Anche su Notapolitica e L'Opinione
Cosa possiamo aspettarci dal governo Letta? Quando, all'indomani del voto, abbiamo indicato come unica via possibile - per superare l'impasse determinato dal pareggio elettorale e per arginare lo tsunami grillino - quella di un governo Pd-Pdl, abbiamo anche sostenuto una precisa "road map": cioè che dovesse porsi come scopo quello di realizzare 3/4 riforme fulminee, poche cose ma buone, in 6-12 mesi massimo, per poi riportare il paese alle urne in un contesto di rinnovata (quanto più possibile) credibilità della politica, alleggerimento della pressione fiscale, bipolarismo e governabilità rafforzati.
Tra le riforme di sistema spiccano come minimo sindacale il dimezzamento dei parlamentari, il superamento del bicameralismo perfetto, l'abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, la riforma della legge elettorale. Ma non una qualsiasi. L'unico sistema in grado di ripristinare legittimazione democratica degli eletti e governabilità è l'uninominale, a turno unico o doppio, associato all'elezione diretta del presidente della Repubblica (o del premier). Si può fare in un anno. A questo nuovo assetto dovrebbe mirare il dialogo costituente tra Pd e Pdl nella Convenzione per le riforme annunciata oggi dal neo premier.
Sul fronte economico, il governo Letta dovrebbe affrontare l'emergenza fiscale: in breve tempo si può abolire l'Imu sulla prima casa, si possono evitare gli aumenti Iva e Tares, risolvere le questioni Cig ed "esodati", defiscalizzare le assunzioni, mentre sembra meno realistico, seppure sempre auspicabile, imporre allo Stato una dieta dimagrante tale da rendere possibile l'abolizione dell'Irap (servirebbero 25-30 miliardi di tagli alla spesa). In ogni caso, al livello di pressione fiscale a cui siamo giunti, non c'è spazio per essere troppo "choosy": che sia Imu o Irap, l'importante è cominciare a tagliare. Per quanto riguarda il lavoro, urgente anche la cancellazione della riforma Fornero, che introduce rigidità sulle forme contrattuali in ingresso ma non certezze sui licenziamenti senza giusta causa.
Questi i contenuti sulla base dei quali giudicheremo, nei prossimi mesi, l'operato del governo Letta, da cui dipenderà a nostro avviso il suo successo o il suo fallimento.
Ma il discorso programmatico su cui oggi alla Camera il premier Letta ha chiesto la fiducia non lascia ben sperare. Molta retorica, paternalismi, scontatezze, un fiume di concetti e obiettivi condivisibili, ma anche furbizie democristiane, bilancini, poca concretezza. Molte tasse in meno, ma nessuna indicazione - proprio nessuna! - sui tagli alla spesa pubblica necessari per la «riduzione fiscale senza indebitamento» che ha indicato come «obiettivo continuo e a tutto campo». Nessun accenno nemmeno alla vendita del patrimonio pubblico e alla liberalizzazione del mercato del lavoro. Mai più al voto con il "porcellum", ma nessuna indicazione, nemmeno di massima, sul sistema di voto verso cui si vuole approdare. Nemmeno citata l'ipotesi di riforma presidenzialista. In generale, una frettolosa, e pretenziosa declamazione enciclopedica di cose da fare che ci ha trasmesso un forte senso di perdita di priorità, un minestrone ad elevato rischio di inconcludenza.
Pur definendo il suo un «temporaneo governo di servizio» - e la grande coalizione che lo sostiene un fatto politico «eccezionale», così come, d'altra parte, le circostanze che l'hanno resa necessaria (il pareggio elettorale, la crisi economica, le regole da riscrivere) - Letta ha pronunciato un ambiziosissimo discorso "di legislatura", a cui nessuno però può realisticamente credere, contraddicendo lui per primo quel «linguaggio della verità» a cui dice di ispirarsi. L'orizzonte temporale del suo governo va dai sei mesi ai due anni (molto più probabilmente un anno). Così stando le cose, sarebbe stato più utile, e più credibile, inchiodare le forze politiche che sostengono il governo a pochi impegni, ma precisamente delineati.
Apparentemente le questioni che stanno a cuore ai due principali partiti di maggioranza, Pd e Pdl, c'erano tutte, ma non in termini così stringenti come sarebbe stato opportuno. Letta ha parlato di «superare» l'Imu sulla prima casa, offrendo per il momento una sospensione dei pagamenti di giugno, «per dare il tempo a governo e Parlamento di elaborare una riforma complessiva»; di «rinuncia» all'aumento dell'Iva; di un fisco «amico dei cittadini», affinché la parola "Equitalia" non procuri «brividi»; di detassazione del lavoro «stabile» (per giovani e neoassunti); di sburocratizzazione, rivedendo il sistema delle autorizzazioni. Ma anche delle delicate questioni Cig ed "esodati", di «reddito minimo», di welfare «più universalistico e meno corporativo», estendendo gli ammortizzatori sociali ai precari.
Ma al di là dei contenuti, l'obiettivo politico dell'esecutivo Letta si conferma essere una vera e propria pacificazione nazionale: dopo «vent'anni di attacchi e delegittimazioni reciprohe», di «risse inconcludenti», bisogna capire che «come italiani si perde o si vince tutti insieme», e si può fare se ci concentriamo sulle soluzioni «politiche», anziché sulla dialettica «politica». Con l'invito ad abbandonare spade e armature, per scendere a valle armati come Davide contro Golia solo di «fiducia e coraggio», Letta esorta tutte le forze politiche alla pacificazione, che passa inevitabilmente per una legittimazione di Berlusconi come attore politico non emarginabile.
Banco di prova di questa pacificazione sarà la Convenzione per le riforme da cui dovranno uscire quelle modifiche condivise alla nostra Costituzione tanto a lungo attese. E' qui che Letta lancia il suo ultimatum: se tra 18 mesi verificherà che i lavori della Convenzione non sono avviati verso il successo, che veti e incertezze minacciano di «impantanare tutto per l'ennesima volta», ne trarrà le conseguenze, dimettendosi. Ma davvero la politica, i partiti, hanno tutto questo tempo - 18 mesi! - per riformare legge elettorale e forma di governo? Il governo non rischia di uscire di scena ben prima che Letta abbia il tempo di attuare la sua ultimativa forma di pressione sui partiti?
La luna di miele con i mercati, e tra i partiti che lo sostengono, durerà probabilmente fino a novembre. Poi si vedrà. Ma la sensazione è che l'esecutivo abbia pagato a caro prezzo l'esigenza di rinnovamento e ringiovanimento. Il Pd da una parte e Berlusconi dall'altra sono sufficientemente coinvolti da rivendicare la paternità dell'operazione se le cose dovessero mettersi per il meglio, ma non a tal punto, forse, da rimpiangere troppo di sfilarsi in caso contrario, abbandonando al loro destino figure politiche tutto sommato "sacrificabili", al governo più che altro per farsi le ossa. E' tutta qui, oltre alla complessità delle sfide che si trova di fronte, naturalmente, la fragilità politica del governo Letta.
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Monday, April 29, 2013
Monday, January 28, 2013
TentennaMonti
Anche su Notapolitica e L'Opinione
«Ho verso Berlusconi sentimenti di gratitudine e sbigottimento. Ammetto di fare una certa fatica a seguire la linearità del suo pensiero». Lo stesso sarcasmo usato da Mario Monti durante la conferenza stampa dello scorso 23 dicembre, oggi potrebbe venire usato contro di lui. Al professore dobbiamo senz'altro gratitudine, per aver contribuito a salvare (per il momento) l'Italia dal baratro finanziario in cui stava per precipitare nel novembre 2011, per avergli restituito una certa credibilità, ma facciamo molta fatica, oggi, a seguirlo nel suo "flip-flopping" elettorale, spesso all'interno di una stessa intervista. Dal tema delle tasse a quello delle alleanze, in quattro settimane il premier uscente è stato capace di sostenere tutto e il contrario di tutto, senza riuscire ad inquadrare un target preciso nell'elettorato.
Al governo ha basato la politica di consolidamento fiscale sull'aumento delle tasse piuttosto che sui tagli alla spesa – mentre non solo non era l'unica via praticabile, ma anche quella esplicitamente sconsigliata da Draghi. Tutti ricordiamo i toni sprezzanti con i quali, sempre nell'incontro con la stampa del 23 dicembre, stroncò la "promessa" di Berlusconi di abolire l'Imu: l'anno successivo, ammonì, si sarebbe dovuta reintrodurre l'imposta, ma addirittura «doppia». Oggi, in piena campagna elettorale, scopriamo che pensare di ridurre le tasse, in particolare l'Imu, non è poi così da irresponsabili. Parlando a Omnibus, su La7, Monti propone un alleggerimento dell'Imu di 2,5 miliardi: dunque, 1,5 i miliardi che ballano tra la sua proposta e quella "irresponsabile" di Berlusconi. Di più: ora Monti si impegna a ridurre la spesa pubblica corrente sul Pil di 4,5 punti in cinque anni, più o meno quanto Berlusconi e Giannino, e nello stesso periodo a tagliare tasse per 27 miliardi di euro, tra Irpef e Irap. Eppure, «io non prendo impegni, non faccio promesse», rivendicò orgogliosamente una decina di giorni fa a SkyTg24. Oggi siamo già a «non vogliamo fare promesse, ma prendere impegni seri». Si è convinto a fare anche lui promesse "irresponsabili", o forse non erano poi così irresponsabili quelle degli altri?
