Le dichiarazioni di Obama a Parigi, la settimana scorsa: non intendo continuare con «una politica che premia le provocazioni» e ripenserò «in modo approfondito al modo di procedere sulla questione... Non credo che si debba dare per scontato che continueremo sulla linea del passato, quella secondo cui la Corea del Nord destabilizza costantemente la regione e noi reagiamo sempre allo stesso modo, premiandoli». Le parole del segretario alla Difesa, Robert Gates: «Sono stanco di comprare due volte lo stesso cavallo». «Clinton c'è cascato una volta, Bush un'altra. Non ci cascheremo anche noi», ha detto un anonimo della Casa Bianca citato dal New York Times, il giornale - fa bene a ricordare Rocca - «attraverso cui Obama conduce la sua politica estera».
Altri funzionari hanno detto al NYT che «Obama ha già deciso di non offrire più nuovi incentivi per smantellare il complesso nucleare di Yongbyon che i nordcoreani avevano già promesso di abbandonare tre volte». Il team di sicurezza nazionale di Obama, scrive Rocca citando il quotidiano, «ha cambiato scenario».
«Si è reso conto, come ha sempre detto John Bolton, che la priorità di Pyongyang non è quella di ricattare per ottenere soldi, cibo, petrolio, ma quella di essere riconosciuta come la capitale di uno stato nucleare. Gli uomini di Obama, soprattutto, hanno fatto trapelare al Times che la nuova interpretazione della Casa Bianca dei continui test militari nordocoreani è che siano una specie di spot pubblicitario del regime, il modo di Kim Jong Il di esporre la propria merce sul mercato globale e provare a venderla a chiunque sia interessato ad acquistare tecnologia nucleare».E «questo cambia interamente la dinamica del nostro approccio», avrebbe detto al NYT un altro consigliere per la sicurezza nazionale.
Secondo Rocca, la condanna delle due giornaliste «ha soltanto messo la sordina a un cambio di strategia che a Washington è già in via di esecuzione». C'è da augurarselo. L'amministrazione, osserva Rocca, «non ha soltanto elevato il tono della voce, si sta impegnando ad ampio raggio con una serie di misure diplomatiche e militari per accerchiare» la Corea del Nord: stretta alle sanzioni; embargo finanziario da parte della Corea del Sud; e, con l'aiuto della Cina, fermare le spedizioni aeree e navali nordcoreane sospettate di portare armi o tecnologia nucleare.
Il rischio, visto che Pyongyang da tempo ha fatto sapere che considererebbe il blocco navale «un atto di guerra», è uno scontro aperto. Per questo Cina e Russia «tentennano nel dare il sostegno alla risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'Onu, presentata dagli americani, che autorizza esplicitamente a fermare i cargo norcoreani». Secondo la ricostruzione del NYT, scrive Rocca, «stanno cercando di convincere i cinesi che senza un loro coinvolgimento diretto l'America sarà costretta ad aumentare la presenza militare nella regione e, probabilmente, a non poter più fermare le richieste giapponesi di dotarsi anche loro di un arsenale nucleare». Quella di Obama è una vera svolta, o sono solo minacce per provare a smascherare l'ennesimo bluff di Kim? Lo vedremo nelle prossime settimane.
«Il cambio di regime a Pyongyang è la soluzione», ha ammesso John Nagl, presidente del Center for a New American Security (think tank da cui Obama ha preso uomini e idee), a Il Foglio: «Non c'è contraddizione con il resto della politica estera della Casa Bianca, perché Kim Jong Il sta commettendo un genocidio nei confronti del suo popolo». Finalmente se ne sono accorti. Chissà che nel destino di Obama non ci sia di portare la democrazia ai confini della Cina, riunificando le due coree.
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