Quale «svolta»?
Sul tricilo sembra che abbiano deciso. Prendiamo atto.
«Erano due le linee: la prima, aspettare fino all'ultimo l'esito del piano Brahimi per l'Iraq prima di decidere sul ritiro delle truppe italiane (linea Prodi-Amato-Rutelli); la seconda, preparare il terreno alla richiesta di rientro in vista di un fallimento dell'Onu giudicato probabile e imminente (linea Fassino-D'Alema)». La linea che avrebbe prevalso parla di responsabilità e non di guida dell'Onu. «Si tratta di assegnare all'Onu la responsabilità politica e militare del processo di transizione». Dunque la svolta diventerebbe: «l'insediamento di un governo transitorio iracheno rappresentativo e credibile e il dispiegamento di una forza Onu costituita attraverso il coinvolgimento di paesi arabi e musulmani». Ovviamente, è confermato che l'eventuale venir meno di queste condizioni deve impegnare il governo a «predisporre il rientro del contingente italiano». La novità è che non si parla più ultimatum. «Non è il caso di morire sulle date», dice D'Alema nel suo intervento trovando il consenso degli interlocutori. E infatti nel documento finale non compare più alcun riferimento temporale, nemmeno quel 30 giugno che costituiva la vecchia deadline del lodo Zapatero. Così scrive il Riformista
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