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Tuesday, October 09, 2012

Dove cascano gli asini/2

E gli asini sono cascati veramente: gravemente insufficiente. E' il voto della Ragioneria generale dello Stato alla copertura finanziaria prevista dall'articolo 5 della controriforma delle pensioni "Damiano e altri". Altro che i 5 miliardi in 5 anni che qualche irresponsabile ha messo nero su bianco. Si tratta di 17 miliardi, o addirittura di 30 nei prossimi 10 anni. Al di là della cifra esatta una cosa è certa: gli oneri «sarebbero di rilevante entità», tali da compromettere, «sia sul piano finanziario sia sul piano degli obiettivi di innalzamento dell'età media di pensionamento», non solo gli effetti della riforma del 2011 ma anche di tutte quelle degli ultimi dieci anni. Riforme che come osserva l'Fmi pongono l'Italia «nella situazione migliore nel fronteggiare la pressione derivante dall'aumento della spesa previdenziale nei prossimi 20 anni».

In particolare, osserva la Ragioneria, «il reperimento nel settore giochi di ulteriori risorse, rispetto a quelle già previste, presenta un margine troppo elevato di aleatorietà, considerato anche che ulteriori elevazioni del livello di tassazione potrebbero determinare effetti dissuasivi sul gioco stesso».

Purtroppo alla cialtronata hanno partecipato tutti i partiti, dimostrando che quando parlano di "agenda Monti" non sanno cosa dicono. O meglio, hanno in mente solo una comoda zatterona su cui farsi traghettare nella prossima legislatura senza alcuno sforzo programmatico né di rinnovamento. Mentre sanno dare prova di «coesione» solo quando si tratta di tentare di smontare quelle poche riforme portate a casa dal governo Monti. L'unanimità a sostegno della controriforma dimostra inoltre che anche nel centrodestra (Pdl, Lega, Udc), come nel Pd, la maggior parte di coloro che criticano Monti lo fanno da una posizione statalista ed assistenzialista.

Le situazioni dei cosiddetti "esodati" vanno analizzate caso per caso, come sostiene la Fornero e come ha fatto, persino con troppa generosità, il governo. Chiunque proponga di affrontare il problema generalizzando la soluzione (tutti in pensione!), in realtà mira a smontare la riforma Fornero e a caricare i costi della controriforma sulle spalle dei lavoratori, con aumenti contributivi o ulteriori tasse, che soffocherebbero ulteriormente l'economia producendo più disoccupati. Il tutto per garantire ai cinquantottenni buoneuscite e pensioni che le generazioni future non vedranno nemmeno a settant'anni. Un vero e proprio crimine politico, questo sì, contro cui dovrebbero scendere in piazza giovani, studenti e meno giovani, quarantenni, se non fossero indottrinati dalla paccottiglia socialistoide delle scuole e università pubbliche e dei media.

Friday, September 07, 2012

Lo scudo Draghi c'è. Ma la palla passa ai governi

Lo scudo anti-spread c'è, Draghi ha impugnato il "bazooka" che in tanti invocavano, ma il succo è che come previsto non si attiverà in automatico e "gratis", come ricompensa per i progressi compiuti nella politica di bilancio dagli stati in difficoltà, bensì su richiesta formale di questi ultimi e a «severe condizioni». I governi interessati dovranno prima chiedere l'intervento dei fondi Efsf/Esm (quest'ultimo non ancora operativo, in attesa della decisione della Corte costituzionale tedesca), che a sua volta è condizionato alla sottoscrizione di un memorandum di impegni secondo linee guida già previste.
(...)
La contrarietà del presidente della Bundesbank non implica anche quella del governo tedesco, la cui posizione coincide invece con il voto favorevole di un altro membro del direttivo, Joerg Asmussen. «La Bce agisce in modo indipendente, nel quadro del suo mandato», ha dichiarato la cancelliera Merkel apprese le decisioni, pur avvertendo che «tutte le misure necessarie per la stabilità monetaria, come quelle della Bce, non possono sostituire le azioni politiche». Un concetto più volte espresso dallo stesso governatore Draghi: la Bce non può sostituirsi ai governi. Sbagliate, quindi, tutte le ricostruzioni che leggerete e ascolterete sulla Germania «isolata», addirittura umiliata da Draghi. In realtà, il compromesso è il frutto della sintonia e dell'azione combinata di Mario e Angela. Senza la disponibilità alla mediazione di quest'ultima, Draghi avrebbe potuto ben poco.

Dalle modalità operative del programma Omts si deduce che in ultima analisi le «severe condizioni» di cui ha parlato Draghi verranno poste agli stati in sede di attivazione dei fondi Efsf/Esm, quindi in sede politica, dall'Eurogruppo. Se nei memorandum verranno previsti gli impegni già esistenti o condizioni aggiuntive, e se queste saranno severe o morbide, verrà deciso caso per caso. E ovviamente un paese che sta compiendo progressi nel consolidamento fiscale, che sta facendo i suoi "compiti a casa", è ragionevole ritenere che possa strappare condizioni non troppo gravose. Aggiustamento fiscale, riforme e controlli serrati, dunque uno schema non troppo diverso dai piani imposti a Grecia, Portogallo e Irlanda, solo più flessibile. Il nodo delle condizioni verrà sciolto dal negoziato politico, è questa la vera polizza di assicurazione dei tedeschi, e allo stesso tempo il piccolo margine di tolleranza concesso a Spagna e Italia.

Ed ecco perché ora la palla passa ai governi, in primis di Madrid e Roma. Per una duplice ragione. Primo, perché saranno loro a dover decidere se, e quando, chiedere l'intervento dei fondi Efsf/Esm, il solo modo per attivare anche gli acquisti "calmieranti" da parte della Bce; secondo, perché il "bazooka", la cui attivazione è comunque politicamente costosa, resta una toppa, un modo per guadagnare tempo, ma da solo non può risolvere tutti i problemi. Restano essenziali l'attuazione del fiscal compact e le riforme strutturali per migliorare la competitività e rilanciare la crescita.
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Monday, July 30, 2012

Spazzate via le stime ultra-ottimistiche di Monti

«Lo scenario globale è ulteriormente peggiorato. E in Italia la diminuzione del Pil proseguirà» anche nella seconda metà del 2012, seppure con «qualche timido segnale di rallentamento della flessione a partire dall'estate inoltrata». Ma nessuna ripresa entro l'anno. Lapidarie le conclusioni dell'analisi mensile del Centro studi di Confindustria. Quello prospettato è uno scenario coerente con la previsione sul Pil annuo che l'associazione degli industriali ha già diffuso e che tanto ha fatto discutere: quel -2,4% che ha contribuito all'irritazione di Palazzo Chigi per le uscite del numero uno di Viale dell'Astronomia, Giorgio Squinzi. In netto contrasto, infatti, con le stime contenute nel Def di aprile. Il calo dell'1,2% e la ripresa nel 2013 (+0,5%) previsti dal governo sono ormai le stime di gran lunga più ottimistiche rimaste in circolazione, vere e proprie chimere. Sarebbe già incoraggiante se la riduzione del Pil quest'anno si fermasse alle stime indicate da Banca d'Italia e Fmi (-1,9%). Perché si realizzi questa ipotesi la riduzione del prodotto nel II e nel III trimestre dell'anno dovrebbe essere inferiore a quella del I, cioè non andare oltre lo 0,5 e lo 0,4%, e arrestarsi del tutto nel IV (0,0).

