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L’elezione alla presidenza del capo dell’esercito, il generale Michel Suleiman, avvenuta domenica, suggella la tregua siglata la scorsa settimana a Doha, in Qatar, tra maggioranza anti-siriana e opposizione guidata da Hezbollah. Nel discorso d’investitura il nuovo presidente ha assicurato di voler agire nel rispetto degli accordi di Taif e di tutte le risoluzioni dell’Onu; ha esortato le forze politiche libanesi ad accettare i risultati delle elezioni; ha citato il “martire Rafiq Hariri e tutti i martiri del Libano”, con un esplicito riferimento al tribunale internazionale che dovrebbe giudicare i responsabili dei crimini politici; ha reso omaggio a Hezbollah, definendo “necessaria” la “resistenza” contro Israele, che dovrà avere un ruolo nella “strategia di difesa”; ma ha anche ammonito che “non si può sprecare la forza della resistenza nelle lotte interne” e che non è ammissibile che la “causa palestinese” divenga un “pretesto per qualsiasi armamento in contrasto con la sicurezza nazionale”. Per il Libano non più d’una boccata d’ossigeno. Restano irrisolte le questioni chiave, su cui il presidente Suleiman giocherà un ruolo fondamentale. Secondo l’accordo di Doha, infatti, sotto la sua supervisione si dovrebbe svolgere il dialogo sulle armi di Hezbollah. Spetterà principalmente a lui, inoltre, ridefinire i rapporti con la Siria e l’Iran, che significa limitarne l’influenza. Ieri ha esordito auspicando con Damasco “legami fraterni, nel contesto del mutuo rispetto della sovranità e dei confini di ciascuno”.
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Secondo David Schenker, ex consigliere del segretario alla Difesa Usa, “dato il probabile esito delle elezioni parlamentari del 2009, la vittoria del gruppo sciita potrebbe avere vita breve”. Hezbollah ha sì dimostrato di poter prendere il controllo di Beirut in mezza giornata, ma anche di essere disposto a puntare contro i concittadini le armi che da sempre giura di possedere per la “resistenza” contro Israele. Ciò ha fatto calare di molto la sua popolarità presso la maggioranza non sciita della popolazione libanese. Per gli Usa e i loro alleati dovrebbe essere un “imperativo andare oltre la retorica ed elaborare misure efficaci per appoggiare gli alleati filo-occidentali in Libano”, osserva Schenker. A meno che non mobilitino rapidamente le loro forze per sostenerli, nel medio-lungo termine sarà inevitabile che Iran e Siria prendano il controllo del Libano per mezzo di Hezbollah, costituendo una minaccia concreta alla sopravvivenza di Israele.
Ma la tregua libanese non può non essere messa in relazione con il contestuale annuncio della ripresa dei colloqui di pace, sia pure indiretti, tra Israele e Siria.
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Iniziative unilaterali di Olmert e della Lega araba? Gli Stati Uniti sono dunque isolati e indecisi o anche a Washington ha prevalso la linea “realista” del coinvolgimento di Damasco e del sacrificio del Libano? In ogni caso, al giuramento di Suleiman, a Beirut, era presente solo una delegazione del Congresso, mentre Stati arabi, Iran, Turchia, Francia, Italia e Spagna hanno mandato i ministri degli Esteri. E suonano in modo sinistro le parole usate domenica, durante la sessione per l’elezione del presidente, da Nabih Berri, esponente di Hezbollah e speaker del Parlamento libanese, che ha voluto “ringraziare” gli Stati Uniti, “soprattutto da quando si sono convinti che il Libano non è luogo giusto per la nascita del loro progetto di Grande Medio Oriente”.
1 comment:
l'esordio del generale...non è stato dei più felici.
per scongiurare da subito il potere di veto degli 11 hezbollah con licenza parlamentare...ha rimarcato l'unità della nazione libanese in danno di un'altra: israele.
non ci siamo.
se poi questo triste esordio lo leggiamo assieme alla criminale uscita del ministro egiziano...quello che brucerebbe di buon grado i libri israeliti...
non ci siamo proprio.
altro che cedro del libano...
'na specie di gramigna.
ciao.
io ero tzunami...
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