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Thursday, May 13, 2004

Il «richiamo della libertà». L'arma principale contro il terrorismo
Anche la guerra può portarla con sé. Servono convinzione e capacità, leadership politica
Ernesto Galli della Loggia oggi sul Corriere come punto di partenza. Un editoriale succoso.
«No, non c'erano torturatori tra i soldati americani che il 4 giugno del 1944, risalendo la via Appia, entrarono finalmente a Roma, prima capitale liberata nell'Europa dell'Asse».
Su questo, sarei più cauto, altri tempi, meno tecnologie a portata di mano, controllo serio e stretto delle immagini e della propaganda. Mio nonno prigioniero degli inglesi non se l'è passata bene.
E' vero però che si trattò di un «altro esercito»? Sì, ma secondo me non è questione solo di «cosa sta diventando oggi, in Occidente, lo strumento militare». La leva dava precise caratteristiche agli eserciti, è vero, ma è la politica a condurre le guerre, a fornire le motivazioni e opera - o dovrebbe farlo - coerentemente con gli obiettivi politici e strategici prefissati.
Oltre alle armi più avanzate e al Paese dalla produzione più efficiente, l'esercito che ci liberò sessant'anni fa aveva a disposizione - materialmente e idealmente - nient'altro che armi di attrazione di massa. Cosa ci ricorda infatti Galli della Loggia? «Il tratto disinibito e cordiale dei suoi uomini, senza distinzione di rango; la prodigiosa ricchezza dell'intendenza, vera cornucopia di ogni bendiddio (dalle uova in polvere alla penicillina alle calze di nylon); e infine la quantità di occasioni culturali e d'intrattenimento che facevano da contorno alla sua presenza: i film, i libri, i giornali, le trasmissioni radio, i cicli di conferenze, i circoli per soldati, ai quali anche la popolazione del Paese vinto (spesso anzi essa per prima) ebbe immediato e largo accesso. Per noi l'America fu subito ognuna di quelle tre cose, e tale essa è rimasta e forse rimarrà per sempre, inafferrabile e struggente come il richiamo della libertà».
In Iraq, lamenta Galli della Loggia, tutto questo non c'è. O comunque non si vede, non ha avuto successo, anche se è stato tentato. Non ci sono «banchetti coperti di pacchetti di sigarette americane o ragazzini con la bocca sporca di cioccolato made in Usa. Neppure nei primi giorni ci è giunta l'eco d'una conferenza, di uno spettacolo cinematografico organizzati da una rediviva Psychological Warfare Branch». Da qui l'impressione di un «altro esercito», «fatto solo per il combattimento» e la sua tecnica. Non credo che la questione sia che non rappresenta più «lo specchio del suo grande Paese». L'esercito l'anima ce l'ha se la leadership politica ha la volontà e la capacità di infonderla.
Se Omaha Beach e Guadalcanal sono lontane, non è tanto causa dell'esercito, non più di leva e infangato dalle solite mele marce, ma della leadership politica. Bush ha reagito alla grande dopo l'11 settembre, ha detto le cose giuste, le ha anche fatte, ma ora l'amministrazione sta perdendo la bussola in Iraq. E, al contrario di quanto con faciloneria si pensi, la sta perdendo perché questa non è più la guerra neocons. Non tutto è perso naturalmente, ma occorre fare presto.

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