Anche dall'andamento del Pil dipende il raggiungimento o meno degli obiettivi di bilancio. Con una perdita dell'1,9%, prevede l'Fmi, il deficit passerebbe dal 2,4% del 2012 all'1,5% nel 2013. Niente pareggio di bilancio nel 2013, dunque, come invece prevede il governo. E il debito, anziché cominciare a calare, continuerebbe a salire: dal 123,4% di quest'anno al 123,8% del prossimo, riuscendo a scendere sotto quota 120 solo nel 2017.

Sembra ormai non più a portata di mano l'ipotesi Monti. Perché si verifichi, infatti, già nel II trimestre il calo del Pil dovrebbe quasi arrestarsi, per poi diventare positivo già dal III (-0,2 +0,3 +0,3). Dati peggiori di -0,2% nel II trimestre sarebbero incompatibili con un -1,2% annuo. L'ottimismo delle stime governative si deve a due fondamentali errori di valutazione: aver sottovalutato l'impatto recessivo di una politica di rigore concentrata su aumenti di tasse piuttosto che su tagli alla spesa; e l'aver sopravvalutato sia l'effetto delle misure per la crescita e delle riforme – scarse le prime e troppo timide le seconde – sia la benevolenza dei mercati. I tassi d'interesse, infatti, continuano ad essere troppo alti per poter favorire una ripresa. Il calo dello spread che mesi fa ha convinto il premier a sbilanciarsi in giudizi troppo ottimistici (crisi «quasi superata»), era dovuto alle operazioni di prestito della Bce. In realtà, la sfiducia sul sistema Italia e sul sistema euro era pressoché immutata, come si è visto nelle ultime settimane, e d'altra parte era irragionevole ipotizzare che la fiducia potesse tornare in così breve tempo, a fronte di riforme strutturali insufficienti, quando non del tutto assenti.

Del tutto fondato, quindi, il pessimismo di Confindustria, e di quanti, tra cui chi scrive, si spingono ad ipotizzare nel 2012 un calo del Pil più vicino al 3%. Perché si realizzi il -2,4% di Confindustria è sufficiente che in tutti e tre i rimanenti trimestri si registri un calo simile a quello del I (-0,8% -0,7% -0,7%). Il 7 agosto il giorno del giudizio, quando l'Istat renderà nota la stima preliminare sul II trimestre. Se inferiore al -0,8% del I trimestre, sarà compatibile con le stime Fmi/Banca d'Italia (-1,9%); se sarà uguale o superiore, vorrà dire che ci avviamo verso l'ipotesi di Confindustria o peggio (-2,4%/-3%).
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Tuesday, July 17, 2012

Torna la tempesta d'agosto: un anno perso?

Altro che Moody's, è l'analisi dell'Fmi sulle prospettive dell'economia globale, dell'Eurozona, e sul rischio di Italia o Spagna di perdere l'accesso ai mercati, a far schizzare lo spread vicino ai 500 punti. L'istituto di Washington sollecita l'attivazione del meccanismo anti-spread, ma Palazzo Chigi fa sapere che al momento non c'è alcuna intenzione né necessità di ricorrervi, anche se non si può escludere per il futuro.

Oltre che sui giudizi delle agenzie di rating bisognerebbe indagare su ciò che ha spinto i grandi quotidiani italiani a presentare Monti come vincitore del vertice europeo del 29 giugno e la cancelliera Merkel come sconfitta. Come avevamo avvertito su queste pagine, la vittoria calcistica ci fu, ma sul piano politico si trattò di un pareggio, di un compromesso. I giornali che non perdono occasione per annunciare improbabili cedimenti tedeschi alla linea Monti sono puntualmente costretti a registrare con imbarazzata sorpresa le parole della Merkel, e a presentarle come "doccia fredda" o "frenata", ma in realtà la posizione di Berlino è sempre la stessa: anche il meccanismo anti-spread verrà attivato solo a precise condizioni (al pari degli altri aiuti) e per di più solo a settembre. Se il termine "troika" è troppo umiliante politicamente perché ricorda la Grecia, chiamatelo pure "paperino", ma la sostanza cambia davvero poco: non sarà né gratis né senza scrupolosi controlli. La Spagna ha ottenuto i fondi per ricapitalizzare le sue banche in cambio di una correzione dei conti da 65 miliardi. Allo stesso modo l’Italia di Monti sta "trattando" le condizioni per l'eventuale ricorso allo scudo anti-spread. In questa chiave vanno lette l'accelerazione sui tagli alla spesa (da 7-8 miliardi a 26 in due anni e mezzo) e le dismissioni per 15-20 miliardi l'anno, l'1% del Pil, annunciate dal neo ministro Grilli (perché solo ora?).
(...)
Monti, da parte sua, parlando di un «duro percorso di guerra», non escludendo il ricorso all'Esm e attaccando la «concertazione» causa di tutti i nostri mali, cerca di preparare gli italiani ad altri possibili shock. Insomma, la sensazione è che il governo si stia preparando alla tempesta di agosto, che potremmo dover affrontare senza lo scudo anti-spread (attivo solo da settembre). Dopo un anno, potremmo ritrovarci nell'identica drammatica situazione dell'estate scorsa. In attesa dello scudo, l'Italia potrebbe essere difesa da una ripresa del programma di acquisti della Bce, ma i 500 miliardi dell'Esm potrebbero comunque rivelarsi insufficienti rispetto agli oltre 400 miliardi da rifinanziare nei prossimi 12 mesi e potremmo quindi aver bisogno dell'intervento anche dell'Fmi.

Per questo dovremo farci trovare pronti a nuovi "compiti a casa", se vorremo evitare un sostanziale commissariamento. La ratifica del fiscal compact e l'approvazione della spending review entro la prima settimana di agosto potrebbero non bastare. Se era ben noto, come lo era, che il nostro vero punto debole rispetto agli altri è l'elevato stock di debito pubblico, perché in tutti questi mesi nessun governo - nemmeno quello tecnico - si è adoperato per abbatterlo subito di diversi punti di Pil? Oggi potrebbe essere troppo tardi.
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Friday, May 18, 2012

I torti di Equitalia e le solite promesse di Monti

Ha fatto bene il presidente del Consiglio non solo a ribadire la ferma condanna degli atti di intimidazione e aggressione subiti da Equitalia e dai suoi dipendenti, ma a manifestare anche fisicamente la sua vicinanza. Speriamo però che nei suoi richiami sulle «polemiche strumentali» e le «parole come pietre» non vi sia il tentativo di confondere le critiche, anche aspre, rivolte al governo e a Equitalia (ai suoi vertici naturalmente) con le nefandezze dei violenti. Perché se il concetto che si vuole far passare è "non criticate Equitalia perché altrimenti ci vanno di mezzo lavoratori incolpevoli", allora l'impressione è che più che tutelarli si voglia usarli come "scudi umani" dello Stato nel dibattito su pressione e repressione fiscale.

