Se qualche conservatore come Christopher Buckley, figlio di William, e David Brooks, editorialista del NYT, si è già pentito di aver sostenuto Obama, figuriamoci i conservatori che l'hanno sempre temuto. I mercati hanno bocciato il piano anti-crisi di Obama e il dubbio che «serpeggia» - anche tra i commentatori e nelle redazioni di autorevoli organi di stampa, anche di preferenze politiche diverse, come Wall Street Journal e The Economist, è che il nuovo presidente possa rivelarsi non all'altezza.
Si teme addirittura che con l'enorme espansione della spesa pubblica e dei programmi federali previsti nella prima legge di bilancio di Obama gli Stati Uniti si stiano incamminando verso una strada che renderà il loro sistema economico-sociale più simile a quello europeo. Quello di Obama è «il più audace manifesto social-democratico mai intrapreso da un presidente americano», ha osservato Charles Krauthammer.
Obama ha chiarito che intende essere un «trasformatore quanto Reagan». Il suo obiettivo non è solo rilanciare l'economia, ma realizzare ambiziosi progetti come un sistema sanitario universale, un'istruzione universale, energia "verde" finanziata e regolata dal governo. E ha deciso di non aspettare la fine della crisi. Già, perché al contrario che in Italia, dove il governo si limita, sia pure in modo pragmatico, a gestire l'esistente e a controllare il deficit aspettando che la crisi passi, Obama vede nell'attuale crisi «un'opportunità». L'ha detto esplicitamente.
«Come la Grande Depressione negli anni '30 - ha spiegato Krauthammer - pose le condizioni politiche e psicologiche che permisero a Roosevelt di trasformare l'America dal laissez-faire delle origini al welfare state, l'attuale crisi apre ad Obama lo spazio politico per spingere l'ancora (relativamente) modesto welfare state americano verso una socialdemocrazia di tipo europeo». Nei paesi dell'Unione europea la spesa pubblica è scesa leggermente, dal 48 al 47% del PIL, negli ultimi 10 anni. Negli stessi anni negli Stati Uniti è salita dal 34 al 40%. La differenza tra Europa e America nella quota di PIL che dipende dal governo si è già ridotta dal 14 al 7%. «Due mandati di Obama e quella differenza sarà azzerata», è il timore di Krauthammer.
Obama sembra scommettere che il paese - spaventato dalla crisi economica e vedendo i fallimenti della presidenza Bush e dei repubblicani - sia ormai pronto per una sterzata a sinistra. Eppure, da una certa retorica "sulla difensiva" nei discorsi di Obama, sembra emergere al contrario la consapevolezza che gli americani restano per la maggior parte istintivamente conservatori e che i suoi piani rischiano di suscitare una crisi di rigetto. Ed è così che ripetutamente Obama si è difeso ponendo l'accento su cosa lui e i suoi programmi non sono. Mentre presentava un piano che prevede il più grande aumento di spesa pubblica dal secondo dopoguerra, giurava di non credere nel big government: «Non perché io creda nel big government – io non ci credo. Non perché non m'importi dell'enorme debito che abbiamo ereditato – mi importa», assicurava al Congresso.
In realtà, quello di Obama, denuncia il Wall Street Journal, «non è un tentativo congiunturale di sostenere l'economia» in una fase di crisi, ma un progetto che mira ad «espandere in modo permanente la spesa pubblica», ponendo lo Stato «in una posizione così dominante» nell'economia che difficilmente si potrà farlo retrocedere.
Lo dimostra la grandezza assoluta della spesa federale proposta, che si avvicinerà nel 2009 ai 4 mila miliardi di dollari, il 27,7% del PIL. La più alta dal 1945, quando il paese era ancora mobilitato per la Seconda Guerra mondiale. E anche quando l'economia ripartirà, si prevede nel 2010, la spesa rimarrà più alta del 22% per l'intero prossimo decennio. «Ci concentriamo sulla spesa, piuttosto che sul deficit - spiega il WSJ - perché Milton Friedman ci ha insegnato che rappresenta il reale carico futuro sui contribuenti». Ma «la più grande illusione» di questa legge di bilancio sta proprio nelle ottimistiche previsioni di crescita: dopo aver perso quest'anno "solo" l'1,2%, secondo Obama il prossimo anno l'economia crescerà del 3,2%. «La realtà - conclude il WSJ - è che i Democratici vogliono sbrigarsi a trasformare tutto questo in legge adesso che Obama è nella sua lune di miele con gli elettori e che possono accusare Bush della recessione».
Anche in casa democratica c'è preoccupazione. Il think tank clintoniano Brookings Institution ha pubblicato un allarmante studio dal quale emerge che anche secondo le previsioni più ottimistiche - se l'economia tornasse alla piena occupazione in due anni facendo decadere il pacchetto di stimolo - il deficit raggiungerà una media di almeno mille miliardi l'anno per i dieci anni successivi al 2009. Per l'economista Isabel Sawhill, è necessario riportare sotto controllo la spesa sanitaria. «Ma al momento nessuno sa come», ammette sollevando delle perplessità sul piano di Obama per l'assistenza sanitaria universale: «Tutti vorremmo offrire una copertura ai non assicurati, ma questo costerà di più, non di meno, del sistema attuale».
Anche negli Stati Uniti si pone il problema dell'aumento dell'età di pensionamento per la tenuta del sistema previdenziale. «La spesa in altri settori potrebbe essere ridotta, ma il vero problema sono le pensioni e la sanità». Se non si affrontano questi nodi, i tagli rischiano di far risparmiare spiccioli, non dollari. Nel frattempo - conclude Isabel Sawhill - stiamo lasciando un enorme debito sulle spalle delle prossime generazioni e incrociamo le dita che gli investitori stranieri continueranno a prestarci soldi a condizioni ragionevoli. Il problema non è la mancanza di risorse, ma di volontà politica».
No comments:
Post a Comment