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Tuesday, May 20, 2008

Doha, Hezbollah alza il prezzo

Sembrava che messa da parte la questione delle armi del "Partito di Dio", i negoziatori della maggioranza parlamentare anti-siriana e dell'opposizione guidata da Hezbollah, riuniti a Doha, in Qatar, potessero fare progressi su altre materie, quali la legge elettorale, la formazione di un nuovo governo e, quindi, l'elezione del candidato di compromesso, il generale Michel Suleiman, alla presidenza. Invece, da quanto trapela dai colloqui, rigorosamente a porte chiuse, le parti sarebbero ancora lontane anche sulle modifiche alla legge elettorale, un'impasse che rischia di bloccare le trattative su tutto il resto e far fallire l'iniziativa della Lega araba. Secondo quanto rivelato da un deputato del gruppo sciita all'emittente libanese Lbc, il disaccordo riguarda la suddivisione delle circoscrizioni di Beirut.

Il primo ministro del Qatar è intervenuto direttamente per favorire un'intesa tra le parti, proponendo di rinviare la discussione sulla legge elettorale a dopo la formazione del governo di unità nazionale e l'elezione del presidente. Ma stando a quanto riportato dall'emittente di Hezbollah, al Manar, i leader dell'opposizione si sono rifiutati di trattare le altre questioni prima di sciogliere il nodo della legge elettorale.

E' sulla composizione del nuovo governo che si gioca la partita più importante, che decreterà i vincitori del round negoziale. Il primo ministro del Qatar ha proposto alle parti un esecutivo di 30 membri così suddivisi: 13 ministri della coalizione anti-siriana; 10 all'opposizione e 7 scelti dal nuovo presidente. Ma anche su questo punto Hezbollah non molla, vuole capitalizzare al massimo la vittoria militare e politica ottenuta sul campo la scorsa settimana. Il movimento filo-iraniano rivendica per sé un vero e proprio potere di veto sui provvedimenti del governo, il che vuol dire almeno 11 ministri nel futuro governo.

E' difficile immaginare che Hezbollah apponga la propria firma su un accordo che manchi di registrare a livello politico i nuovi equilibri di forza a suo favore determinati sul terreno dall'esito della crisi della settimana scorsa. Hezbollah potrebbe raggiungere l'obiettivo che rincorre da mesi, l'uscita di scena di Siniora e un potere di veto sull'azione di governo, ma in ogni caso, anche se Siniora dovesse miracolosamente restare al suo posto, vedrebbe aumentare il suo già grande potere di condizionamento. In cambio, garantirebbe che le sue armi non verranno rivolte contro altri libanesi, come è invece accaduto nei recenti scontri, ma serviranno solo come forza di resistenza contro Israele.

L'arsenale e le capacità militari di Hezbollah, seria ipoteca alla piena sovranità del governo legittimo sul territorio libanese, rimangono sullo sfondo. Come suggerisce l'analista Fady Noun su Asianews, i partiti della maggioranza anti-siriana non si fidano di Hezbollah, «sospettano che il partito islamista – legato a un regime totalitario come l'Iran – stia preparando un colpo di stato per rovesciare il regime».

Il fatto che per la prima volta Hezbollah abbia lanciato «vere e proprie operazioni di guerriglia urbana a Beirut lascia pensare che non esiterà a rifarlo, quando lo richiederanno i suoi interessi». Finché non verrà definitivamente dissipato il timore che Hezbollah si trasformi un giorno in una forza similare ai "Guardiani della rivoluzione" iraniani e finisca per puntare le armi contro i nemici interni, convertendo la sua «resistenza» in «rivoluzione islamica», ci sono scarse speranze di una risoluzione definitiva della crisi politica libanese. Secondo Fady Noun, l'unica via d'uscita per il Libano è una «neutralità positiva» in cui si possano riconoscere tutte le fazioni: «Il Libano, anzitutto. Prima dell'Iran, della Siria, perfino della Palestina». Ad oggi più un'illusione che una prospettiva, e c'è da dubitare che quello di Doha sia un «terreno neutrale», dato che spesso il Qatar ha giocato di sponda tra Paesi arabi sunniti e Iran.

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