Purtroppo le parole che abbiamo ascoltato ieri dal premier Monti non lasciano ben sperare. «Se tutti pagassimo il dovuto, tutti pagheremmo meno e avremmo servizi pubblici migliori» è un'affermazione smentita dai fatti nei decenni, a cui gli italiani fanno bene a non credere più e che ripetere non rafforza certo la credibilità delle istituzioni e di chi è chiamato a riscuotere le tasse per conto dello Stato. L'affermazione andrebbe quindi capovolta: pagare meno per pagare tutti. Anche gli esperti dell'Fmi in missione in Italia, incontrati ieri da Monti, scrivono nel loro rapporto che «più sono elevate le aliquote più aumenta l'evasione», che quindi si combatte tagliando le tasse.
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Wednesday, May 16, 2012

La giornata: Monti promosso a parole, rimandato nei fatti da Fmi

In Grecia sembra partita la corsa agli sportelli, la Spagna teme il contagio, mentre prosegue il pressing Ue per cercare di convincere i greci che il piano di austerità è il male minore possibile. Sembra che i greci, ormai in balìa dei demagoghi, vogliano la botte piena e la moglie ubriaca: non uscire dall'euro ma rinegoziare il piano di salvataggio. Non sono vittime di nessuno, non gli si chiede di eleggere un governo che piace a Bruxelles o a Berlino. Hanno in mano il loro destino, il che non significa però che le libere scelte non abbiano conseguenze anche severe. Ed è dovere dei vertici Ue non minacciare, ma chiarire cos'è in gioco. Democrazia è responsabilità.

Nel duello Merkel-Hollande, alle prime mosse, sembra che si giocherà parecchio sull'ambiguità del termine Eurobond: il presidente francese li evoca, ma quelli che avrebbe posto sul tavolo della cancelliera sono i project-bond, cioè non forme di condivisione del debito ma di finanziamento di opere infrastrutturali, su cui a Berlino sono più disponibili a trattare. Monti intanto si rivolge a Obama per completare l'accerchiamento keynesiano della Merkel che avrà luogo al G8.

In Italia intanto lo stesso presidente del Consiglio che era andato in Asia a dire che la crisi, quella del debito, era ormai «quasi superata», oggi avverte che «siamo ancora nel pieno della fase uno». E ci consola poco sapere che «se la crisi dovesse tracimare, l'Italia ha la coscienza pulita». Che ce ne facciamo della coscienza pulita?

Mentre Monti ed Equitalia sono ancora nel mirino degli anarchici, il premier oggi al Forum della PA ha ringraziato «tutti i dipendenti della pubblica amministrazione che in questa fase di forti tensioni affrontano particolari criticità e persino rischi per la loro incolumità». Se «certa insofferenza è giustificata», chi è chiamato «a funzioni impopolari» merita «rispetto da parte dei cittadini». Peccato non ci sia stato un altrettanto forte richiamo al rispetto dei cittadini da parte dei funzionari, ma pazienza.

Domani su tutti i giornali le conclusioni della missione del Fmi in Italia verranno annunciate con squilli di tromba, un trionfo per Monti. L'Italia «è sulla strada giusta e ha fatto progressi notevoli negli ultimi sei mesi», addirittura un «modello» nell'Ue, è il giudizio complessivo espresso da Reza Moghadam, direttore del Dipartimento europeo del Fmi, con Monti al suo fianco. I «semi della crescita» sono stati già piantati, rivendica il professore, e da sole le riforme porteranno 6 punti di Pil nei prossimi 5-7 anni. In realtà, cercando di andare oltre l'incoraggiamento e il supporto cordiale del Fondo al governo Monti, che appare senza alternative, sono più le ombre che le luci.

Nella relazione, oltre a confermare un calo del Pil nel 2012 del 2%, ben più delle previsioni governative, si evidenziano i molti fronti su cui si è avviato qualcosa ma non si è concluso ancora niente, e quelli in cui si è fatto addirittura l'opposto. Tra le altre cose, bocciati i tempi della separazione Snam-Eni, nulla sugli ordini professionali, punto interrogativo sulla riforma del lavoro, ma soprattutto il Fmi ricorda che il consolidamento dei conti va perseguito tagliando la spesa e abbassando le tasse, l'esatto contrario di quanto fatto finora da Monti, e che l'evasione fiscale si combatte tagliando le aliquote: «Più sono elevate le aliquote più aumenta l'evasione, c'è bisogno di un riequilibrio. I tagli delle tasse ridurranno l'evasione fiscale».

Il Pil contraddice le stime ottimistiche di Monti

Ai tempi del governo Berlusconi un dato Istat come quello diffuso ieri non sarebbe passato quasi inosservato. L'andamento del Pil nel primo trimestre 2012 sembra smentire le stime appena inserite dal governo Monti nel Def, il documento di economia e finanza. Se non le smentisce, perché in fin dei conti si tratta dei primi tre mesi e ne mancano nove alla fine dell'anno, le fa per lo meno apparire eccessivamente ottimistiche. Secondo la stima preliminare dell'Istat, infatti, nel I trimestre 2012 il Pil è diminuito dello 0,8% sul trimestre precedente e dell'1,3% rispetto al I trimestre 2011, nonostante le due giornate lavorative in più rispetto ad entrambi. La crescita acquisita per il 2012 sarebbe pari a -1,3%. Dunque, in un solo trimestre abbiamo già perso più di quanto secondo la previsione governativa avremmo dovuto perdere in tutto il 2012 (-1,2%).
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Tuesday, May 15, 2012

La giornata: psicodramma Euro, Pd-Pdl più a sinistra di Hollande, Pil smentisce stime del governo

Nuova puntata dello psicodramma europeo. In Grecia è fallito l'estremo tentativo di formare un governo tecnico, quindi si torna al voto (praticamente un referendum sull'euro, dentro/fuori) e l'uscita di Atene dalla moneta unica non è più solo un'ipotesi di scuola, ma a questo punto una prospettiva a cui guardare con realismo (e preoccupazione). La direttrice del Fmi Lagarde auspica che la Grecia non lasci l'Eurozona, «ma - ha avvertito - dobbiamo essere tecnicamente preparati a ogni eventualità». I mercati ovviamente hanno reagito male: spread a 450 (rendimento al 6%), Piazza affari perde il 2,5% (ormai a 13.300 punti), euro sotto 1,28 sul dollaro.

Tutto a causa dell'incertezza greca, come in quella terribile settimana del novembre scorso in cui lo spread, schizzato in alto dopo l'annuncio da Atene di un referendum sulle misure europee, disarcionò il governo Berlusconi. Non manca ovviamente chi parla di «dittatura dello spread», ma stavolta commentatori e politici scoprono ciò che non vollero riconoscere allora, e cioè che "la soluzione della crisi passa per l'Europa". Insomma, se l'Italia non è ancora riuscita a sganciarsi dalla forza gravitazionale del buco nero greco stavolta non è perché il governo non ha fatto tutto quello che doveva. Addirittura Casini se la prende con le agenzie di rating per aver declassato 26 banche italiane, denunciando un «disegno criminale», quando solo pochi mesi fa il problema era la credibilità del governo.