Prima, durante i mesi di governo, Monti non fa altro che ringraziare i partiti della "strana maggioranza" per il senso di responsabilità dimostrato nel sostenere i provvedimenti in Parlamento, pagandone i costi politici. Una volta "salito" in politica, li accusa invece di aver opposto resistenze che hanno impedito di portare fino in fondo le riforme. Ma poi, stamattina ad Omnibus, nonostante tutto rilancia la «grande coalizione» come «politica necessaria» per fare le riforme. Ma come, dopo averne denunciato i veti e le resistenze, con quegli stessi partiti vorrebbe riproporre una grande coalizione per le riforme?
Qualche giorno fa l'intesa post-elettorale con Bersani sembrava cosa fatta, o quanto meno uno sbocco inevitabile, nelle parole e nei fatti del professore e delle figure di spicco tra le forze che lo sostengono. Impugnava la roncola contro Berlusconi e il centrodestra, mentre solo qualche pizzicotto al Pd; poi, all'improvviso, l'apertura anche al partito e al «popolo» di Berlusconi, ma senza Berlusconi. Una cosa è certa: scordatevi di conoscere prima del voto le reali intenzioni del professore: a Radio anch'io, qualche giorno fa, ammetteva candidamente lui stesso che «al momento non c'è nessuna possibilità di sapere con chi saremo e contro di chi». La confusione è tanta, e il sospetto è che Monti sia semplicemente alla ricerca di sponde e poteri di interdizione per imporre il suo bis a Palazzo Chigi senza averne i voti. Sarà anche la persona più seria, preparata e affidabile possibile, ma votereste per qualcuno che non prende impegni e non sa o non vuole dire a chi porterà in dote i vostri voti?
«Ho verso Berlusconi sentimenti di gratitudine e sbigottimento. Ammetto di fare una certa fatica a seguire la linearità del suo pensiero». Lo stesso sarcasmo usato da Mario Monti durante la conferenza stampa dello scorso 23 dicembre, oggi potrebbe venire usato contro di lui. Al professore dobbiamo senz'altro gratitudine, per aver contribuito a salvare (per il momento) l'Italia dal baratro finanziario in cui stava per precipitare nel novembre 2011, per avergli restituito una certa credibilità, ma facciamo molta fatica, oggi, a seguirlo nel suo "flip-flopping" elettorale, spesso all'interno di una stessa intervista. Dal tema delle tasse a quello delle alleanze, in quattro settimane il premier uscente è stato capace di sostenere tutto e il contrario di tutto, senza riuscire ad inquadrare un target preciso nell'elettorato.
Al governo ha basato la politica di consolidamento fiscale sull'aumento delle tasse piuttosto che sui tagli alla spesa – mentre non solo non era l'unica via praticabile, ma anche quella esplicitamente sconsigliata da Draghi. Tutti ricordiamo i toni sprezzanti con i quali, sempre nell'incontro con la stampa del 23 dicembre, stroncò la "promessa" di Berlusconi di abolire l'Imu: l'anno successivo, ammonì, si sarebbe dovuta reintrodurre l'imposta, ma addirittura «doppia». Oggi, in piena campagna elettorale, scopriamo che pensare di ridurre le tasse, in particolare l'Imu, non è poi così da irresponsabili. Parlando a Omnibus, su La7, Monti propone un alleggerimento dell'Imu di 2,5 miliardi: dunque, 1,5 i miliardi che ballano tra la sua proposta e quella "irresponsabile" di Berlusconi. Di più: ora Monti si impegna a ridurre la spesa pubblica corrente sul Pil di 4,5 punti in cinque anni, più o meno quanto Berlusconi e Giannino, e nello stesso periodo a tagliare tasse per 27 miliardi di euro, tra Irpef e Irap. Eppure, «io non prendo impegni, non faccio promesse», rivendicò orgogliosamente una decina di giorni fa a SkyTg24. Oggi siamo già a «non vogliamo fare promesse, ma prendere impegni seri». Si è convinto a fare anche lui promesse "irresponsabili", o forse non erano poi così irresponsabili quelle degli altri?
Prima, durante i mesi di governo, Monti non fa altro che ringraziare i partiti della "strana maggioranza" per il senso di responsabilità dimostrato nel sostenere i provvedimenti in Parlamento, pagandone i costi politici. Una volta "salito" in politica, li accusa invece di aver opposto resistenze che hanno impedito di portare fino in fondo le riforme. Ma poi, stamattina ad Omnibus, nonostante tutto rilancia la «grande coalizione» come «politica necessaria» per fare le riforme. Ma come, dopo averne denunciato i veti e le resistenze, con quegli stessi partiti vorrebbe riproporre una grande coalizione per le riforme?
Qualche giorno fa l'intesa post-elettorale con Bersani sembrava cosa fatta, o quanto meno uno sbocco inevitabile, nelle parole e nei fatti del professore e delle figure di spicco tra le forze che lo sostengono. Impugnava la roncola contro Berlusconi e il centrodestra, mentre solo qualche pizzicotto al Pd; poi, all'improvviso, l'apertura anche al partito e al «popolo» di Berlusconi, ma senza Berlusconi. Una cosa è certa: scordatevi di conoscere prima del voto le reali intenzioni del professore: a Radio anch'io, qualche giorno fa, ammetteva candidamente lui stesso che «al momento non c'è nessuna possibilità di sapere con chi saremo e contro di chi». La confusione è tanta, e il sospetto è che Monti sia semplicemente alla ricerca di sponde e poteri di interdizione per imporre il suo bis a Palazzo Chigi senza averne i voti. Sarà anche la persona più seria, preparata e affidabile possibile, ma votereste per qualcuno che non prende impegni e non sa o non vuole dire a chi porterà in dote i vostri voti?
Thursday, July 26, 2012
Fate presto: solo Monti può salvarci da Bersani
Anche su L'Opinione
La gioiosa macchina da guerra 2.0 scalda i motori, scalpita, non vede l'ora di prendersi tutto il bottino, non pensa minimamente di condividerlo. Altro che Monti-bis, sarà un governo al 100% politico, con Bersani che si sente Hollande (e D'Alema e Casini che sognano il Colle). La tentazione di andare al voto anticipato a novembre è sempre più forte, straripante nel Pd. Bisogna anticipare imprevisti, colpi di scena, come quello che nel '94 li fece rimanere a bocca asciutta. E tra le motivazioni inconfessabili, non ultima la possibilità di far saltare i tagli alla spesa allo studio e quelli già decisi la cui attuazione è prevista entro fine anno (pubblico impiego, ma anche la riduzione dei parlamentari). D'altra parte, e sono gli argomenti "presentabili", i mercati non danno respiro nemmeno al governo tecnico e soffrono l'incertezza politica. Poi vedete, cari Monti e Napolitano, com'è inaffidabile il Pdl – che vota in ordine sparso sul fiscal compact, sabota le riforme con il semipresidenzialismo e ricandida Berlusconi? Ci vuole una maggioranza «univoca».
Ma il presidente Napolitano ha avvertito che non si va al voto senza una nuova legge elettorale. Per questo il Pd la vorrebbe prima della fine dell'estate, mentre il Pdl non ha alcuna fretta. Bersani ha definito «stravagante» discutere di voto a novembre, ma non l'ha nemmeno escluso: «A settembre-ottobre vediamo com'è, non sappiamo come passiamo agosto». Più che un indizio: subito la legge elettorale, «poi si vede», cioè da quel momento in poi l'opzione/ricatto delle urne sarebbe esercitabile a seconda della convenienza.
In atto il tentativo – da capire se con o senza il concorso di Napolitano e Monti – di marginalizzare il Pdl, presentandolo come forza irresponsabile, inaffidabile oggi con Monti, figuriamoci in una eventuale grande coalizione che dovesse rendersi necessaria in futuro. Lo schema è quello di una sorta di nuovo "arco costituzionale": il Pd come perno, con alleati di governo l'Udc alla sua destra o Vendola e Idv a sinistra, o entrambi se disponibili alle "larghe intese". Questa per Bersani l'area del «patto progressisti-moderati» per uscire dalla crisi, mentre il Pdl rientra tra i «populismi». In queste ore, e nelle prossime settimane, si farà di tutto per enfatizzare le presunte prove di irresponsabilità del Pdl, che dovrebbe quindi evitare di offrire pretesti, nella speranza di rinsaldare il patto con l'Udc, che però, come ha fatto capire ieri Casini, non ci starebbe a reggere il moccolo al Pd senza Pdl in una coalizione sbilanciata a sinistra.
