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Wednesday, June 03, 2009

Possiamo aspettarci che Obama riprenda la "Freedom Agenda"?

Qualche indicazione sul discorso che domani Obama terrà al Cairo, all'università di al Azhar, l'abbiamo avuta dall'intervista che il presidente Usa ha rilasciato ieri alla Bbc. Niente "scuse" al mondo musulmano, mentre dovrebbe rispuntare la "Freedom Agenda".
«Il messaggio che spero di far arrivare è che democrazia, stato di diritto, libertà d'espressione e di religione non sono semplicemente principi dell'Occidente, ma sono principi universali, che loro possono abbracciare, che possono essere difesi ovunque, affermati ovunque come parte di ogni identità nazionale».
Un concetto caro, quello dell'universalità di principi come democrazia e libertà, anche al predecessore di Obama. Però, avverte il nuovo presidente, l'America non deve «imporre» o «dare lezioni», ma «incoraggiare e promuovere», piuttosto essere di esempio.

Al giornalista che gli fa notare come il governo israeliano non abbia alcuna intenzione di fermare gli insediamenti in Cisgiordania, come richiesto invece da Washington, Obama non risponde puntando il dito su Netanyahu ma sottolineando gli inadempimenti della road map da parte palestinese e araba:
«Penso che non abbiamo ancora visto gesti da parte di altri stati arabi e dei palestinesi che possano venire incontro ad alcune delle preoccupazioni israeliane».
Riguardo il nucleare iraniano, Obama ha ribadito la sua posizione:
«Sebbene non vogliamo fissare delle scadenze artificiali sul processo negoziale, vogliamo essere certi alla fine di quest'anno di vedere davvero progredire un processo serio. E penso che potremo valutare se gli iraniani sono seri o non lo sono».
Il presidente ha confermato anche la sua "linea rossa": legittimo l'interesse di Teheran per l'energia nucleare civile; legittime le sue aspirazioni nella regione. Ma «la comunità internazionale ha un interesse molto concreto» a impedire la proliferazione delle armi atomiche nella regione.

Possiamo davvero aspettarci che domani Obama riprenda la "Freedom Agenda" di Bush? Secondo Paul Wolfowitz, «una delle tante aspettative che si spera Obama disattenderà è proprio quella secondo cui abbandonerà» la "Freedom Agenda" del suo predecessore. «Sarebbe un grande errore, per gli Stati Uniti e per il mondo musulmano». Al contrario, dice Wolfowitz, «deve contrastare i miti e le menzogne sugli Stati Uniti in cui si crede comunemente in molte parti del mondo musulmano e far presente al suo uditorio alcune scomode verità. Ma ha anche l'opportunità, che gli deriva in una parte non piccola dalla sua notevole carriera, di sostenere che i principi e i valori politici a volte erroneamente etichettati come "occidentali" sono invece adatti anche al mondo musulmano». Dovrebbe inoltre «chiarire che la sua decisione di parlare al Cairo non significa che è indifferente a come il governo egiziano tratta il suo stesso popolo, nonostante l'importanza dell'Egitto nel processo di pace arabo-israeliano e come alleato nel confronto con l'Iran».

Il presidente, insiste Wolfowitz, dovrà essere «onesto» con il mondo musulmano, soffermandosi sulle «vere cause della povertà e della tirannia» nella regione, che nulla hanno a che fare con l'America e l'Occidente; dovrà «contrastare la credenza secondo cui gli Stati Uniti sarebbero indifferenti alla sorte dei musulmani o, peggio, secondo cui demonizzerebbero l'Islam», ricordando le molte occasioni negli ultimi 20 anni in cui l'America «ha rischiato le vite dei suoi uomini e delle sue donne - in Kuwait, in Somalia, in Bosnia e nel Kosovo, per non citare Afghanistan e Iraq - per aiutare i musulmani afflitti dalla tirannia o dalla fame». Dovrebbe dir loro del «profondo rispetto che gli americani hanno della fede in generale e dell'islam in particolare come una delle più grandi religioni del mondo», ribadendo di essere consapevole che «le azioni degli estremisti non rappresentano la maggioranza dei musulmani, come Bush ha ripetutamente sottolineato».

