L'annuncio della ripresa dei colloqui di pace, sia pure indiretti, tra Israele e Siria, contestuale all'esito dei negoziati di Doha per la soluzione della crisi politica libanese, induce a ritenere che i due eventi siano in qualche modo collegati.
Secondo l'analista Andrew Cochran, l'amministrazione Bush, con il Dipartimento di Stato in conflitto con altri settori, non è riuscita a prendere una decisione sul da farsi nel corso degli ultimi eventi e ha dovuto fare buon viso a cattivo gioco, sostenendo l'accordo, che riporta la stabilità in Libano nel breve-termine, ma ammettendo che accresce il potere di Hezbollah: «Non è una soluzione perfetta, ma molto meglio delle alternative. Un passo positivo e necessario».
Quali possono essere stati, dunque, i motivi di fondo che hanno impedito alla Casa Bianca di elaborare per tempo una contro-strategia coerente ed efficace rispetto a quanto accadeva a Beirut prima e a Doha poi? Cochran rammenta le voci che da tempo riecheggiano nell'amministrazione riguardo a un "Grand Bargain" con la Siria, da concludere con l'assistenza degli altri stati arabi. In particolare, cita un'audizione al Congresso, del 24 aprile scorso, di Gary Ackerman (Rep.), presidente della sottocommissione per il Medio Oriente:
«Molti analisti ritengono che l'alleanza tra Iran e Siria sia tattica e transitoria; che se solo gli Stati Uniti avanzassero alla Siria un'offerta di sufficiente portata e dolcezza, l'asse tra Teheran e Damasco andrebbe in frantumi e il Medio Oriente ne uscirebbe trasformato. In cambio, per esempio, delle alture del Golan e della restaurazione del suo protettorato sul Libano, la Siria potrebbe rinnegare la sua relazione con Hezbollah, dare il benservito ad Hamas, e sbattere la porta in faccia all'Iran».L'Iran perderebbe il suo unico alleato tra gli stati arabi e di fronte a un mondo arabo compatto «riporrebbe nel cassetto i suoi sogni di egemonia e scambierebbe il suo programma nucleare con garanzie sulla sua sicurezza». Tuttavia, lo stesso Ackerman, durante la sua audizione – fa notare Cochran – dice di non esserne convinto:
«Suona bene, e ha una certa logica, ma è fantasia. L'alleanza tra Iran e Siria è di lungo termine, basata su un intreccio di interessi condivisi e volta a soddisfare le profonde ambizioni strategiche e regionali di ciascuno».La tesi riferita da Ackerman al Congresso avrebbe molti sostenitori all'interno dell'amministrazione. Oggi sembra ancor di più accreditata dall'annuncio della ripresa dei contatti tra Israele e Siria. Sembra che Ahmadinejad sia furioso. Il sostanziale "via libera" degli Usa, da sempre contrari, suggerisce che il tentativo potrebbe davvero essere in corso. Certo, la freddezza delle reazioni ufficiali potrebbe anche significare che piuttosto Washington abbia subito la scelta di Tel Aviv. Il dialogo tra israeliani e palestinesi è una prospettiva che la Rice ritiene «più matura» e che «al momento è più probabile che produca risultati». E' «una buona cosa e speriamo che si facciano progressi, ma adesso i nostri sforzi maggiori sono concentrati sulla pista palestinese», ha chiarito il consigliere per il Medio Oriente David Welch, facendo notare che «i negoziati diretti sono sempre il miglior modo di procedere».
Può anche darsi, quindi, che solo gli israeliani abbiano fatto propria la tesi del coinvolgimento della Siria, che abbiano realizzato di non poter contare sugli Stati Uniti e sull'Onu per difendere i loro confini settentrionali e di poter invece barattare il Golan con la garanzia che Damasco impedirà futuri attacchi da parte di Hezbollah (il Libano sarebbe una vittima sacrificale). In cambio Israele, non lo ha affatto nascosto il ministro degli Esteri Tzipi Livni, si aspetta dai siriani «il loro completo abbandono del sostegno al terrorismo, a Hamas, a Hezbollah e all'Iran». Sarebbe più difficile per l'Iran minacciare Israele con una guerra asimmetrica via Hezbollah in Libano o via Hamas a Gaza.
Gli Stati Uniti sono apparsi presi in contropiede dalla facilità con la quale Hezbollah ha battuto i suoi rivali a Beirut e praticamente non hanno giocato alcun ruolo, né nei negoziati di Doha, né nella ripresa del dialogo indiretto tra Israele e Siria, eventi che sembrano entrambi contrari alla loro strategia nella regione. Dunque, i fautori del dialogo con la Siria per strapparla all'abbraccio con l'Iran forse non stanno prevalendo all'interno dell'amministrazione Usa, ma le divergenze alimentano i dubbi sulla strategia da seguire e sembrano minare la capacità decisionale di Washington in passaggi fondamentali come quelli delle ultime settimane a Beirut e a Doha.
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