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Friday, June 12, 2009

Corea del Nord, prepararsi al collasso

Approvata all'unanimità al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite una nuova risoluzione sulla Corea del Nord che introduce nuove sanzioni, tra cui la possibilità di intercettare e ispezionare navi e aerei diretti nei porti e negli aeroporti del paese. Tutti i paesi membri sono quindi autorizzati, anche se non obbligati, a ispezionare «tutti i cargo diretti e provenienti dalla Corea del Nord in transito sul loro territorio, inclusi i porti e gli aeroporti, se il Paese coinvolto ha informazioni che offrono basi ragionevoli per poter credere che il cargo contenga elementi» proibiti dall'embargo. Le ispezioni delle navi possono avvenire anche in acque internazionali «con il consenso del Paese la cui bandiera batte la nave e secondo le norme del diritto internazionale». La risoluzione intima inoltre Pyongyang a «non condurre alcun altro test o qualsiasi altro lancio in cui venga usata tecnologia missilistica balistica».

Intanto, alcuni giorni fa, il New York Times, citando fonti interne all'amministrazione, ha fatto capire che gli Usa non sarebbero più disposti a tollerare le provocazioni e i giochetti di Kim Jong Il e sarebbero pronti a prendere in considerazione il cambio di regime.

Di regime change ormai «inevitabile» per «collasso» del regime, pur senza specificare se e quanto indotto dall'esterno, parla Michael O'Hanlon, analista della Brookings Institution, think tank clintoniano e quindi vicino all'amministrazione. Anche se è «impossibile» prevedere «come o quando», il «costo dell'impreparazione» a un simile evento sarebbe «così alto» che «ogni evenienza dev'essere considerata». «Gli Stati Uniti devono prepararsi a giocare un ruolo fondamentale e diretto nell'affrontare gli effetti del collasso»: coordinandosi con Cina e Corea del Sud per «localizzare e mettere in sicurezza» il più velocemente possibile il materiale nucleare; ristabilire l'ordine; assicurare beni e servizi fondamentali. E sarebbe un errore non comprendere che si tratterebbe di operazioni da condurre militarmente. Lo scenario del collasso può implicare una lotta per il potere tra le fazioni nordcoreane e combattimenti tra nord e sudcoreani. Ciò implica che tutti gli aspetti, dalla presenza militare americana in Corea del Nord alla prospettiva della riunificazione con il Sud, dovrebbero essere concordati con Pechino «prima di un'eventuale crisi o guerra».

In un recente articolo lo stesso O'Hanlon ha ricordato come tutti gli approcci – da Clinton a G. W. Bush – abbiano fallito: con Pyongyang è «difficile trattare». Il «nostro obiettivo» dovrebbe essere ancora quello di convincere i nordcoreani ad accettare aiuti esteri, commercio e riconoscimento politico in campio dell'abbandono delle loro capacità nucleari e di graduali riforme, come in Vietnam. «Ma purtroppo – riconosce O'Hanlon – non è l'esito più probabile. Con i nostri alleati dovremmo gettare le fondamenta per affrontare scenari peggiori».

Anche Henry Kissinger, realista di ferro, sembra essersi convinto che la Corea del Nord vuole diventare una potenza atomica. I leader di Pyongyang «sembrano aver concluso che nessun riconoscimento politico e nessuna ricompensa vale l'abbandono delle loro capacità nucleari». Quindi, «da ora il problema per la diplomazia è capire se l'obiettivo dovrebbe essere convivere con l'arsenale nucleare nordcoreano o eliminarlo. Qualsiasi politica che non elimini il programma nucleare di Pyongyang, di fatto accetta la sua continuazione. E il processo negoziale – avverte l'ex segretario di stato – è sul punto di legittimarlo, autorizzando Pyongyang a porci di fronte al fatto compiuto». Il che sarebbe «una sfida» alla politica di non proliferazione e «comprometterebbe le prospettive negoziali con l'Iran».

L'accettazione di fatto della Corea del Nord come potenza nucleare richiederebbe una «riconsiderazione strategica». A quel punto, secondo Kissinger, «andrebbe posta maggiore enfasi sulla difesa missilistica; sarebbe essenziale rielaborare la strategia di deterrenza degli Usa in un mondo con molteplici potenze nucleari, considerando il ruolo accresciuto di attori non statali - una sfida senza precedenti».