Obama dovrebbe poi «chiarire che gli Stati Uniti non credono che la democrazia debba essere imposta con la forza, né far pensare che la stabilità non sia importante... ma anche sottolineare che la vera stabilità richiede di dare ai democratici liberali del paese che sono perseguitati lo spazio per cominciare a far crescere istituzioni libere, piuttosto che lasciare il campo interamente agli estremisti che sanno organizzarsi efficacemente in segreto». Uno di questi egiziani liberali, Ayman Nour, si è chiesto di recente se Obama "confermerà il suo impegno per la democrazia, o se sceglierà l'appeasement con dittatori e aggressori". Un singolo discorso non può rispondere in modo definitivo a questa domanda - conclude Wolfowitz - ma si spera che domani, al Cairo, Ayman Nour sarà soddisfatto delle parole di Obama».

Sul Wall Street Journal di ieri un altro attivista democratico egiziano, Saad Eddin Ibrahim, ha rivolto a Obama il suo appello per la democrazia nel suo paese:
«Gli egiziani sia in Egitto che nel mondo stanno invocando il cambiamento... quindi un presidente americano eletto su una piattaforma di cambiamento è musica per le orecchie degli egiziani».
Una «cosa notevole» che Obama «può fare per l'Egitto e il mondo musulmano è offrire l'aiuto americano per rendere migliori i governi». Dovrebbe «promuovere» lo stato di diritto, elezioni democratiche, e limiti ai mandati di presidenti eletti democraticamente. «Probabilmente - si rende conto Ibrahim - i consiglieri di Obama suggeriranno al presidente di evitare di offendere» Mubarak. Ma «con una mossa simile conquisterebbe i cuori e le menti di un miliardo e mezzo di musulmani per sempre». Con la sua abilità comunicativa, Obama «dovrebbe trovare un modo per lanciare l'idea e offrire un piano Marshall di incentivi finanziari, e poi invitare gli egiziani e gli altri musulmani a fare il resto».

Obama sa quello che sta per fare in Egitto, si dice sicuro Thomas Friedman, che ha di recente avuto una conversazione telefonica con il presidente: «Tutti vogliono la pace, ma nessuno vuole pagarne il prezzo». Un «passaggio chiave» del suo discorso al Cairo sarà rivolto a costoro:
«Basta dire una cosa in privato e sostenerne un'altra in pubblico. Molti paesi arabi sono più preoccupati dell'Iran che si sta per dotare di armi nucleari che di Israele, ma non vogliono ammetterlo. Molti israeliani riconoscono che la loro attuale strada è insostenibile, e che devono prendere decisioni difficili sugli insediamenti per una soluzione "a due stati" — che è nel loro stesso interesse di lungo termine — ma non vogliono riconoscerlo pubblicamente. Molti palestinesi riconoscono che l'incitamento permanente e la retorica negativa contro Israele non ha portato alcun beneficio per il loro popolo, ma non vogliono dirlo a voce alta».
Il presidente, assicura Friedman, non si illude che un discorso possa far miracoli. «Ciò che credo - ha detto Obama all'editorialista del NYT - è che se ci impegnamo a parlare direttamente alle piazze arabe, e se si convincono che stiamo agendo in modo sincero, allora sia esse che i loro leader saranno più inclini a lavorare con noi». Parte della «battaglia dell'America contro i terroristi consiste nel cambiare i cuori e le menti della gente che reclutano». Per avere qualche speranza di riuscita, però, Obama deve riprendere la "Freedom Agenda" di Bush e portarla avanti con maggiore coerenza. Vorrà, e/o saprà, farlo?

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