Intanto, fulmini permettendo, il presidente francese Hollande, insediatosi oggi all'Eliseo, incontrerà la cancelliera Merkel. Un primo incontro da cui entrambi cercheranno di uscire millantando un successo. Ci sarà molta retorica sulla «crescita», ma molta ambiguità su come fare per stimolarla. Mentre per Hollande ci vuole più spesa pubblica, per la Merkel ci vogliono le riforme strutturali di cui parla Draghi. E' probabile che il presidente francese non partirà all'attacco con le proposte più esplosive, golden rule ed Eurobond, ma si accontenti di iniziare con il passo giusto la sua presidenza, cioè potendo proclamare una prima vittoria, portando a casa un'intesa generica per un «patto per la crescita» da affiancare al rigore, che più avanti prenderà le forme di investimenti con fondi Ue e al massimo project bond.

Sulle proposte più esplosive (golden rule ed Eurobond, appunto), che nemmeno Hollande oserà chiedere alla Merkel, il Pdl mostra di pensarla come Fassina e contro la maggior parte del Ppe, il che purtroppo spiega una delle anomalie politiche del nostro Paese, fino ad oggi condannato ad essere guidato da due sinistre.

Anche Monti, incapace di realizzare vere riforme in Italia e di tagliare la spesa, ormai punta tutte le sue carte nella politica europea per vedere di strappare un ammorbidimento del fiscal compact, tramite deroghe che permettano di scomputare dal rapporto deficit/Pil le spese per investimenti «produttivi». Se giocando di sponda con Hollande e Barroso saprà superare le resistenze tedesche, sarà comunque un processo lungo, mentre la recessione sta mordendo e sta già mettendo in discussione le ottimistiche previsioni del governo.

A contraddirle, proprio oggi, le stime preliminari dell'Istat sul Pil nel I trimestre 2012, praticamente oscurate dai media: un impietoso -0,8% sul trimestre precedente e -1,3% rispetto al I trimestre 2011, nonostante le due giornate lavorative in più rispetto ad entrambi. E crescita acquisita per il 2012 pari a -1,3%. Dunque, in un solo trimestre abbiamo già perso più di quanto secondo la previsione governativa avremmo dovuto perdere in tutto il 2012 (-1,2%). E devono ancora svilupparsi gli effetti recessivi dell'Imu e dell'aumento dell'Iva a ottobre. Evidentemente una stima non in linea con le previsioni del governo, ma con lo scenario del Fmi, che prevede nel 2012 un calo del Pil del 2%. Se così fosse, addio pareggio di bilancio nel 2013.

Tanto è tutta colpa dei "dominatori" tedeschi, del loro cieco rigore, è il coro unanime che si leva dalla politica e dalla stampa nostrane, anche di centrodestra, e guai a far notare che un'austerità così recessiva, solo tasse e niente tagli alla spesa né vere riforme per la crescita, ce la siamo imposti da soli, cioè ce l'hanno imposta non Berlino né la Bce, ma i nostri governi - di sinistra, di destra e "tecnici".

Friday, April 20, 2012

Quel macabro “spread” sui suicidi

A rischio di venire accusati di essere nostalgici del berlusconismo - e non lo siamo, certo non dell'ultima fase - non possiamo però far a meno di notare che stime ottimistiche sui conti pubblici come quelle presentate con un certo compiacimento dal premier Mario Monti non sarebbero state perdonate al Cavaliere. Così come non sarebbe stata perdonata quella caduta di stile (non è la prima, a dire il vero) che il sobrio premier si è concesso citando il numero esatto (1.725) dei suicidi in Grecia, proprio nei giorni in cui le nostre cronache sono piene della triste contabilità sugli italiani, imprenditori e non, che dall'inizio dell'anno si sono tolti la vita, per lo più per crediti non estinti dalla pubblica amministrazione e per vessazioni fiscali e bancarie. D'accordo, professor Monti, dobbiamo a Lei e al suo governo il merito di non averci fatto fare la «drammatica» fine della Grecia, ma ci auguriamo che per convincerci non arrivi ad evocare implicitamente un nuovo tipo di spread, ben più macabro di quello sui rendimenti dei titoli di Stato.
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Thursday, April 19, 2012

La giornata: cresce lo scetticismo sulla ricetta Monti, e intanto Casini sale sul suo predellino

Le stime fin troppo ottimistiche sui conti pubblici (con tanto di nuovo spread Italia-Grecia sui suicidi) non bastano. Ormai lo scetticismo sull'operato del governo dei tecnici si diffonde, all'estero come all'interno. Il Wall Street Journal non abbocca e titola che «l'Italia viene meno all'impegno» del pareggio di bilancio nel 2013. Ovvio, il quotidiano Usa ignora il «benchmark» tutto politico di pareggio di bilancio su cui si sono accordati i Paesi Ue. Più generosi i grandi giornali di casa nostra, con un'eccezione: La Stampa, con un duro editoriale di Luca Ricolfi, che si dice colpito dalla «completa mancanza di concretezza» della conferenza stampa di ieri, da «un linguaggio "ottativo" che meriterebbe di essere studiato già solo per l'audacia con cui ibrida due mostri del nostro tempo, il paludato gergo della burocrazia europea e i manifesti elettorali dei partiti». E con un'intera pagina di critiche da parte di economisti di diverso orientamento.

Le statistiche, d'altra parte, anche quelle di oggi sugli ordinativi industriali – a febbraio -2,5% sul mese precedente e -13,2% su base annua – continuano a prefigurare una recessione ben più acuta di quella stimata dal nostro governo (-1,2%), più vicina alle previsioni del Fmi (-1,9%). Nel frattempo Piazza affari perde un altro 2% e lo spread torna a 400.

E' questo scetticismo che si sta diffondendo la causa della debolezza politica di Monti, le cui tirate d'orecchie ai partiti non sembrano sortire grandi effetti.

C'è grande fermento - si fa per dire ovviamente - sul piano politico. Nonostante la benedizione del professore, le quotazioni della Grande Coalizione sono molto in ribasso. Guarda caso appena Giuliano Ferrara ha ufficialmente sposato «l'unità nazionale» (si scherza). La formula "ABC" «non credo che sia assolutamente una prospettiva politica» per il 2013, dice Bersani a Radio anch'io. Parole molto meno significative di quanto possano apparire. Il senso è che alle politiche ognuno andrà per conto suo - questo è ovvio - ma dopo il voto non c'è una chiusura esplicita.

Per il Pdl la luna di miele con Monti è finita da un pezzo. Il partito è all'offensiva sulle tasse (con i "ya basta!" di Alfano): ottenuta la rateizzazione dell'Imu riesce a far accogliere dal governo un odg per renderla anche "una tantum", ma con la formula «il governo si impegna a valutare l'opportunità di...». «Si impegnerà per trovare risorse alternative e noi lo aiuteremo, evitando buchi di bilancio», assicura Alfano. Poco più di un contentino insomma. Ma i dati economici non confortanti spingono il Pdl a smuovere le acque in cerca di recuperare il rapporto con i propri elettori. All'attivismo del Pdl risponde Casini: ieri a Ottoemezzo ha sparigliato sul finanziamento pubblico ai partiti (facendo sua la proposta Capaldo) e lanciato il "Partito della Nazione" (o come si chiamerà), al cui interno ci sarà anche qualche ministro tecnico, fa sapere sibillino.

