«How can you say this is the great threat of the 21st century, it's a question of life and death - and then tell people to go to the beach?», asked Daniele Capezzone, secretary general of the Radical Party.Ok, era solo per dovere di cronaca.
Ieri il capo dei vescovi italiani Camillo Ruini ha ribadito il suo appello all'astensione:
«E' ormai molto vicino il referendum riguardante la procreazione assistita. La nostra posizione in merito è nota ed è quella indicata anche dal Comitato Scienza & Vita: siamo cioè per una consapevole non partecipazione al voto, che ha il significato di un doppio no, ai contenuti dei quesiti sottoposti a referendum, che peggiorano irrimediabilmente e svuotano la legge, riaprendo in larga misura la porta a pericolosi vuoti normativi, e all'uso dello strumento referendario in una materia tanto complessa e delicata».All'assemblea della Cei, Benedetto XVI non ha fatto mancare la sua parola:
«Siete attualmente impegnati a illuminare e motivare le scelte dei cattolici e di tutti i cittadini circa i referendum sulla procreazione assistita ormai imminenti: proprio nella sua chiarezza e concretezza questo vostro impegno è segno della sollecitudine di voi pastori verso ogni essere umano che non può mai essere ridotto a mezzo ma è un fine, come insegna Cristo e come ci dice ragione umana».Dunque, Ruini ha ottenuto l'endorsement che tanto aspettava per la sua campagna astensionista, per il quale ha tanto sudato, pressando il Santo Padre? Da fine intellettuale, le parole del Papa sono cautamente soppesate. Un suo silenzio, o un passaggio troppo vago senza riferimenti alla scadenza referendaria, sarebbero apparsi come una sconfessione. Una strada comunque non percorribile, visto che la campagna è partita prima della morte di Wojtyla. Dunque, analizziamo quel testo.
Il sospirato endorsement papale è stato ottenuto, e forse esagera Antonio Tombolini, secondo cui nel parlare di «scelte» al plurale il Papa avrebbe «auspicato la pluralità di scelte civili e politiche dei cattolici». I sostantivi usati, «chiarezza e concretezza», non lasciano spazio a dubbi, rappresentano un convinto sostegno del Papa allo strumento politico, tattico e strategico, scelto dai vescovi italiani. Tuttavia, Ratzinger ha voluto anche sottolineare che si tratta del «vostro impegno»... «Vi sono vicino in tale impegno». In quel «vostro» rintracciamo un'ambivalenza, un distinguo dai vescovi italiani e da chi li guida che potrebbe tornare utile, il rispetto della loro autonomia, un sostegno solo "paterno" e non militante, che si addice al Primate di una Chiesa non italiana ma universale.
Questi distinguo non risolvono i nodi della polemica sull'ingerenza del Papa, e tantomeno sull'offensiva vaticana. Nota Marco Politi, su la Repubblica, che il discorso papale nel suo complesso fa supporre che «il neo-eletto lotterà perché l'Italia rimanga una trincea avanzata contro la secolarizzazione che ha invaso l'Occidente».
«Vincere la battaglia del referendum significa per Ratzinger contrastare lo spettro della de-cristianizzazione, da lui evocato ancora una volta ieri: "Una forma di cultura, basata su una razionalità puramente funzionale, che contraddice e tende a escludere il cristianesimo e in genere le tradizioni religiose e morali". Tendenza diffusa un po' ovunque in Europa. Ma – ed è questa la frase che ha fatto scattare l'attenzione dei presenti – "qui in Italia la sua egemonia non è affatto totale e tantomeno incontrastata"».Le battaglie militanti però, dovrebbero esser condotte autonomamente dagli episcopati nazionali, che se ne assumono la responsabilità salvaguardando l'immagine universale del Papa.
Ecco io credo, l'ho spiegato in post precedenti, che la scristianizzazione del nostro continente non è dovuta né alla secolarizzazione né al relativismo. Se in America il sentimento religioso fiorisce, in Europa la sua debolezza si deve alla reazione di quanti vedono nella Chiesa un partito, nei vescovi i sodali del potere.