Ma è ingenuo, o in malafede, chi crede che il Pd sia un affidabile prosecutore della cosiddetta "agenda Monti", sulla quale Bersani continua a mostrarsi evasivo e in totale stato confusionale, come mostrano il suo intervento al convegno di ieri e l'attacco al cuore della spending review, indicando nei due settori più "spendaccioni", enti locali e sanità, i «2-3 punti da cambiare».
Ad allarmare i mercati più dell'incertezza sul futuro politico del paese è solo la quasi-certezza di un governo egemonizzato dalla sinistra politica e sindacale (le cui spinte Casini non riuscirebbe a controbilanciare). Ma è proprio questo lo scenario verso cui stiamo precipitando con le mosse di Bersani-D'Alema-Casini, e stante l'estrema debolezza del Pdl e l'assenza di nuove offerte politiche nel centrodestra. Bisogna darsi una mossa, o c'è il rischio di non dare ai cittadini una vera alternativa al governo Bersani-Camusso, nemmeno quella di un Monti-bis. Rompa gli indugi il Pdl, escano allo scoperto i "montiani" del Pd e l'Udc, si facciano vive nuove offerte politiche liberali, se ci sono, si mobilitino le forze produttive, ma bisogna chiedere a Monti di restare, e di candidarsi, se si vuole arrestare la gioiosa macchina da guerra 2.0.
La gioiosa macchina da guerra 2.0 scalda i motori, scalpita, non vede l'ora di prendersi tutto il bottino, non pensa minimamente di condividerlo. Altro che Monti-bis, sarà un governo al 100% politico, con Bersani che si sente Hollande (e D'Alema e Casini che sognano il Colle). La tentazione di andare al voto anticipato a novembre è sempre più forte, straripante nel Pd. Bisogna anticipare imprevisti, colpi di scena, come quello che nel '94 li fece rimanere a bocca asciutta. E tra le motivazioni inconfessabili, non ultima la possibilità di far saltare i tagli alla spesa allo studio e quelli già decisi la cui attuazione è prevista entro fine anno (pubblico impiego, ma anche la riduzione dei parlamentari). D'altra parte, e sono gli argomenti "presentabili", i mercati non danno respiro nemmeno al governo tecnico e soffrono l'incertezza politica. Poi vedete, cari Monti e Napolitano, com'è inaffidabile il Pdl – che vota in ordine sparso sul fiscal compact, sabota le riforme con il semipresidenzialismo e ricandida Berlusconi? Ci vuole una maggioranza «univoca».
Ma il presidente Napolitano ha avvertito che non si va al voto senza una nuova legge elettorale. Per questo il Pd la vorrebbe prima della fine dell'estate, mentre il Pdl non ha alcuna fretta. Bersani ha definito «stravagante» discutere di voto a novembre, ma non l'ha nemmeno escluso: «A settembre-ottobre vediamo com'è, non sappiamo come passiamo agosto». Più che un indizio: subito la legge elettorale, «poi si vede», cioè da quel momento in poi l'opzione/ricatto delle urne sarebbe esercitabile a seconda della convenienza.
In atto il tentativo – da capire se con o senza il concorso di Napolitano e Monti – di marginalizzare il Pdl, presentandolo come forza irresponsabile, inaffidabile oggi con Monti, figuriamoci in una eventuale grande coalizione che dovesse rendersi necessaria in futuro. Lo schema è quello di una sorta di nuovo "arco costituzionale": il Pd come perno, con alleati di governo l'Udc alla sua destra o Vendola e Idv a sinistra, o entrambi se disponibili alle "larghe intese". Questa per Bersani l'area del «patto progressisti-moderati» per uscire dalla crisi, mentre il Pdl rientra tra i «populismi». In queste ore, e nelle prossime settimane, si farà di tutto per enfatizzare le presunte prove di irresponsabilità del Pdl, che dovrebbe quindi evitare di offrire pretesti, nella speranza di rinsaldare il patto con l'Udc, che però, come ha fatto capire ieri Casini, non ci starebbe a reggere il moccolo al Pd senza Pdl in una coalizione sbilanciata a sinistra.
Ma è ingenuo, o in malafede, chi crede che il Pd sia un affidabile prosecutore della cosiddetta "agenda Monti", sulla quale Bersani continua a mostrarsi evasivo e in totale stato confusionale, come mostrano il suo intervento al convegno di ieri e l'attacco al cuore della spending review, indicando nei due settori più "spendaccioni", enti locali e sanità, i «2-3 punti da cambiare».
Ad allarmare i mercati più dell'incertezza sul futuro politico del paese è solo la quasi-certezza di un governo egemonizzato dalla sinistra politica e sindacale (le cui spinte Casini non riuscirebbe a controbilanciare). Ma è proprio questo lo scenario verso cui stiamo precipitando con le mosse di Bersani-D'Alema-Casini, e stante l'estrema debolezza del Pdl e l'assenza di nuove offerte politiche nel centrodestra. Bisogna darsi una mossa, o c'è il rischio di non dare ai cittadini una vera alternativa al governo Bersani-Camusso, nemmeno quella di un Monti-bis. Rompa gli indugi il Pdl, escano allo scoperto i "montiani" del Pd e l'Udc, si facciano vive nuove offerte politiche liberali, se ci sono, si mobilitino le forze produttive, ma bisogna chiedere a Monti di restare, e di candidarsi, se si vuole arrestare la gioiosa macchina da guerra 2.0.
Wednesday, July 25, 2012
Ci salvi chi può da Bersani
Due i dati politici emersi dal convegno "Italia 2013" che si è tenuto oggi pomeriggio alla Camera.
1) secondo Casini del patto progressisti-moderati, che dovrebbe continuare anche nel 2013, dovrebbe far parte anche il Pdl, mentre per Bersani no, la disponibilità del Pd alle larghe intese tra progressisti e moderati si ferma all'Udc. S'incrina l'intesa che il Pd credeva di avere in pugno con l'Udc?
Dice Casini che «se un patto va sottoscritto è quello di fare le persone serie. I partiti che hanno appoggiato Monti, anche chi non è qui come il Pdl, hanno mostrato responsabilità nei confronti del Paese. Su questo patto di serietà e responsabilità dobbiamo continuare per il futuro, perché non vedo alternative per l'Italia». No, quindi, a «coalizioni ottenute sommando di tutto pur di arrivare al 51%». Ma Bersani si è detto «non del tutto d'accordo» con Casini, perché a suo avviso «serve una maggioranza politica univoca, che prende una strada e la percorre fino in fondo». Già, la strada per la Grecia. Fino in fondo.
2) Bersani è completamente in stato confusionale, fuori dalla realtà, "unfit" per costituzione mentale a guidare il Paese, un caso pietoso. I lanci d'agenzia sul suo intervento sono davvero imbarazzanti. Qualcuno, meglio se del suo partito, dovrà spiegargli che non può candidarsi a premier. I mercati non lo farebbero nemmeno avvicinare al Quirinale per l'incarico.
E' evasivo sull'"agenda Monti", su cui divaga con frasi senza senso («l'ordito da cui non possiamo uscire è l'Europa»), e non ha la minima idea delle prorità che lo aspettano alla guida del Paese. Un po' per sfuggire alla concretezza dei temi economici e un po' per darsi un tono, parla di «scelte sul piano tecnico ed economico ormai spiattellate», di «rilancio culturale», di una «riunione a porte chiuse con venti filosofi e un po' di storici»; avverte che «sta venendo meno una materia prima, quella della solidarietà», che «il vero spreco è la disuguaglianza» e che «se non ci mettiamo dentro un po' di equità perdiamo il controllo della situazione»; confida che se toccasse a lui governare «la prima cosa che faccio non è economica, ma dire che un figlio di immigrati è italiano». Insomma, oggi la supercazzola di Bersani ha toccato vette mai raggiunte prima, difficilmente imitabili anche per il Crozza più in forma.
1) secondo Casini del patto progressisti-moderati, che dovrebbe continuare anche nel 2013, dovrebbe far parte anche il Pdl, mentre per Bersani no, la disponibilità del Pd alle larghe intese tra progressisti e moderati si ferma all'Udc. S'incrina l'intesa che il Pd credeva di avere in pugno con l'Udc?
Dice Casini che «se un patto va sottoscritto è quello di fare le persone serie. I partiti che hanno appoggiato Monti, anche chi non è qui come il Pdl, hanno mostrato responsabilità nei confronti del Paese. Su questo patto di serietà e responsabilità dobbiamo continuare per il futuro, perché non vedo alternative per l'Italia». No, quindi, a «coalizioni ottenute sommando di tutto pur di arrivare al 51%». Ma Bersani si è detto «non del tutto d'accordo» con Casini, perché a suo avviso «serve una maggioranza politica univoca, che prende una strada e la percorre fino in fondo». Già, la strada per la Grecia. Fino in fondo.
