Purtroppo si tratta di un altro caso in cui balzano agli occhi i limiti e le contraddizioni della Corte penale internazionale dell'Aja e in generale della nobile idea di una giurisdizione sovranazionale. Un potere giudiziario senza potere esecutivo e soprattutto senza una cittadinanza e un territorio di cui sia emanazione rischia di emettere petizioni di principio più che sentenze. I giudici della Cpi hanno accolto la richiesta dell'accusa ed emesso il mandato di arresto nei confronti del dittatore sudanese Omar al-Bashir, accusato di crimini di guerra e contro l'umanità (anche se ancora non di genocidio).
Cina e Russia auspicano che il Consiglio di Sicurezza dell'Onu chieda alla Corte internazionale di «sospendere il processo». Avvertono che il mandato d'arresto rischia di vanificare gli sforzi diplomatici, i negoziati per la pace in Darfur e nel Sudan. Motivazione curiosa, visto che soprattutto da parte di Pechino di sforzi in questo senso non se ne vede nemmeno l'ombra. Ma quali negoziati!? La loro reale preoccupazione è che si costituisca «un precedente pericoloso per il sistema delle relazioni internazionali», è l'attacco al principio della sovranità statuale, la legittimazione dell'ingerenza negli affari interni degli stati.
Anche se le loro obiezioni sono tutte strumentali e pretestuose, su una cosa non si può dar torto a Cina e Russia. Mentre in occidente gli attivisti per i diritti umani gonfiano il petto, in Darfur la situazione peggiora e a rimetterci sono le vittime. La prima reazione di al-Bashir è stata di bandire dal paese 10 ong. Per esempio, l'espulsione della sola sezione olandese di Medici Senza Frontiere «lascia oltre 200 mila pazienti privi di assistenza medica essenziale», fa sapere la stessa Msf. E vi pare che in 50 anni di repressioni in Tibet il governo cinese non meriterebbe di essere accusato degli stessi crimini per i quali si chiede l'arresto di al-Bashir?
Non fraintendetemi. Lo so, questi sono gli stessi argomenti di chi vuole che resti tutto com'è. Al contrario di costoro non voglio certo dire che non bisogna perseguire i dittatori sanguinari come al-Bashir per i loro crimini. Ma penso che di sentenze inefficaci e ineseguibili non sappiamo come farcene, com'è vero che di buone intenzioni sono lastricate le vie per l'inferno. Sono solo demagogiche e spesso controproducenti. Ritengo che semplicemente si debba avere il coraggio e prendersi la responsabilità politica di andare lì e togliere di mezzo al-Bashir con la forza.
Bisogna ammettere che nel mondo i diritti umani e la democrazia non si difendono a colpi di sentenze, ma con la politica, di cui l'uso della forza fa parte. Certo, poi c'è la cattiva politica, che chiude gli occhi di fronte ai massacri in Darfur e che pensa che i diritti umani e la democrazia non abbiano nulla a che fare con lo sviluppo pacifico o aggressivo della Cina; e c'è la buona politica, che li ritiene condizioni di stabilità e sicurezza da promuovere con i mezzi più adeguati a ciascun contesto particolare. Sta a noi scegliere, ma senza l'alibi di una corte senza poteri reali. Tra una settimana il clamore sarà scemato e in Darfur sarà di nuovo "massacre as usual".
Condivisibili le parole di Michael Walzer, un liberal con i piedi per terra, per il quale la decisione della Cpi è «un gesto molto simbolico, senza precedenti... Ma un gesto che potrebbe essere sbagliato perché diretto contro un leader in carica capace di crudeli ritorsioni contro le sue vittime... La Corte non ha i mezzi per imporre l'osservanza della sua decisione, e chi ci dice che Bashir non attuerà rappresaglie?» Un caso molto diverso da quello di Milosevic (e comunque anche in quel caso la "storia" si dimostrò riluttante a farsi processare): «La soluzione della crisi del Darfur non può essere giuridica... La sicurezza e i diritti civili del Darfur devono avere la precedenza su tutto per noi, e la decisione della Corte non facilita questo nostro compito, semmai lo ostacola».
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