Oggi dalle parole ai fatti: ha dato il via all'azzeramento dei vertici dell'Udc in vista della nuova formazione politica, che manco a dirlo si pone l'obiettivo di riunire il campo dei moderati. La mossa provoca subito uno smottamento, da tempo atteso, nel Pdl: Pisanu con 27 senatori, tra cui Dini (il nuovo che avanza), chiede di andare «oltre il Pdl», per partecipare ad «un nuovo movimento liberaldemocratico, laico e cattolico».

Insomma, abbiamo capito che bisogna «unire i moderati», ora bisogna solo decidere chi si intesta la guida dell'operazione, chi ingloba chi. E qui c'è la ressa tra Casini e il Pdl. Ma nessuno sembra ancora aver capito che i cosiddetti "moderati", o meglio il centrodestra non si unisce con operazioni tra apparati; legge elettorale permettendo, si unisce, o si divide, nelle urne, convincendo gli elettori. Il Pdl s'era appena rimesso a parlare - persino con qualche successo - di lavoro, tasse, crescita, insomma ad occuparsi davvero dell'"arrosto", che subito i tre amigos (Casini con i due zombie Fini e Rutelli) e Pisanu hanno tirato il fumogeno. Il momento sembra propizio per dare l'ultima spallata al vecchio centrodestra: la Lega alle corde, Formigoni ha altri problemi, c'è da disgregare il Pdl prima che recuperi smalto e iniziativa politica.

E' una dura lotta per la sopravvivenza quella dei vecchi ceti politici, che rischiano di essere spazzati via da nuove offerte. Casini resta il più furbo (il che non significa il vincente): ha intuito le insidie del tecno-centrismo, che qualche ministro tecnico pensa di giocare una sua partita personale, quindi cerca di preparare un partito nuovo di zecca, ovviamente grancoalizionista, erede dell'esperienza montiana, pronto ad accogliere tutti. Ma proprio tutti, l'importante è che sia lui al centro di ogni equilibrio e di ogni compromesso (al ribasso, per carità). E poi su al Quirinale.

Ma siamo sicuri che i ministri tecnici interessati, o Montezemolo, che i tre amigos del Terzo polo corteggiano da sempre, se e quando scenderanno in campo vorranno farsi accompagnare da Casini, Fini e Rutelli? Che li vorranno come "padrini" politici?

Sull'ottimismo di Monti incombe un armageddon immobiliare

Nel presentare il documento economico e finanziario ieri il premier Mario Monti si compiaceva di aver dato la «prima applicazione» al principio del fiscal compact da parte di un Paese membro dell'Ue. Nonostante la crisi, il governo prevede che l'Italia centrerà già nel 2013 il pareggio di bilancio, sia pure nella versione "politica" accordata in sede Ue. Peccato che le stime su cui si basa tale previsione siano ormai le più ottimistiche in circolazione. Se si discostano solo lievemente da quelle di Bruxelles e della Banca d'Italia, appaiono davvero eccessivamente ottimistiche rispetto alle stime del Fmi.

Nel frattempo, Piazza affari viveva un'altra giornata nera (-2,42%), con lo spread stabile a 385, ma soprattutto giungeva da uno degli istituti di ricerca più autorevoli, il Censis, un inquietante allarme: il possibile crollo del valore degli immobili principalmente a causa dell'Imu.

Se c'era una calamità che l'Italia fino ad oggi era riuscita a schivare era l'esplosione della bolla immobiliare. Ebbene, con l'Imu il governo Monti - i più avvertiti lo avevano segnalato già a dicembre - si è assunto il rischio di sfruculiarla. Si materializzerebbe il peggior incubo se una crisi immobiliare dovesse innestarsi in quella finanziaria ed economica già in atto. Il primo a lanciare l'allarme è stato, ieri, il direttore del Censis, Giuseppe Roma, secondo cui nel 2012 il valore delle case potrebbe crollare del 20%, con punte oltre il 50%.
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Wednesday, April 18, 2012

La giornata: Monti brinda in anticipo al pareggio di bilancio e benedice la Grande Coalizione

Habemus Def (qui il testo). Dopo tre giorni di limature per evitare di gettare i mercati nello sconforto, il governo Monti presenta le sue stime, eccessivamente ottimistiche (soprattutto rispetto a quelle del Fmi), e festeggia - con troppo compiacimento (la «prima applicazione» del fiscal compact), e con troppo anticipo - il raggiungimento del pareggio di bilancio nel 2013. Siamo appena entrati nel II trimestre dell'anno, solo il I ha costretto tutti gli organismi ad una decisa virata al ribasso delle stime del Pil, ed è ancora difficilmente prevedibile l'effetto recessivo delle tasse che gli italiani dovranno pagare nei prossimi, su tutte l'Imu (e l'Iva a ottobre). In realtà è sempre più probabile che anche l'Italia, dopo la Spagna, manchi i suoi obiettivi di bilancio. Sotto accusa l'austerità imposta dalla Germania ai Paesi eurodeboli, che ha accentuato la recessione, ma è pur vero che né Bruxelles né Berlino né il Fmi hanno imposto che l'austerità dovesse significare una spremuta di tasse e basta anziché tagli alla spesa e vere riforme.

Purtroppo, tutto è politica. Più che i numeri conta la stima di cui si gode a Bruxelles e a Washington, com'è lo stesso premier ad ammettere: commentando le preoccupanti stime del Fmi, si dice più «confortato» dai pareri sulle politiche del suo governo espressi dal ministro tedesco Schauble o da un suo portavoce, dalla Lagarde e dagli Usa, che non da mezzo punto in più o in meno di Pil. Sempre finché si accontentano i mercati...

Monti poi non rinuncia a piazzare l'ennesima spudorata promessa (in stile berlusconiano) sui tagli di tasse che «in futuro» saranno possibili grazie alla lotta all'evasione, nonostante abbia appena stralciato l'apposito fondo dalla delega fiscale; usa toni drammatici («ci battiamo ogni giorno per evitare il drammatico destino della Grecia») per ricompattare attorno al governo forze politiche e opinione pubblica; e torna a far leva sull'untore preferito dei difensori della spesa pubblica, l'evasore fiscale. Ma soprattutto fornisce la giustificazione economica per il compimento di quel disegno squisitamente politico che lo porta, a scapito delle riforme, a non tirare troppo la corda con i partiti: la Grande Coalizione. «Siamo un governo breve chiamato a svolgere un compito lunghissimo», ricorda in conferenza stampa, e «se le forze politiche che sostengono il governo, con grande senso di responsabilità, dovessero condividere questa piattaforma triennale e farla propria, in tutto o in parte, sarebbe un punto importante e una leva di fiducia nel lungo periodo nei confronti dell'Italia». Insomma, duratura la crisi, durature le sfide per la crescita, duraturo pure il percorso di risanamento, le forze politiche non potranno che proseguire nello «sforzo collettivo» anche dopo le elezioni del 2013.