2) Bersani è completamente in stato confusionale, fuori dalla realtà, "unfit" per costituzione mentale a guidare il Paese, un caso pietoso. I lanci d'agenzia sul suo intervento sono davvero imbarazzanti. Qualcuno, meglio se del suo partito, dovrà spiegargli che non può candidarsi a premier. I mercati non lo farebbero nemmeno avvicinare al Quirinale per l'incarico.
E' evasivo sull'"agenda Monti", su cui divaga con frasi senza senso («l'ordito da cui non possiamo uscire è l'Europa»), e non ha la minima idea delle prorità che lo aspettano alla guida del Paese. Un po' per sfuggire alla concretezza dei temi economici e un po' per darsi un tono, parla di «scelte sul piano tecnico ed economico ormai spiattellate», di «rilancio culturale», di una «riunione a porte chiuse con venti filosofi e un po' di storici»; avverte che «sta venendo meno una materia prima, quella della solidarietà», che «il vero spreco è la disuguaglianza» e che «se non ci mettiamo dentro un po' di equità perdiamo il controllo della situazione»; confida che se toccasse a lui governare «la prima cosa che faccio non è economica, ma dire che un figlio di immigrati è italiano». Insomma, oggi la supercazzola di Bersani ha toccato vette mai raggiunte prima, difficilmente imitabili anche per il Crozza più in forma.
Saturday, April 21, 2012
Il predellino di Pier, ma nessuno muore dalla voglia di salirci
Un nuovo soggetto politico che nasce con l'intenzione di mettere insieme due delle etichette politiche più abusate, vuote e ormai insignificanti della nostra politica - moderati e riformisti - non parte col piede giusto.
Niente di nuovo, la nascita del Terzo polo come soggetto unitario era annunciata.
Ma il perché di questa accelerazione va rintracciato nel particolare momento politico. Si tratta infatti di cominciare a dare le ultime spallate al vecchio centrodestra prima che il quadro cambi: con la Lega alle corde, Formigoni piuttosto inguaiato, bisogna disgregare il Pdl prima che recuperi smalto e iniziativa politica. La mossa infatti ha subito provocato uno smottamento, per la verità atteso da tempo e ovviamente concordato con i vertici Udc: Pisanu e Dini, con 27 senatori (non tutti però disposti ad archiviare il Pdl), firmano un documento in cui si chiede di andare «oltre il Pdl».
Il Pdl, seppure non si possa ancora dire che sia in ripresa, alcuni segnali di vita li sta dando: parla di lavoro, tasse, debito, crescita, insomma è tornato ad occuparsi di cose concrete, dell'"arrosto". E persino con qualche successo: modifiche alla riforma del lavoro in asse con le imprese; rateizzazione dell'Imu e odg per renderla "una tantum". Ed è proprio questo ritrovato protagonismo del Pdl, di Alfano in particolare, che deve aver convinto Casini per l'accelerazione. Quello delle proposte, degli emendamenti ai testi del governo, dell'incalzare il premier Monti, è un campo di gioco in cui il Terzo polo al momento, per il suo incondizionato appoggio all'esecutivo, non può toccar palla. Ecco quindi che i tre "amigos", con la sponda di Pisanu, hanno tirato il fumogeno nel campo avversario, spostando l'attenzione dai contenuti, con i quali il Pdl si stava rilanciando, ai contenitori.
Casini è ossessionato dai contenitori piuttosto che dai contenuti, è il leader del compromesso "a prescindere". La riforma del lavoro esce fuori timida, persino dannosa? Fa niente, l'importante è lo «sforzo collettivo» in sé, la Grande Coalizione, ed esserne il celebrato architetto. Ha intuito le insidie del tecno-centrismo, che qualche ministro tecnico può pensare di giocare una sua partita personale, che nuove offerte politiche (tra cui quella di Montezemolo) possono trovare ampi spazi nel campo dei moderati dopo il passo indietro di Berlusconi. Quindi ha deciso di giocare d'anticipo, di allestire un nuovo carro nel quale è pronto ad accogliere tutti, anche a farsi scudiero. Non ambisce alla premiership (troppo lavoro), ma alle poltrone istituzionali (il Quirinale è il sogno di tutti i democristiani). L'importante è che sia lui al centro di ogni equilibrio e di ogni compromesso. Ma siamo sicuri che Passera o Montezemolo, o chiunque altro, se e quando scenderanno in campo, vorranno farsi accompagnare da Casini, Fini e Rutelli?
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Niente di nuovo, la nascita del Terzo polo come soggetto unitario era annunciata.
Ma il perché di questa accelerazione va rintracciato nel particolare momento politico. Si tratta infatti di cominciare a dare le ultime spallate al vecchio centrodestra prima che il quadro cambi: con la Lega alle corde, Formigoni piuttosto inguaiato, bisogna disgregare il Pdl prima che recuperi smalto e iniziativa politica. La mossa infatti ha subito provocato uno smottamento, per la verità atteso da tempo e ovviamente concordato con i vertici Udc: Pisanu e Dini, con 27 senatori (non tutti però disposti ad archiviare il Pdl), firmano un documento in cui si chiede di andare «oltre il Pdl».
Il Pdl, seppure non si possa ancora dire che sia in ripresa, alcuni segnali di vita li sta dando: parla di lavoro, tasse, debito, crescita, insomma è tornato ad occuparsi di cose concrete, dell'"arrosto". E persino con qualche successo: modifiche alla riforma del lavoro in asse con le imprese; rateizzazione dell'Imu e odg per renderla "una tantum". Ed è proprio questo ritrovato protagonismo del Pdl, di Alfano in particolare, che deve aver convinto Casini per l'accelerazione. Quello delle proposte, degli emendamenti ai testi del governo, dell'incalzare il premier Monti, è un campo di gioco in cui il Terzo polo al momento, per il suo incondizionato appoggio all'esecutivo, non può toccar palla. Ecco quindi che i tre "amigos", con la sponda di Pisanu, hanno tirato il fumogeno nel campo avversario, spostando l'attenzione dai contenuti, con i quali il Pdl si stava rilanciando, ai contenitori.
Casini è ossessionato dai contenitori piuttosto che dai contenuti, è il leader del compromesso "a prescindere". La riforma del lavoro esce fuori timida, persino dannosa? Fa niente, l'importante è lo «sforzo collettivo» in sé, la Grande Coalizione, ed esserne il celebrato architetto. Ha intuito le insidie del tecno-centrismo, che qualche ministro tecnico può pensare di giocare una sua partita personale, che nuove offerte politiche (tra cui quella di Montezemolo) possono trovare ampi spazi nel campo dei moderati dopo il passo indietro di Berlusconi. Quindi ha deciso di giocare d'anticipo, di allestire un nuovo carro nel quale è pronto ad accogliere tutti, anche a farsi scudiero. Non ambisce alla premiership (troppo lavoro), ma alle poltrone istituzionali (il Quirinale è il sogno di tutti i democristiani). L'importante è che sia lui al centro di ogni equilibrio e di ogni compromesso. Ma siamo sicuri che Passera o Montezemolo, o chiunque altro, se e quando scenderanno in campo, vorranno farsi accompagnare da Casini, Fini e Rutelli?
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Friday, April 20, 2012
La giornata: spread a 400 e la politica finisce in burlesque; parte Italo e Montezemolo scende
Solo «volatilità» per il viceministro Grilli (questa l'avevamo già sentita...), intanto lo spread è a 400 - e Moody's dice chiaro che siamo già a livelli insostenibili - mentre Piazza affari arresta la caduta (in mattinata si stava avvicinando alla soglia dei 14.000 punti). Ma al Fmi starebbe per arrivare un paracadute da 400 miliardi di dollari dal G20.
La «resa» sul reintegro nei licenziamenti individuali non è servita a molto, la Camusso conferma che lo sciopero generale si farà, ma soprattutto che sull'articolo 18 «la partita è tuttora aperta» e umilia Monti prendendosi il merito del «primo vero e proprio passo indietro del governo».
Intanto anche il Financial Times, dopo il WSJ, bacchetta Monti: deve fare di più per rilanciare la crescita, altrimenti «i mercati continueranno a chiedersi se il Paese riuscirà mai a ripagare il suo debito». Ok, questo lo sappiamo tutti, ma il FT aggiunge anche il "come": tagliare la spesa per tagliare le tasse. Liberalizzazioni e riforma del mercato del lavoro, osserva il quotidiano, «potrebbero avere un effetto sulla crescita ma entrambe non rispondono appieno ai bisogni dell'Italia. Qualsiasi effetto avranno sull'economia si sentirà soltanto a lungo termine». Servono misure immediate: «Il mostruoso settore pubblico italiano e il suo vorace sistema politico consentono risparmi che non andrebbero a colpire la qualità dei servizi pubblici essenziali. Le risorse recuperate potrebbero essere usate per ridurre la pressione fiscale sul Paese, che si prevede toccherà un sorprendente 49% nel 2013». Monti «merita credito» - conclude severamente il FT - «ma la sua agenda economica rischia di rivelarsi non all'altezza».
