«U.S. officials came to the weekend's finance ministers' summit hoping to persuade other countries to embark on a fresh round of spending. They left under pressure to fix the weak U.S. banking sector».In due righe quello dei corrispondenti del WSJ mi pare il miglior riassunto del vertice G20. L'America di Obama chiede all'Europa di spendere di più (e il WSJ ha già spiegato sulle sue pagine perché stavolta ha ragione la "vecchia Europa" a dire di no), mentre l'Europa chiede giustamente all'amministrazione Obama di rimettere in sesto il sistema bancario.
Invece di perdere tempo con i suoi faraonici piani di spesa pubblica, Obama dovrebbe concentrarsi sulla crisi del sistema finanziario, per restaurare la fiducia e riattivare così il sistema circolatorio dell'economia. E' proprio ciò che fece Roosevelt appena entrato in carica. A ricordarlo all'amministrazione in carica e ai suoi sostenitori, a cui tanto piace il paragone con il presidente del New Deal, è William Galston, politologo del think tank "amico" Brookings Institution, in un articolo su The New Republic.
La lista dei desideri di Obama è troppo lunga. Riuscirà a portare avanti la sua agenda come Reagan, oppure fallirà, come Carter? La questione chiave secondo Galston non è la performance dell'economia. Il PIL che nel 1982 l'amministrazione Reagan aveva previsto crescesse del 4,2%, crebbe invece solo dell'1,8%. Né è il radicalismo il nodo del problema. Se il momento richiede risposte radicali, la moderazione è un errore. L'abilità fondamentale in un presidente è saper individuare nella sua agenda quelle che sono le priorità. Galston cita il giudizio di Erwin C. Hargrove sui primi 100 giorni di Reagan: «Reagan ha dimostrato, in un modo che Jimmy Carter non ha mai dimostrato, di sapere cosa significa essere presidente. Sa che un presidente può affrontare solo un numero relativamente piccolo di temi alla volta». E la stessa cosa vale per il Congresso, ogni presidente dovrebbe ricordarsene.
Ma Galston prevede le obiezioni che avanzerebbero i sostenitori dell'approccio dell'attuale amministrazione: "Siamo nel 1933, non nel 1981, e il modello è Roosevelt, non Reagan... e quindi abbiamo bisogno di un'azione forte su un ampio fronte di problemi", risponderebbero. Tuttavia, secondo Galston, la situazione non è ancora così terribile come nel 1933.
«In parte per questo motivo, la gente non è preparata a dare al presidente e al suo partito il grado di consenso di cui usufruirono Roosevelt e il Congresso democratico all'inizio del New Deal - un motivo in più per Obama per distinguere tra obiettivi di breve e lungo termine, così attentamente almeno quanto fece Roosevelt. Infatti, sebbene esercitasse un potere quasi senza freni - nel 1933 i democratici avevano una maggioranza di 313 seggi alla Camera e 60 al Senato - Roosevelt all'inizio fu attento a concentrare le sue politiche quasi esclusivamente sull'emergenza economica».Con l'Emergency Banking Act - racconta Galston - divise le banche in tre categorie:
«Classe A, solide e pronte a riaprire immediatamente; Classe B, in crisi e bisognose di ricapitalizzazione, riorganizzazione, o entrambe; Classe C, dichiarate insolventi e subito chiuse».Questa classificazione rassicurò gli americani che le banche autorizzate a riaprire erano solide e la fiducia cominciò ad aumentare. «Di contro, Roosevelt ritardò la maggior parte delle sue riforme strutturali che non avessero a che fare direttamente con l'emergenza economica», basando il suo primo mandato su due principi che l'amministrazione Obama farebbe bene a prendere in considerazione:
«Primo, mantenne la sua attenzione (e quella del paese) fermamente concentrata su un singolo obiettivo: porre fine alla crisi di fiducia e far ripartire l'economia. Secondo, ha usato il primo periodo per consolidare il sostegno popolare, conquistando ulteriori posizioni al Congresso nel 1934 e una vittoria a valanga nel 1936».«L'analogia chiave tra oggi e il 1933 è la centralità della crisi finanziaria», conclude Galston. Semmai, quindi, è «difficile comprendere come mai l'amministrazione non si sia ancora mossa con la stessa determinazione di Roosevelt». Eppure, non si può certo dire che la crisi abbia colto di sorpresa Obama e i suoi consiglieri. «La loro incapacità fino ad oggi di restaurare la fiducia solleva due ipotesi ugualmente deprimenti: o non sanno cosa fare, o non credono di poter ottenere il consenso politico per fare ciò che sanno essere necessario».
1 comment:
Sì, ma ricordo male se affermo che quando, nel 1942, gli USA enrarono in guerra, la disoccupazione era ancora attorno al 25%?
E dico una sciocchezza se, facendo un consuntivo, l'enorme spesa pubblica perpetuata da Roosvelt non diede risultati, ma fu al contrario una grande dilapidazione di ricchezza, finchè appunto gli Usa non entrarono in guerra?
MAX
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