Anche se il Pdl, attivo in questi giorni su fisco e lavoro per ritrovare l'empatia con i propri elettori delusi e arrabbiati, è in frenata. Fa la voce grossa sulle tasse (ora basta! grida Alfano dai tg). Niente strappi, ma la luna di miele è finita e non c'è spazio per certe convivialità. Berlusconi quindi annulla il pranzo con Monti, che aveva solleticato la fantasia dei retroscenisti. Non è uno sgarbo al professore. Al contrario, giura, un gesto per allentare la tensione, «per non alimentare polemiche e per evitare o prevenire insinuazioni malevole su questioni inerenti le frequenze televisive». Incontro rinviato a quando con il Pdl avrà valutato i provvedimenti su fisco, in particolare quelli che riguardano la casa, e crescita. Tra questi addirittura «una cinquantina» ne ha annunciati ieri sera Passera. La sensazione è che si tratti di coriandoli, fumo negli occhi per placare l'insistenza con la quale da più parti si invocano politiche per la crescita.

Monti dice di essere uscito dal vertice notturno di ieri con un «nuovo patto politico» siglato con ABC. La riforma del lavoro dovrebbe procedere in modo spedito, anche perché saranno accolte le richieste delle imprese fortemente sponsorizzate dal Pdl, ma sul resto vedremo. Intanto oggi il governo ha dovuto chiedere una nuova fiducia, sul dl fiscale (senza sconti Imu ad anziani e disabili ricoverati), e la decisione del premier di non presentarsi agli spring meetings del Fmi al G20 economico e finanziario denota una certa apprensione per il fronte politico interno.

Sulle stime ottimistiche di Monti incombe però una specie di armageddon immobiliare. Il Censis è il primo istituto di ricerca autorevole a lanciare un inquietante allarme su quello che definisce "l'effetto-Imu": gli italiani starebbero inondando il mercato di seconde case, il che in assenza di domanda potrebbe provocare un crollo verticale del valore degli immobili, che alla fine del 2012 potrebbe calare anche del 20%, con punte del 50%. Con quali effetti sui mutui (il 22% delle famiglie che ne stanno pagando uno sono già oggi in difficoltà) e sugli asset immobiliari delle banche? Meglio non pensarci, un incubo.

Tuesday, April 17, 2012

La giornata: su Monti la doccia fredda dei numeri e il pressing del Pdl

Nel giorno della risalita di Piazza affari (+3,68%) e della relativa calma dello spread (stabilizzatosi a 380 punti), sono altri i numeri che non permettono a Monti di dormire sonni tranquilli. Per carità, il giudizio del Fmi sulle sue politiche è incoraggiante, anche se un tantino cauto, e il rialzo delle previsioni della crescita mondiale è un buon segnale, ma le stime sull'Italia non lasciano presagire nulla di buono: il Pil italiano si contrarrà nel 2012 dell'1,9% e nel 2013 dello 0,3%. Primi segnali di ripresa solo nel quarto trimestre del 2013. Previsioni bollate subito come «troppo pessimiste» dal direttore generale di Bankitalia, Fabrizio Saccomanni, che evidentemente con Monti a Palazzo Chigi sente più il gioco di squadra.

Ciò significa, sempre secondo le previsioni del Fondo, che l'Italia non raggiungerà il tanto sospirato pareggio di bilancio almeno fino al 2017, un orizzonte temporale davvero troppo distante. Una doccia fredda che arriva proprio nel giorno dell'approvazione al Senato, a cui il premier ha voluto presenziare, della norma sull'effimero "equilibrio" di bilancio in Costituzione. Il rapporto deficit/Pil - prevede il Fmi - passerà dal 2,4% del 2012 all'1,5% nel 2013, per calare fino all'1,1% nel 2017; e il debito dal 123,4% di quest'anno al 123,8% del prossimo, riuscendo a scendere sotto quota 120 solo nel 2017 (118,9%). Previsioni molto severe, che in realtà sottolineano ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, che senza tagli alla spesa, che consentano di ridurre la pressione fiscale su lavoro e impresa, e abbattimento dello stock del debito, la strada verso il risanamento rischia di essere sì virtuosa ma troppo, troppo lunga. I mercati potrebbero non concederci tutto questo tempo.

Va però tenuto conto, come ricorda il responsabile del fiscal monitor Fmi, che l'Ue valuta il raggiungimento degli obiettivi di bilancio «al netto degli effetti del ciclo», cioè della recessione. Insomma, se il Pil fosse zero e non in negativo, saremmo praticamente in pareggio di bilancio. Basterà ai mercati l'artificio contabile di Bruxelles?

Nel frattempo il governo aggiusta al ribasso anche le sue stime, che avrebbe dovuto presentare già lunedì. Nella bozza del Def si prevede un fin troppo ottimistico Pil a -1,2% nel 2012 (+0,5% nel 2013), mentre il rapporto deficit/Pil dovrebbe passare dall'1,7% del 2012 allo 0,5% del 2013. In sostanza, per il governo verrebbe raggiunto il pareggio di bilancio già nel 2013 (deficit zero «reale», cioè non corretto per il ciclo, solo nel 2015), dunque già nel 2014 il debito scenderebbe sotto quota 120 (118,3%). Com'è evidente, tutto dipende dal Pil, sul quale però la previsione più realistica sembra il -2% del Fmi. Senza tacere, poi, l'ennesimo record di pressione fiscale nel 2013, quando toccherà quota 45,4% al lordo dell'evasione.

Sul piano politico la giornata di Monti si conclude con la grana dei partiti. Stasera, infatti, il vertice di Monti con ABC. Il premier in mattinata ha subito messo in chiaro che si aspetta collaborazione, anzi strada spianata: «Le tensioni delle ultime settimane dimostrano che non possiamo e non dobbiamo abbassare la guardia, occorre continuare a lavorare per porre le finanze pubbliche su una base più sana e proseguire nelle riforme». Ma sono ancora aperti i dossier delle modifiche alla riforma del lavoro, sulla flessibilità in entrata, su cui insiste il pressing congiunto delle imprese, e delle tasse, con il Pdl che dopo aver ottenuto la rateizzazione dell'Imu è determinato a renderla "una tantum" e a impedire che l'Iva aumenti a fine settembre, mentre irrompe anche la polemica sulla riapertura dell'asta per le frequenze tv.

Missione: salvare la spesa pubblica

Se nel decreto "Salva-Italia" si è fatto ricorso quasi esclusivo all'aumento della tassazione non è stato per la necessità, invocata espressamente dal governo Monti, di agire in tempi ristrettissimi nell'emergenza dello scorso novembre. Se il risanamento è «un po' sbilanciato sul lato delle entrate», come osserva eufemisticamente Christine Lagarde nell'intervista di oggi al Sole24Ore, è per una consapevole scelta politica. E' quanto fa intendere lo stesso direttore del Fondo monetario internazionale: evidentemente al Fondo devono aver chiesto spiegazioni di un tale sbilanciamento sul lato tasse piuttosto che sui tagli alla spesa. «E' una scelta politica, ci ha detto Monti, e noi la rispettiamo».

Un particolare dell'intervista passato quasi inosservato ma che a mio avviso conferma i nostri sospetti. Non è un caso, né una necessità o un'impossibilità a fare altrimenti, se il governo aumenta le tasse e non ha in programma nemmeno nei prossimi mesi cospicui tagli di spesa per ridurle, bensì una chiara scelta politica: salvaguardare i livelli attuali di spesa pubblica, ritenuti evidentemente compatibili con l'uscita del Paese dalla crisi finanziaria ed economica.