Sul piano mediatico Berlusconi che si presenta al processo Ruby ruba la scena a tutti gli altri casi: ma sono le battute sulle «gare di burlesque» che campeggiano su tutti i siti, forse per non dover raccontare che i due poliziotti di turno la sera dell'arresto non è che abbiano proprio confermato l'impianto accusatorio della Boccassini, cioè le «pressioni» del premier per rilasciare la ragazza.
Sul piano politico la giornata è dominata dal fumogeno di Casini che ha gettato scompiglio nel campo del Pdl, tanto che ha indotto Alfano a rilanciare promettendo effetti speciali ancora più spettacolari: «Io e Berlusconi annunceremo la più grossa novità che cambierà il corso della politica». Ma dopo la pubblicità...
L'Udc fa sul serio e azzera i vertici. Imbarazzo in Fli e Api per il predellino di Casini (che tanto criticò quello di Berlusconi nel 2007), ma da tempo si sono rassegnati a salirci.
Casini pensa ovviamente ad un contenitore a vocazione "grancoalizionista", promotore o interprete della Grande Coalizione, fiero erede dell'esperienza montiana. Ripete che «Monti non è una parentesi», che «politici e tecnici sono nella stessa barca e devono remare insieme». Per Pd e Pdl «profondo rispetto», per il «senso di responsabilità» dimostrato, ma ora è «auspicabile continuare insieme un percorso di ricostruzione italiana», anche dopo il 2013, perché riformare l'Italia «in profondità» richiederà anni ed è «illusorio pensare che si riapra la fase degli uomini della Provvidenza». «L'operazione-salvataggio» di Monti, ammonisce il leader Udc, «è ancora in corso e nessuno può permettersi di sabotarla». Ci tiene quindi a sottolineare che «la nostra iniziativa e la sua riuscita si misura sulla capacità di rafforzare questo tentativo senza esitazioni». Peccato però che facendo apparire il governo Monti funzionale al suo disegno politico, e i suoi ministri tecnici leader "in sonno" del nuovo partito, rischia di scatenare pericolose tensioni nella maggioranza, di compromettere l'esperienza che si propone di rafforzare e persino di indurre il precipitare verso elezioni a ottobre. Tant'è che il Quirinale non ha mancato di far trapelare la sua irritazione.
Casini è da sempre ossessionato dai contenitori piuttosto che dai contenuti, è il leader del compromesso "a prescindere". La riforma del lavoro esce fuori timida, persino dannosa? Fa niente, l'importante è lo «sforzo collettivo» in sé, la Grande Coalizione, ed esserne il celebrato architetto. Ha intuito le insidie del tecno-centrismo, che qualche ministro tecnico può pensare di giocare una sua partita personale, che nuove offerte politiche (tra cui quella di Montezemolo) possono trovare ampi spazi nel campo dei moderati dopo il passo indietro di Berlusconi. Quindi ha deciso di giocare d'anticipo, di allestire un nuovo carro nel quale è pronto ad accogliere tutti, anche a farsi scudiero. Non ambisce alla premiership (troppo lavoro), ma alle poltrone istituzionali (il Quirinale è il sogno di tutti i democristiani). L'importante è che sia lui al centro di ogni equilibrio e di ogni compromesso.
Ma siamo sicuri che Passera o Montezemolo, o chiunque altro, se e quando scenderanno in campo, vorranno farsi accompagnare da Casini, Fini e Rutelli? A giudicare da un paio di tweet ironici del direttore di Italia Futura, Andrea Romano, almeno il secondo non ci pensa proprio. Il presidente della Ferrari è sfuggente rispetto ai rumors degli ultimi giorni. A chi gli chiede del suo ingresso in politica risponde «non mi parlate di politica, è come se mi parlate della luna, e oggi la luna non c'è». Però durante il primo viaggio del nuovo treno Italo, fa già sapere che una volta «avviato il servizio, tra qualche tempo, lascerò la presidenza e rimarrò azionista».
Paradossalmente Casini può sperare che ministri tecnici, o lo stesso Montezemolo, si convincano a farsi "cooptare" se resta in vigore la legge elettorale che il leader centrista tanto avversa. La riforma di cui si discute, invece, aprirebbe il campo a nuovi giocatori in proprio. Non ci sarebbe da stupirsi se il più appiattito sostenitore di Monti in realtà, in segreto, stesse accarezzando la speranza di votare a ottobre con questa legge, dando chiaramente la colpa agli altri.
La «resa» sul reintegro nei licenziamenti individuali non è servita a molto, la Camusso conferma che lo sciopero generale si farà, ma soprattutto che sull'articolo 18 «la partita è tuttora aperta» e umilia Monti prendendosi il merito del «primo vero e proprio passo indietro del governo».
Intanto anche il Financial Times, dopo il WSJ, bacchetta Monti: deve fare di più per rilanciare la crescita, altrimenti «i mercati continueranno a chiedersi se il Paese riuscirà mai a ripagare il suo debito». Ok, questo lo sappiamo tutti, ma il FT aggiunge anche il "come": tagliare la spesa per tagliare le tasse. Liberalizzazioni e riforma del mercato del lavoro, osserva il quotidiano, «potrebbero avere un effetto sulla crescita ma entrambe non rispondono appieno ai bisogni dell'Italia. Qualsiasi effetto avranno sull'economia si sentirà soltanto a lungo termine». Servono misure immediate: «Il mostruoso settore pubblico italiano e il suo vorace sistema politico consentono risparmi che non andrebbero a colpire la qualità dei servizi pubblici essenziali. Le risorse recuperate potrebbero essere usate per ridurre la pressione fiscale sul Paese, che si prevede toccherà un sorprendente 49% nel 2013». Monti «merita credito» - conclude severamente il FT - «ma la sua agenda economica rischia di rivelarsi non all'altezza».
Sul piano mediatico Berlusconi che si presenta al processo Ruby ruba la scena a tutti gli altri casi: ma sono le battute sulle «gare di burlesque» che campeggiano su tutti i siti, forse per non dover raccontare che i due poliziotti di turno la sera dell'arresto non è che abbiano proprio confermato l'impianto accusatorio della Boccassini, cioè le «pressioni» del premier per rilasciare la ragazza.
Sul piano politico la giornata è dominata dal fumogeno di Casini che ha gettato scompiglio nel campo del Pdl, tanto che ha indotto Alfano a rilanciare promettendo effetti speciali ancora più spettacolari: «Io e Berlusconi annunceremo la più grossa novità che cambierà il corso della politica». Ma dopo la pubblicità...
L'Udc fa sul serio e azzera i vertici. Imbarazzo in Fli e Api per il predellino di Casini (che tanto criticò quello di Berlusconi nel 2007), ma da tempo si sono rassegnati a salirci.
Casini pensa ovviamente ad un contenitore a vocazione "grancoalizionista", promotore o interprete della Grande Coalizione, fiero erede dell'esperienza montiana. Ripete che «Monti non è una parentesi», che «politici e tecnici sono nella stessa barca e devono remare insieme». Per Pd e Pdl «profondo rispetto», per il «senso di responsabilità» dimostrato, ma ora è «auspicabile continuare insieme un percorso di ricostruzione italiana», anche dopo il 2013, perché riformare l'Italia «in profondità» richiederà anni ed è «illusorio pensare che si riapra la fase degli uomini della Provvidenza». «L'operazione-salvataggio» di Monti, ammonisce il leader Udc, «è ancora in corso e nessuno può permettersi di sabotarla». Ci tiene quindi a sottolineare che «la nostra iniziativa e la sua riuscita si misura sulla capacità di rafforzare questo tentativo senza esitazioni». Peccato però che facendo apparire il governo Monti funzionale al suo disegno politico, e i suoi ministri tecnici leader "in sonno" del nuovo partito, rischia di scatenare pericolose tensioni nella maggioranza, di compromettere l'esperienza che si propone di rafforzare e persino di indurre il precipitare verso elezioni a ottobre. Tant'è che il Quirinale non ha mancato di far trapelare la sua irritazione.
Casini è da sempre ossessionato dai contenitori piuttosto che dai contenuti, è il leader del compromesso "a prescindere". La riforma del lavoro esce fuori timida, persino dannosa? Fa niente, l'importante è lo «sforzo collettivo» in sé, la Grande Coalizione, ed esserne il celebrato architetto. Ha intuito le insidie del tecno-centrismo, che qualche ministro tecnico può pensare di giocare una sua partita personale, che nuove offerte politiche (tra cui quella di Montezemolo) possono trovare ampi spazi nel campo dei moderati dopo il passo indietro di Berlusconi. Quindi ha deciso di giocare d'anticipo, di allestire un nuovo carro nel quale è pronto ad accogliere tutti, anche a farsi scudiero. Non ambisce alla premiership (troppo lavoro), ma alle poltrone istituzionali (il Quirinale è il sogno di tutti i democristiani). L'importante è che sia lui al centro di ogni equilibrio e di ogni compromesso.