La proliferazione nucleare in Asia e in Medio Oriente potrebbe «andare fuori controllo». Uno scenario che non dovrebbe piacere neanche alla Cina, che si troverebbe, fa capire Kissinger, circondata da paesi nuclearizzati. Ma «non basta chiedere alla Cina di esercitare le sue pressioni su Pyongyang, lamentandosi perché non fa ricorso a tutte le sue possibilità», avverte Kissinger. I cinesi «hanno bisogno di conoscere l'atteggiamento americano e di chiarirsi sul loro nell'eventualità di una crisi. Per questo è essenziale un delicato e ponderato dialogo con la Cina, piuttosto che richieste perentorie».

La pensa in modo diverso Robert Kaplan, che su The Atlantic ha spiegato che «Cina e Russia hanno, molto più degli Usa e del Giappone, di che essere preoccupate per un collasso della Corea del Nord» causato dalle sanzioni. La Cina inoltre ha «ottime ragioni» per non volere ai propri confini una Corea riunificata, che rappresenterebbe una sfida geopolitica e idoelogica. I cinesi quindi «puntano a minare il regime di Kim Jong Il e a sostituirlo senza l'implosione» del paese. E Kim, secondo Kaplan, «cerca di coinvolgere gli Stati Uniti in colloqui diretti, per ottenere il riconoscimento politico di Washington da usare contro Pechino». Ha quindi «bisogno di essere un problema tale per gli Usa che non abbiano altra scelta che trattare con lui direttamente».

«Questa strategia - osserva Kaplan - pone un problema serio ad Obama: se non colpisce duramente la Corea del Nord con le sanzioni, rischia di dimostrare all'Iran che l'America non fa sul serio. Ma dure sanzioni contro Pyongyang rischiano di provocare il collasso della Corea del Nord, e chi lo auspica dimostra di non aver appreso la lezione dell'Iraq: l'unica cosa peggiore di uno stato totalitario è nessuno stato». Inoltre, «i nordcoreani sono meno istruiti e hanno minore esperienza di democrazia degli iracheni». E in caso di collasso, con milioni di profughi, «sarebbe necessaria la madre di tutte le operazioni umanitarie, con l'esercito americano e cinese obbligati a lavorare insieme», esito che né Pechino né Washington si augurano. «Vogliamo una penisola nordcoreana libera, democratica e riunificata, ma anche che sia una transizione graduale». Quindi Kaplan propone sanzioni dure ma non tali da causare l'implosione della Corea del Nord.

Diametralmente opposta l'analisi di Nicholas Eberstadt, che non ha mai creduto che la strategia di Pyongyang fosse quella di ottenere il riconoscimento politico di Washington e aiuti per la sopravvivenza in cambio della sospensione del programma nucleare, ma che al contrario perseguisse una «strategia chiara allo scopo dotarsi effettivamente di un arsenale nucleare, facendo in modo che la comunità internazionale accettasse gradualmente l'idea della Corea del Nord potenza nucleare». «Ciò che non è chiaro è se la nuova amministrazione Usa lo ha capito e se ha una sua strategia per affrontare la proliferazione nucleare nordcoreana».

Senza ripercorrere tutte le tappe dei «tragicomici sforzi occidentali per impedire a Pyongyang di soddisfare le sue ambizioni», Eberstadt cita l'errore ricorrente, cioè di «trattare la Corea del Nord come lo stato che avremmo voluto che fosse, invece di prenderlo per ciò che effettivamente è. Non otterremo risultati finché non li prenderemo seriamente, finché non capiremo cosa vogliono dal mondo, piuttosto che pensare a ciò che secondo noi dovrebbero volere». La prima cosa da riconoscere è che è uno stato «revisionista», «un regime profondamente insoddisfatto dell'assetto attuale e fondamentalmente impegnato a trasformarlo. Non accetta il predominio di un ordine economico mondiale giudicato imperialista, non accetta lo stato considerato fantoccio che occupa la metà meridionale della sua penisola e l'architettura di sicurezza americana che permette la continuazione di questi oltraggi». Il secondo fatto da riconoscere è che «l'opzione nucleare è al momento la migliore, e forse l'unica che ha per poter sperare di realizzare i suoi obiettivi revisionisti».

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