede che «il momento americano» sia passato, come credono invece Fukuyama e Zakaria, intellettuali che figurano tra i suoi nuovi supporter.

Insomma, ci sono tutti gli elementi perché i più entusiasti fan italiani di Obama a sinistra siano costretti a scaricarlo presto.

6 comments:

Anonymous said...

Macchè Obama, il vero fenomeno ce l'abbiamo noi e non è neppure abbronzato :-DDDDDD

andrea mollica said...

ciao jim
grazie per la risposta sul blog
la mia non era un'analisi del voto, ma una previsione di una parte dell'exit poll, la suddivisione demografica del voto, che ritengo la più significativa. L'ho pubblicato martedì mattina, anche se l'ho scritto nel corso di ottobre. oggi ho risposto a una cosa che ha scritto rocca dove ho messo qualche elemento di riflessione in +, anche se la chiave è la stessa. altro seguirà, se qualche volta passi e leggi mi farà piacere.

a

http://andreamollica.blogspot.com/2008/11/rocca-ha-torto-e-pure-sofri.html

andrea mollica said...

cioè, se non è chiaro, l'ho scritto prima che sapessi sia i risultati che le dinamiche di voto. era una sorta di previsione che ho azzeccato, quantomeno nel risultato finale.avevo messo 52,8 per obama, adesso è 52,5 e credo che obama guadagnerà ancora qualche decimo

JimMomo said...

Ancora complimenti per averci preso in modo così preciso e in anticipo, ma insisto nel dire che un'analisi del voto che guarda solo al fattore demografico è per ovvie ragioni incompleta, come minimo.

Dopo di ché sono d'accordissimo quando dici che McCain ha fatto malissimo ad abbandonare il tema dell'immigrazione. In generale il suo errore, a mio parere comunque non determinante, visti i risultati, è stato quello di aver "sbiadito" la sua indipendenza dal partito, su parecchie cose, non solo l'immigrazione.

Anonymous said...

Vorrei vivere negli Stati Uniti, sono stanco di Berlusconi e di Veltroni

Matteo

barack said...

HO SEGUITO QUESTA CAMPAGNA ELETTORALE DAL 10 FEBRAIO 2007 QUANDO UN CERTO BARACK OBAMA UFFICIALIZZò LA SUA CORSA ALLA CASA BIANCA...DISSI CHE ERA ASSOLUTAMENTE IMPROBABILE UNA SUA VITTORIA ALLE PRIMARIE MA L ONDA DI OBAMA HA TRAVOLTO TUTTI..OGGI è IL NUOVO PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI...UN SOGNO...L AMERICAN DREAM CHE RIVIVE SOTTO AI NOSTRI OCCHI...GLI AMERICANI C INSEGNANO SEMPRE QUALCOSA...HANNO LA FORZA DI CAMBIARE MENTRE NOI SIAMO IN PRIGIONE DA 20 ANNI..CHE VERGOGNA....FATTI UN GIRO NEL MIO NUOVO BLOG....