Ma siamo sicuri che Passera o Montezemolo, o chiunque altro, se e quando scenderanno in campo, vorranno farsi accompagnare da Casini, Fini e Rutelli? A giudicare da un paio di tweet ironici del direttore di Italia Futura, Andrea Romano, almeno il secondo non ci pensa proprio. Il presidente della Ferrari è sfuggente rispetto ai rumors degli ultimi giorni. A chi gli chiede del suo ingresso in politica risponde «non mi parlate di politica, è come se mi parlate della luna, e oggi la luna non c'è». Però durante il primo viaggio del nuovo treno Italo, fa già sapere che una volta «avviato il servizio, tra qualche tempo, lascerò la presidenza e rimarrò azionista».
Paradossalmente Casini può sperare che ministri tecnici, o lo stesso Montezemolo, si convincano a farsi "cooptare" se resta in vigore la legge elettorale che il leader centrista tanto avversa. La riforma di cui si discute, invece, aprirebbe il campo a nuovi giocatori in proprio. Non ci sarebbe da stupirsi se il più appiattito sostenitore di Monti in realtà, in segreto, stesse accarezzando la speranza di votare a ottobre con questa legge, dando chiaramente la colpa agli altri.
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Thursday, April 19, 2012
La giornata: cresce lo scetticismo sulla ricetta Monti, e intanto Casini sale sul suo predellino
Le stime fin troppo ottimistiche sui conti pubblici (con tanto di nuovo spread Italia-Grecia sui suicidi) non bastano. Ormai lo scetticismo sull'operato del governo dei tecnici si diffonde, all'estero come all'interno. Il Wall Street Journal non abbocca e titola che «l'Italia viene meno all'impegno» del pareggio di bilancio nel 2013. Ovvio, il quotidiano Usa ignora il «benchmark» tutto politico di pareggio di bilancio su cui si sono accordati i Paesi Ue. Più generosi i grandi giornali di casa nostra, con un'eccezione: La Stampa, con un duro editoriale di Luca Ricolfi, che si dice colpito dalla «completa mancanza di concretezza» della conferenza stampa di ieri, da «un linguaggio "ottativo" che meriterebbe di essere studiato già solo per l'audacia con cui ibrida due mostri del nostro tempo, il paludato gergo della burocrazia europea e i manifesti elettorali dei partiti». E con un'intera pagina di critiche da parte di economisti di diverso orientamento.
Le statistiche, d'altra parte, anche quelle di oggi sugli ordinativi industriali – a febbraio -2,5% sul mese precedente e -13,2% su base annua – continuano a prefigurare una recessione ben più acuta di quella stimata dal nostro governo (-1,2%), più vicina alle previsioni del Fmi (-1,9%). Nel frattempo Piazza affari perde un altro 2% e lo spread torna a 400.
E' questo scetticismo che si sta diffondendo la causa della debolezza politica di Monti, le cui tirate d'orecchie ai partiti non sembrano sortire grandi effetti.
C'è grande fermento - si fa per dire ovviamente - sul piano politico. Nonostante la benedizione del professore, le quotazioni della Grande Coalizione sono molto in ribasso. Guarda caso appena Giuliano Ferrara ha ufficialmente sposato «l'unità nazionale» (si scherza). La formula "ABC" «non credo che sia assolutamente una prospettiva politica» per il 2013, dice Bersani a Radio anch'io. Parole molto meno significative di quanto possano apparire. Il senso è che alle politiche ognuno andrà per conto suo - questo è ovvio - ma dopo il voto non c'è una chiusura esplicita.
Per il Pdl la luna di miele con Monti è finita da un pezzo. Il partito è all'offensiva sulle tasse (con i "ya basta!" di Alfano): ottenuta la rateizzazione dell'Imu riesce a far accogliere dal governo un odg per renderla anche "una tantum", ma con la formula «il governo si impegna a valutare l'opportunità di...». «Si impegnerà per trovare risorse alternative e noi lo aiuteremo, evitando buchi di bilancio», assicura Alfano. Poco più di un contentino insomma. Ma i dati economici non confortanti spingono il Pdl a smuovere le acque in cerca di recuperare il rapporto con i propri elettori. All'attivismo del Pdl risponde Casini: ieri a Ottoemezzo ha sparigliato sul finanziamento pubblico ai partiti (facendo sua la proposta Capaldo) e lanciato il "Partito della Nazione" (o come si chiamerà), al cui interno ci sarà anche qualche ministro tecnico, fa sapere sibillino.
Oggi dalle parole ai fatti: ha dato il via all'azzeramento dei vertici dell'Udc in vista della nuova formazione politica, che manco a dirlo si pone l'obiettivo di riunire il campo dei moderati. La mossa provoca subito uno smottamento, da tempo atteso, nel Pdl: Pisanu con 27 senatori, tra cui Dini (il nuovo che avanza), chiede di andare «oltre il Pdl», per partecipare ad «un nuovo movimento liberaldemocratico, laico e cattolico».
Insomma, abbiamo capito che bisogna «unire i moderati», ora bisogna solo decidere chi si intesta la guida dell'operazione, chi ingloba chi. E qui c'è la ressa tra Casini e il Pdl. Ma nessuno sembra ancora aver capito che i cosiddetti "moderati", o meglio il centrodestra non si unisce con operazioni tra apparati; legge elettorale permettendo, si unisce, o si divide, nelle urne, convincendo gli elettori. Il Pdl s'era appena rimesso a parlare - persino con qualche successo - di lavoro, tasse, crescita, insomma ad occuparsi davvero dell'"arrosto", che subito i tre amigos (Casini con i due zombie Fini e Rutelli) e Pisanu hanno tirato il fumogeno. Il momento sembra propizio per dare l'ultima spallata al vecchio centrodestra: la Lega alle corde, Formigoni ha altri problemi, c'è da disgregare il Pdl prima che recuperi smalto e iniziativa politica.
E' una dura lotta per la sopravvivenza quella dei vecchi ceti politici, che rischiano di essere spazzati via da nuove offerte. Casini resta il più furbo (il che non significa il vincente): ha intuito le insidie del tecno-centrismo, che qualche ministro tecnico pensa di giocare una sua partita personale, quindi cerca di preparare un partito nuovo di zecca, ovviamente grancoalizionista, erede dell'esperienza montiana, pronto ad accogliere tutti. Ma proprio tutti, l'importante è che sia lui al centro di ogni equilibrio e di ogni compromesso (al ribasso, per carità). E poi su al Quirinale.
Ma siamo sicuri che i ministri tecnici interessati, o Montezemolo, che i tre amigos del Terzo polo corteggiano da sempre, se e quando scenderanno in campo vorranno farsi accompagnare da Casini, Fini e Rutelli? Che li vorranno come "padrini" politici?
Le statistiche, d'altra parte, anche quelle di oggi sugli ordinativi industriali – a febbraio -2,5% sul mese precedente e -13,2% su base annua – continuano a prefigurare una recessione ben più acuta di quella stimata dal nostro governo (-1,2%), più vicina alle previsioni del Fmi (-1,9%). Nel frattempo Piazza affari perde un altro 2% e lo spread torna a 400.
E' questo scetticismo che si sta diffondendo la causa della debolezza politica di Monti, le cui tirate d'orecchie ai partiti non sembrano sortire grandi effetti.
C'è grande fermento - si fa per dire ovviamente - sul piano politico. Nonostante la benedizione del professore, le quotazioni della Grande Coalizione sono molto in ribasso. Guarda caso appena Giuliano Ferrara ha ufficialmente sposato «l'unità nazionale» (si scherza). La formula "ABC" «non credo che sia assolutamente una prospettiva politica» per il 2013, dice Bersani a Radio anch'io. Parole molto meno significative di quanto possano apparire. Il senso è che alle politiche ognuno andrà per conto suo - questo è ovvio - ma dopo il voto non c'è una chiusura esplicita.
Per il Pdl la luna di miele con Monti è finita da un pezzo. Il partito è all'offensiva sulle tasse (con i "ya basta!" di Alfano): ottenuta la rateizzazione dell'Imu riesce a far accogliere dal governo un odg per renderla anche "una tantum", ma con la formula «il governo si impegna a valutare l'opportunità di...». «Si impegnerà per trovare risorse alternative e noi lo aiuteremo, evitando buchi di bilancio», assicura Alfano. Poco più di un contentino insomma. Ma i dati economici non confortanti spingono il Pdl a smuovere le acque in cerca di recuperare il rapporto con i propri elettori. All'attivismo del Pdl risponde Casini: ieri a Ottoemezzo ha sparigliato sul finanziamento pubblico ai partiti (facendo sua la proposta Capaldo) e lanciato il "Partito della Nazione" (o come si chiamerà), al cui interno ci sarà anche qualche ministro tecnico, fa sapere sibillino.