Il rischio però, come avverte Ricolfi oggi su La Stampa, è che in questo modo dall'alternativa tra «salvare il Paese» e fare la fine della Grecia passiamo all'alternativa molto meno allettante tra fare la fine della Grecia subito o farla tra qualche mese/anno, cioè «semplicemente ritardare il momento del disastro». Al governo Monti anche Ricolfi rimprovera di avere «una visione del problema della crescita non molto dissimile da quella dei governi che lo hanno preceduto», laddove «persevera sul sentiero, battuto fin qui da tutti i governi di destra e di sinistra, della prima e della seconda Repubblica, di affrontare i problemi di bilancio con maggiori tasse anziché con minori spese».

Una cultura «vecchia», inadeguata, che si esprime anche nella «mentalità con cui affronta chi osa non allinearsi al clima di venerazione e gratitudine da cui è circondato».E' vero che non ci sono alternative al governo Monti, ma da qui a paragonare il premier o alcuni suoi ministri alla Thatcher, o a scambiare la mancanza di alternative con una pretesa infallibilità ce ne vuole. Davvero insopportabile (e molto berlusconiano) questo additare - attribuito a Monti nei retroscena ma non smentito - un presunto «fuoco amico» come colpevole della risalita dello spread.

Persino la Lagarde - dalle cui labbra pendono i mercati e che quindi non può permettersi di silurare l'unica speranza di salvezza dell'Eurozona incarnata da Monti - un paio di colpetti al governo tecnico li ha assestati: promosso sulle politiche di risanamento, anche se troppo sbilanciate sulle tasse, ma rimandato sulla riforma del lavoro, di cui segnala diplomaticamente l'arretramento sull'articolo 18.

Friday, November 04, 2011

Sorvegliati speciali

Il monitoraggio Fmi sull'implementazione delle riforme su cui il governo si è impegnato con l'Ue e il G20, che sia stato richiesto o imposto, certifica, come d'altronde ha ammesso esplicitamente la direttrice del Fondo, Christine Lagarde, che il problema dell'Italia è «la mancanza di credibilità» delle misure annunciate. I mercati dubitano che verranno mai realizzate. Ma non illudiamoci che dipenda solo dai demeriti, innegabili, del governo. Si tratta di una mancanza di credibilità, come più volte ho ripetuto su questo blog, "di sistema", delle forze politiche, economiche e sociali, e della stessa opinione pubblica, che in grandissima parte si oppongono ai cambiamenti necessari. Da qui consegue che non basterà cambiare governo per risolvere i problemi, come ci ha ricordato ieri un portavoce di Obama.

Le parole della Lagarde però implicano anche che i cosiddetti fondamentali sono solidi, a conferma di quanto il governo non si stanca di ripetere, irriso da media e commentatori. Se sbaglia il governo, sbaglia anche la Lagarde a individuare principalmente nella «credibilità» il nostro problema. Era inevitabile che la Borsa e gli spread sui nostri titoli risentissero del nostro quasi commissariamento sancito dal G20. L'interessamento dell'Fmi è di per sé la conferma che la situazione è molto seria e gli investitori ne traggono le conseguenze, ma credo che nel medio periodo il monitoraggio, meritato oltre che imbarazzante per la nostra politica e lo stesso governo, non possa far altro che bene al nostro Paese, costringendoci a rispettare gli impegni.

Ma un effetto più pesante su Borsa e spread potrebbe averlo provocato a mio avviso l'offerta di fondi da parte dell'Fmi. Non vedo perché questa volta il premier si sarebbe dovuto inventare una cosa del genere. E' probabile che in effetti l'offerta ci sia stata. Ma peggio che bugiardo, scellerato Berlusconi a rivelarlo solo per pavoneggiarsi di aver rifiutato i fondi. Ovvio che per i mercati è di per sé allarmante che siano stati offerti. E infatti più tardi la Lagarde ha dovuto smentire: l'Fmi «non ha offerto fondi» all'Italia, perché l'Italia «non ha bisogno di linee di credito precauzionali». Questa sì una gaffe molto sciagurata.

Comunque, se è lecito ironizzare sul nostro premier quando dichiara che l'attacco ai nostri titoli è una «moda passeggera», per la cronaca sembra echeggiare proprio Berlusconi il presidente Obama quando afferma che «la crisi in molti casi è psicologica» e che «l'Italia è un grande Paese, con un'enorme base industriale, grande ricchezza, grandi risorse». Ma lui è cool, può permettersi di dire qualsiasi cosa, non rischia di essere sbertucciato.

Thursday, March 26, 2009

La Cina spadroneggia e alza il tiro delle sue pretese/2

Il tema che da qualche mese più appassiona gli analisti è se, e in che misura, il mondo uscirà dalla crisi con un nuovo ordine economico internazionale; e se, e quanto, il potere si sposterà da occidente verso oriente, dagli Stati Uniti alla Cina. Ha fatto molto scalpore quindi la proposta "shock" - tra la boutade e la provocazione - lanciata due giorni fa dal presidente della Banca centrale cinese: sostituire in futuro il dollaro come valuta di riserva internazionale con una moneta unica mondiale gestita dal Fondo monetario internazionale. La relazione del governatore Zhou Xiaochuan, insolitamente pubblicata anche in inglese, dà il segno delle ambizioni di Pechino alla vigilia del G20 che si aprirà a Londra il prossimo 2 aprile. Una proposta ad oggi irrealistica, ma che indica la volontà della Cina di vedersi risconosciuto un peso maggiore all'interno delle istituzioni economiche internazionali come il Fondo monetario, la Banca mondiale e il WTO, oggi ancora troppo americano-centriche rispetto alla accresciuta influenza della Cina sull'economia globale.

«Come se il dollaro non avesse già abbastanza problemi», ha commentato il Wall Street Journal, Geithner ieri «ha abboccato» e ha risposto che è «abbastanza aperto» a considerare la cosa. Immediatamente il dollaro è andato giù portandosi dietro i mercati azionari, prima che il segretario al Tesoro «si riprendesse» dicendo che «il dollaro rimane la valuta di riserva dominante nel mondo. E penso che continuerà ad esserlo a lungo». «Lo status del dollaro come valuta di riserva dà agli Stati Uniti enormi vantaggi - osserva il WSJ - e dovrebbe essere difeso strenuamente. Significa che non dobbiamo ripagare i nostri debiti in valuta straniera e che il nostro costo del denaro è più a buon mercato».