Oggi dalle parole ai fatti: ha dato il via all'azzeramento dei vertici dell'Udc in vista della nuova formazione politica, che manco a dirlo si pone l'obiettivo di riunire il campo dei moderati. La mossa provoca subito uno smottamento, da tempo atteso, nel Pdl: Pisanu con 27 senatori, tra cui Dini (il nuovo che avanza), chiede di andare «oltre il Pdl», per partecipare ad «un nuovo movimento liberaldemocratico, laico e cattolico».
Insomma, abbiamo capito che bisogna «unire i moderati», ora bisogna solo decidere chi si intesta la guida dell'operazione, chi ingloba chi. E qui c'è la ressa tra Casini e il Pdl. Ma nessuno sembra ancora aver capito che i cosiddetti "moderati", o meglio il centrodestra non si unisce con operazioni tra apparati; legge elettorale permettendo, si unisce, o si divide, nelle urne, convincendo gli elettori. Il Pdl s'era appena rimesso a parlare - persino con qualche successo - di lavoro, tasse, crescita, insomma ad occuparsi davvero dell'"arrosto", che subito i tre amigos (Casini con i due zombie Fini e Rutelli) e Pisanu hanno tirato il fumogeno. Il momento sembra propizio per dare l'ultima spallata al vecchio centrodestra: la Lega alle corde, Formigoni ha altri problemi, c'è da disgregare il Pdl prima che recuperi smalto e iniziativa politica.
E' una dura lotta per la sopravvivenza quella dei vecchi ceti politici, che rischiano di essere spazzati via da nuove offerte. Casini resta il più furbo (il che non significa il vincente): ha intuito le insidie del tecno-centrismo, che qualche ministro tecnico pensa di giocare una sua partita personale, quindi cerca di preparare un partito nuovo di zecca, ovviamente grancoalizionista, erede dell'esperienza montiana, pronto ad accogliere tutti. Ma proprio tutti, l'importante è che sia lui al centro di ogni equilibrio e di ogni compromesso (al ribasso, per carità). E poi su al Quirinale.
Ma siamo sicuri che i ministri tecnici interessati, o Montezemolo, che i tre amigos del Terzo polo corteggiano da sempre, se e quando scenderanno in campo vorranno farsi accompagnare da Casini, Fini e Rutelli? Che li vorranno come "padrini" politici?
Sull'ottimismo di Monti incombe un armageddon immobiliare
Nel presentare il documento economico e finanziario ieri il premier Mario Monti si compiaceva di aver dato la «prima applicazione» al principio del fiscal compact da parte di un Paese membro dell'Ue. Nonostante la crisi, il governo prevede che l'Italia centrerà già nel 2013 il pareggio di bilancio, sia pure nella versione "politica" accordata in sede Ue. Peccato che le stime su cui si basa tale previsione siano ormai le più ottimistiche in circolazione. Se si discostano solo lievemente da quelle di Bruxelles e della Banca d'Italia, appaiono davvero eccessivamente ottimistiche rispetto alle stime del Fmi.
Nel frattempo, Piazza affari viveva un'altra giornata nera (-2,42%), con lo spread stabile a 385, ma soprattutto giungeva da uno degli istituti di ricerca più autorevoli, il Censis, un inquietante allarme: il possibile crollo del valore degli immobili principalmente a causa dell'Imu.
Se c'era una calamità che l'Italia fino ad oggi era riuscita a schivare era l'esplosione della bolla immobiliare. Ebbene, con l'Imu il governo Monti - i più avvertiti lo avevano segnalato già a dicembre - si è assunto il rischio di sfruculiarla. Si materializzerebbe il peggior incubo se una crisi immobiliare dovesse innestarsi in quella finanziaria ed economica già in atto. Il primo a lanciare l'allarme è stato, ieri, il direttore del Censis, Giuseppe Roma, secondo cui nel 2012 il valore delle case potrebbe crollare del 20%, con punte oltre il 50%.
LEGGI TUTTO su L'Opinione
Nel frattempo, Piazza affari viveva un'altra giornata nera (-2,42%), con lo spread stabile a 385, ma soprattutto giungeva da uno degli istituti di ricerca più autorevoli, il Censis, un inquietante allarme: il possibile crollo del valore degli immobili principalmente a causa dell'Imu.
Se c'era una calamità che l'Italia fino ad oggi era riuscita a schivare era l'esplosione della bolla immobiliare. Ebbene, con l'Imu il governo Monti - i più avvertiti lo avevano segnalato già a dicembre - si è assunto il rischio di sfruculiarla. Si materializzerebbe il peggior incubo se una crisi immobiliare dovesse innestarsi in quella finanziaria ed economica già in atto. Il primo a lanciare l'allarme è stato, ieri, il direttore del Censis, Giuseppe Roma, secondo cui nel 2012 il valore delle case potrebbe crollare del 20%, con punte oltre il 50%.
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Wednesday, April 18, 2012
La giornata: Monti brinda in anticipo al pareggio di bilancio e benedice la Grande Coalizione
Habemus Def (qui il testo). Dopo tre giorni di limature per evitare di gettare i mercati nello sconforto, il governo Monti presenta le sue stime, eccessivamente ottimistiche (soprattutto rispetto a quelle del Fmi), e festeggia - con troppo compiacimento (la «prima applicazione» del fiscal compact), e con troppo anticipo - il raggiungimento del pareggio di bilancio nel 2013. Siamo appena entrati nel II trimestre dell'anno, solo il I ha costretto tutti gli organismi ad una decisa virata al ribasso delle stime del Pil, ed è ancora difficilmente prevedibile l'effetto recessivo delle tasse che gli italiani dovranno pagare nei prossimi, su tutte l'Imu (e l'Iva a ottobre). In realtà è sempre più probabile che anche l'Italia, dopo la Spagna, manchi i suoi obiettivi di bilancio. Sotto accusa l'austerità imposta dalla Germania ai Paesi eurodeboli, che ha accentuato la recessione, ma è pur vero che né Bruxelles né Berlino né il Fmi hanno imposto che l'austerità dovesse significare una spremuta di tasse e basta anziché tagli alla spesa e vere riforme.
Purtroppo, tutto è politica. Più che i numeri conta la stima di cui si gode a Bruxelles e a Washington, com'è lo stesso premier ad ammettere: commentando le preoccupanti stime del Fmi, si dice più «confortato» dai pareri sulle politiche del suo governo espressi dal ministro tedesco Schauble o da un suo portavoce, dalla Lagarde e dagli Usa, che non da mezzo punto in più o in meno di Pil. Sempre finché si accontentano i mercati...
Monti poi non rinuncia a piazzare l'ennesima spudorata promessa (in stile berlusconiano) sui tagli di tasse che «in futuro» saranno possibili grazie alla lotta all'evasione, nonostante abbia appena stralciato l'apposito fondo dalla delega fiscale; usa toni drammatici («ci battiamo ogni giorno per evitare il drammatico destino della Grecia») per ricompattare attorno al governo forze politiche e opinione pubblica; e torna a far leva sull'untore preferito dei difensori della spesa pubblica, l'evasore fiscale. Ma soprattutto fornisce la giustificazione economica per il compimento di quel disegno squisitamente politico che lo porta, a scapito delle riforme, a non tirare troppo la corda con i partiti: la Grande Coalizione. «Siamo un governo breve chiamato a svolgere un compito lunghissimo», ricorda in conferenza stampa, e «se le forze politiche che sostengono il governo, con grande senso di responsabilità, dovessero condividere questa piattaforma triennale e farla propria, in tutto o in parte, sarebbe un punto importante e una leva di fiducia nel lungo periodo nei confronti dell'Italia». Insomma, duratura la crisi, durature le sfide per la crescita, duraturo pure il percorso di risanamento, le forze politiche non potranno che proseguire nello «sforzo collettivo» anche dopo le elezioni del 2013.
Anche se il Pdl, attivo in questi giorni su fisco e lavoro per ritrovare l'empatia con i propri elettori delusi e arrabbiati, è in frenata. Fa la voce grossa sulle tasse (ora basta! grida Alfano dai tg). Niente strappi, ma la luna di miele è finita e non c'è spazio per certe convivialità. Berlusconi quindi annulla il pranzo con Monti, che aveva solleticato la fantasia dei retroscenisti. Non è uno sgarbo al professore. Al contrario, giura, un gesto per allentare la tensione, «per non alimentare polemiche e per evitare o prevenire insinuazioni malevole su questioni inerenti le frequenze televisive». Incontro rinviato a quando con il Pdl avrà valutato i provvedimenti su fisco, in particolare quelli che riguardano la casa, e crescita. Tra questi addirittura «una cinquantina» ne ha annunciati ieri sera Passera. La sensazione è che si tratti di coriandoli, fumo negli occhi per placare l'insistenza con la quale da più parti si invocano politiche per la crescita.
Monti dice di essere uscito dal vertice notturno di ieri con un «nuovo patto politico» siglato con ABC. La riforma del lavoro dovrebbe procedere in modo spedito, anche perché saranno accolte le richieste delle imprese fortemente sponsorizzate dal Pdl, ma sul resto vedremo. Intanto oggi il governo ha dovuto chiedere una nuova fiducia, sul dl fiscale (senza sconti Imu ad anziani e disabili ricoverati), e la decisione del premier di non presentarsi agli spring meetings del Fmi al G20 economico e finanziario denota una certa apprensione per il fronte politico interno.
Sulle stime ottimistiche di Monti incombe però una specie di armageddon immobiliare. Il Censis è il primo istituto di ricerca autorevole a lanciare un inquietante allarme su quello che definisce "l'effetto-Imu": gli italiani starebbero inondando il mercato di seconde case, il che in assenza di domanda potrebbe provocare un crollo verticale del valore degli immobili, che alla fine del 2012 potrebbe calare anche del 20%, con punte del 50%. Con quali effetti sui mutui (il 22% delle famiglie che ne stanno pagando uno sono già oggi in difficoltà) e sugli asset immobiliari delle banche? Meglio non pensarci, un incubo.
Purtroppo, tutto è politica. Più che i numeri conta la stima di cui si gode a Bruxelles e a Washington, com'è lo stesso premier ad ammettere: commentando le preoccupanti stime del Fmi, si dice più «confortato» dai pareri sulle politiche del suo governo espressi dal ministro tedesco Schauble o da un suo portavoce, dalla Lagarde e dagli Usa, che non da mezzo punto in più o in meno di Pil. Sempre finché si accontentano i mercati...
Monti poi non rinuncia a piazzare l'ennesima spudorata promessa (in stile berlusconiano) sui tagli di tasse che «in futuro» saranno possibili grazie alla lotta all'evasione, nonostante abbia appena stralciato l'apposito fondo dalla delega fiscale; usa toni drammatici («ci battiamo ogni giorno per evitare il drammatico destino della Grecia») per ricompattare attorno al governo forze politiche e opinione pubblica; e torna a far leva sull'untore preferito dei difensori della spesa pubblica, l'evasore fiscale. Ma soprattutto fornisce la giustificazione economica per il compimento di quel disegno squisitamente politico che lo porta, a scapito delle riforme, a non tirare troppo la corda con i partiti: la Grande Coalizione. «Siamo un governo breve chiamato a svolgere un compito lunghissimo», ricorda in conferenza stampa, e «se le forze politiche che sostengono il governo, con grande senso di responsabilità, dovessero condividere questa piattaforma triennale e farla propria, in tutto o in parte, sarebbe un punto importante e una leva di fiducia nel lungo periodo nei confronti dell'Italia». Insomma, duratura la crisi, durature le sfide per la crescita, duraturo pure il percorso di risanamento, le forze politiche non potranno che proseguire nello «sforzo collettivo» anche dopo le elezioni del 2013.
Anche se il Pdl, attivo in questi giorni su fisco e lavoro per ritrovare l'empatia con i propri elettori delusi e arrabbiati, è in frenata. Fa la voce grossa sulle tasse (ora basta! grida Alfano dai tg). Niente strappi, ma la luna di miele è finita e non c'è spazio per certe convivialità. Berlusconi quindi annulla il pranzo con Monti, che aveva solleticato la fantasia dei retroscenisti. Non è uno sgarbo al professore. Al contrario, giura, un gesto per allentare la tensione, «per non alimentare polemiche e per evitare o prevenire insinuazioni malevole su questioni inerenti le frequenze televisive». Incontro rinviato a quando con il Pdl avrà valutato i provvedimenti su fisco, in particolare quelli che riguardano la casa, e crescita. Tra questi addirittura «una cinquantina» ne ha annunciati ieri sera Passera. La sensazione è che si tratti di coriandoli, fumo negli occhi per placare l'insistenza con la quale da più parti si invocano politiche per la crescita.
Monti dice di essere uscito dal vertice notturno di ieri con un «nuovo patto politico» siglato con ABC. La riforma del lavoro dovrebbe procedere in modo spedito, anche perché saranno accolte le richieste delle imprese fortemente sponsorizzate dal Pdl, ma sul resto vedremo. Intanto oggi il governo ha dovuto chiedere una nuova fiducia, sul dl fiscale (senza sconti Imu ad anziani e disabili ricoverati), e la decisione del premier di non presentarsi agli spring meetings del Fmi al G20 economico e finanziario denota una certa apprensione per il fronte politico interno.
Sulle stime ottimistiche di Monti incombe però una specie di armageddon immobiliare. Il Censis è il primo istituto di ricerca autorevole a lanciare un inquietante allarme su quello che definisce "l'effetto-Imu": gli italiani starebbero inondando il mercato di seconde case, il che in assenza di domanda potrebbe provocare un crollo verticale del valore degli immobili, che alla fine del 2012 potrebbe calare anche del 20%, con punte del 50%. Con quali effetti sui mutui (il 22% delle famiglie che ne stanno pagando uno sono già oggi in difficoltà) e sugli asset immobiliari delle banche? Meglio non pensarci, un incubo.
Crisi finanziaria e pulizia politica a braccetto
Luigi Lusi, Francesco Belsito, Rosi Mauro, Renzo e Umberto Bossi, Davide Boni, Filippo Penati, Nichi Vendola, Roberto Formigoni e mezza giunta regionale lombarda, Valter Lavitola e ovviamente lui, Silvio Berlusconi. Appuntatevi questi nomi, solo i più citati, coinvolti a vario titolo - indagati e non - nelle numerose inchieste che in lungo e in largo nella nostra penisola stanno scuotendo le fondamenta del sistema politico. Tra qualche anno, quando il polverone si sarà diradato, sarà di una qualche utilità, per comprendere cosa stesse accadendo in questi giorni, sapere che fine avranno fatto, quale esito giudiziario sarà toccato loro in sorte. Paginate di giornali, aperture dei tg, talk show, ovunque lo tsunami di rivelazioni sembra inarrestabile, ondata dopo ondata travolge ogni cosa.
Non c'è nemmeno il tempo di porsi qualche domanda che già sopraggiunge lo scandalo successivo, o il vecchio si arricchisce di una nuova puntata, di un particolare in più. Eppure, da Tangentopoli a Partitopoli, alcune coincidenze nell'assalto mediatico-giudiziario al sistema politico non possono non sollevare alcuni interrogativi per chi non si accontenti delle gogne per sfogare il proprio malcontento. Allora come oggi le grandi "pulizie" coincisero con una pericolosa crisi finanziaria...
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Non c'è nemmeno il tempo di porsi qualche domanda che già sopraggiunge lo scandalo successivo, o il vecchio si arricchisce di una nuova puntata, di un particolare in più. Eppure, da Tangentopoli a Partitopoli, alcune coincidenze nell'assalto mediatico-giudiziario al sistema politico non possono non sollevare alcuni interrogativi per chi non si accontenti delle gogne per sfogare il proprio malcontento. Allora come oggi le grandi "pulizie" coincisero con una pericolosa crisi finanziaria...
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Friday, April 06, 2012
Riforma sacrificata sull'altare della Grande Coalizione
Meglio non compromettere le premesse di una Grande Coalizione con una rottura sull'articolo 18. Il compromesso al ribasso sulla riforma del lavoro può essere considerato a tutti gli effetti una prova tecnica di GC. Ma se è così, bisogna anche ammettere che l'esito è very bad. Prelude a riforme sempre più sbiadite, inutili, persino dannose. L'idea di una GC in cui diverse forze politiche mettano mano ai nostri problemi strutturali nell'emergenza non è campata in aria. Sarebbe senz'altro possibile se fosse limitata alle forze moderate e riformiste. Bisogna tuttavia fare i conti con quella che è da sempre la grande anomalia del sistema politico italiano. Se si pretende di mettere insieme una coalizione che va dai moderati ad un Pd a trazione Cgil, il rischio è che partorisca topolini rachitici come questa riforma. L'articolo 18, invece, poteva (anzi doveva) offrire l'occasione per costringere il Pd a decidere una volta per tutte tra linea riformista o camussiana. Male che fosse andata – il Pd che fa cadere il governo e tenta la "rivoluzione d'ottobre" – il sistema politico si sarebbe potuto scomporre/ricomporre attorno all'asse delle riforme, tra un "partito Monti" (anche senza Monti) e un "partito Grecia". La gioiosa macchina da guerra di Vasto si sarebbe infranta sul muro di un nuovo, ampio fronte moderato. Uno scenario in cui anche i mercati avrebbero potuto intravedere finalmente una certa chiarezza nella politica italiana.
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