Tuttavia, avverte il quotidiano Usa, «significa anche che gli Stati Uniti non conducono la politica monetaria solo per se stessi, ma anche per molta parte del mondo» e che «quando gli Stati Uniti cadono nella tentazione di svalutare la loro moneta, procurano degli shock all'intero sistema economico globale». Il Tesoro e la Federal Reserve, spiega il WSJ, stanno «inondando» il mondo di dollari per interrompere la recessione. E' ovvio quindi che «il mondo si stia giustamente innervosendo», per il rischio che il dollaro perda troppo valore, impoverendo le riserve soprattutto di chi, come la Cina, ha investito in asset e titoli di Stato americani. La Banca centrale cinese è il primo detentore di T-Bills, i Bot americani, per 750 miliardi di dollari. A settembre, la Cina ha scalzato il Giappone come primo creditore di Washington. Inevitabile quindi che la questione del rifinanziamento del debito pubblico Usa sia stata al centro della missione di H. Clinton, che ha portato a Pechino un messaggio chiaro:
«Apprezziamo molto la costante fiducia del governo cinese verso i titoli del Tesoro americano. Sono certa che sia una fiducia ben riposta. America e Cina si riprenderanno dalla crisi economica e insieme guideremo la crescita mondiale».
Ma i cinesi temono che l'esplosione del debito pubblico Usa possa provocare una caduta del dollaro, il che decurterebbe il valore delle loro riserve. Tuttavia, se non comprano i Buoni del Tesoro Usa emessi per pagare il piano anti-crisi e i salvataggi bancari, il mercato americano, sbocco principale delle esportazioni cinesi, non sarà più in grado di sostenere l'economia del gigante asiatico. La crisi infatti spaventa anche Pechino. Di recente la Banca mondiale ha ancora una volta ritoccato al ribasso le sue previsioni sulla crescita cinese nel 2009, fissandole a +6,5 per cento, molto meno dell'obiettivo (+8 per cento) che la leadership di Pechino si è prefissata per prevenire tensioni sociali e disoccupazione. Se quindi gli Stati Uniti dipendono dalla Cina per i loro debiti, la Cina dipende dai mercati americani, e mondiali, per le sue esportazioni e la sua crescita.

La Cina continuerà a finanziare il debito Usa? Tutto sembra indicare di sì, ma quale sarà il prezzo politico che chiederà all'America? Innanzitutto, dobbiamo aspettarci che non voglia subire passivamente la politica economica del suo principale debitore e che voglia contare di più nella governance globale. Per questo molti analisti e commentatori negli Stati Uniti chiedono al governo di affrontare con urgenza il problema del debito pubblico, riducendo la dipendenza dai creditori (e rivali) esteri e recuperando così spazi di manovra nella politica estera e di sicurezza.

Un'analisi dell'istituto di geopolitica e intelligence Stratfor spiega che in realtà la Cina non ha altre possibilità che investire il proprio surplus commerciale «in asset americani in generale, e nel debito Usa in particolare». La tanto temuta «opzione nucleare» - la possibilità cioè che la Cina schianti l'America abbandonando all'improvviso tutti gli asset - «non è un'opzione». Vendere tutti i Bot americani in massa non è possibile. Il volume è tale che non possono essere scambiati velocemente e, quindi, solo iniziare a farlo comporterebbe il crollo dei titoli in questione, e di conseguenza la distruzione di tutti i risparmi accumulati dai cinesi in questi anni.

Harold James, su Foreign Policy, azzarda invece un suggestivo parallelo tra la Grande Depressione degli anni '30 e la crisi attuale. La Gran Bretagna era la potenza finanziaria dominante nel XIX secolo, ma uscì finanziariamente stremata dalla Prima guerra mondiale e piena di debiti proprio nei confronti degli Stati Uniti. Oggi, gli Stati Uniti sembrano giocare il ruolo della Gran Bretagna degli anni '30 - un'economia altamente indebitata - e la Cina il ruolo di principale creditore come gli Stati Uniti di allora. Nel mezzo dell'attuale crisi finanziaria, la Cina ha di fronte lo stesso «dilemma» americano degli anni '30 nei confronti dell'Europa: «Ingoiare il rospo e aiutare a salvare gli stessi paesi che ci hanno condotti in questa situazione, o guardare ai suoi interessi di breve termine?».

La Cina avrebbe fondati motivi per prendere sia l'una che l'altra strada. Per ora sembra non volersi tirare indietro, anche se chiederà certamente di contare di più nelle istituzioni economiche internazionali, ma secondo Harold James potrebbe anche chiedere al «vecchio mondo» qualcosa di difficile da accettare: «La transizione da un modello americano a un modello cinese di capitalismo, che - come negli anni '30 - non sarebbe un cambiamento facile per noi».

Friday, November 21, 2008

Meno tasse e riforme contro la crisi/2

Se la crisi economica è globale, la risposta può essere solo globale, non nazionale. E' così che la pensa il ministro Tremonti, che ribadisce questo concetto ogni volta se ne presenta l'occasione. Ritiene che sia tutto sommato irrilevante o poco rilevante ciò che decide il governo italiano. In sostanza, dice, il governo ridurrà il debito, non alzerà le tasse, farà tutte le politiche che servono, ma la soluzione alla crisi dipende da ciò che si decide fuori dall'Italia.

Come scrivevo alcune settimane fa, io penso invece che l'Italia, per cause interne, sia la più fragile e la più esposta alla crisi tra i Paesi sviluppati. Ci troveremmo in una situazione migliore, e ci potremmo risollevare più rapidamente, se venissero realizzate le riforme di cui abbiamo urgente bisogno. Faremmo bene quindi a guardare al nostro interno. E' da lì che viene il male dell'Italia, prim'ancora che dalla crisi internazionale, e Tremonti dovrebbe concentrarsi su quello, non sui massimi sistemi.

E così sembrano pensarla anche gli ispettori del Fondo monetario internazionale. Se la recessione in Italia «sarà probabilmente meno pesante che in molte altre economie avanzate per effetto della relativa solidità del sistema bancario», tuttavia l'eventuale ripresa sarà «lenta e debole», perché «la capacità dell'economia di riprendersi sarà rallentata da rigidità strutturali, mancanza di competitività interna, dalla lentezza dei processi di ristrutturazione e dalla contenuta risposta sul fronte fiscale».

Per questo, secondo il Fmi, l'agenda per le riforme strutturali in Italia «ha bisogno di un più intenso rilancio». In particolare, «ulteriori liberalizzazioni nel commercio al dettaglio e nei servizi (specialmente professionali), una deregolamentazione del mercato energetico, l'eliminazioni dei veti incrociati per i progetti di creazione di infrastrutture che abbiano interesse nazionale». E' anche necessaria «una seconda generazione di riforme del mercato del lavoro»: «rafforzare il legame tra stipendi e produttività, permettere una differenziazione salariale in base alle regioni, rendere i contratti a tempo indeterminato più flessibili».

Più flessibilità dei contratti a tempo indeterminato, come ci siamo sforzati più volte di spiegare, per fare in modo che non siano solo i lavoratori con contratti atipici a sopportare gli svantaggi della flessibilità, e per determinare più ricambio tra chi è dentro - e inamovibile, a prescindere da meriti e competenze - e chi non riesce a entrare nel mondo del lavoro - nonostante meriti e competenze. Più si allarga la platea dei lavoratori flessibili, meno acuti e prolungati saranno gli aspetti negativi della flessibilità.
«[La] metà non protetta dei lavoratori... porta sulle spalle tutta la flessibilità di cui il sistema ha bisogno; mentre nella metà protetta l'inamovibilità genera inefficienze gravi e anche posizioni di rendita inaccettabili. Il precariato permanente è l'altra faccia dell'inamovibilità dei "lavoratori regolari"»
Pietro Ichino (25 febbraio 2008)
Per ridurre la precarietà bisognerebbe "spalmare" quel rischio, riequilibrare l'area delle tutele, riducendola agli insiders ultragarantiti che continuano a usufruire di una stabilità anacronistica, che neanche tiene conto del merito, ed estendendola agli outsiders.