Ho già espresso la mia posizione sulla questione «libertà d'espressione e abuso di potere spirituale». In sostanza, mi opporrò sempre a chi sostiene che gli ecclesiastici di ogni grado e ordine non possono esercitare la libertà di esprimere il proprio pensiero o di condurre campagne. Sarebbe come uccidere una seconda volta Martin Luther King. Esistono però due questioni. La prima è che Santa Romana Chiesa ha uno status giuridico "particolare". E' a tutti gli effetti uno stato estero (Stato Città del Vaticano) ospitato sul territorio italiano, che percepisce il finanziamento pubblico dell'8 per mille, circa un miliardo di euro l'anno gestiti da Ruini, e a cui sono riconosciuti dei privilegi nell'insegnamento scolastico. Ho sempre sostenuto che rinunciando a queste forme di collusione con il potere mondano e temporale, ci guadagnerebbe la libertà d'espressione della Chiesa.
Nessuno per esempio, e passiamo alla seconda questione, potrebbe citare quella norma che sanziona il ministro del culto qualora nell'esercizio delle proprie funzioni (le omelie lo sono incontestabilmente) si adoperi per vincolare i suffragi. Già, perché è chiaro che si sia tutti liberi di esprimere il proprio pensiero, ci mancherebbe, ma esiste anche il problema dell'abuso delle proprie posizioni.
«Se durante una sessione di esami universitari ce la stessimo facendo sotto e il professore ci esortasse caldamente a votare per Berlusconi, o a votare "Sì" ai referendum, non sarebbe forse un abuso della sua posizione, non lo percepiremmo come un sopruso, un ricatto? Se il nostro datore di lavoro ci pagasse per andare a votare ai referendum, o ci spiegasse con accuratezza di particolari che per il bene dell'azienda e di noi dipendenti dovremmo votare per Berlusconi, non sarebbe un comportamento intimidatorio?Nessuno in questi casi si appellerebbe alla libertà d'espressione del professore o dell'imprenditore. Né mi risulta sia mai venuto in mente a un pilota dell'Alitalia, effettuato con successo l'atterraggio all'aereoporto di Fiumicino, di invitare i passeggeri a votare tizio, o caio, o a starsene al mare invece di augurare buon soggiorno. Nessuno impedisce a quel pilota di manifestare nelle sedi e nei momenti opportuni il suo pensiero.
Nel caso queste esortazioni giungano dalle gerarchie di una Chiesa la cosa si fa più delicata. Se nelle mani del professore c'è l'esito del nostro esame e nelle mani del datore di lavoro ci sono il nostro impiego e la nostra paga, per i credenti nelle mani di vescovi e parroci c'è la loro anima, il loro rapporto con Dio, qualcosa che tocca nel profondo le coscienze».
A illustrare bene i termini della questione è Iuri Maria Prado, oggi su Libero. La domanda a cui le gerarchie ecclesiastiche dovrebbero rispondere, per capire se si tratti o meno di ingerenza e di abuso della propria posizione, è: «Chi non si comporta secondo le direttive della Chiesa, del suo papa e dei suoi ministri, che cos'è? Un cattivo cattolico? O un cattivo cittadino?»
«Sarebbe bene capirlo. Perché se non andare a votare risponde, nell'intendimento della chiesa che istiga a un simile boicottaggio, all'adempimento di un dovere "cattolico", allora bisogna concludere che l'esercizio di un diritto fondamentale (andare a votare) espone il titolare di questo diritto a una responsabilità molto grave: se vota (non importa come) non è un buon cattolico, appunto. Se invece la chiesa intende suggerire che non è il bavo fedele quello che non vota, ma il bravo cittadino, allora bisogna credere che la chiesa cerchi di attribuire a se stessa un potere anche più ficcante. Un potere che nemmeno lo stato laico e democratico pretende di esercitare».Far credere che non si è buoni cattolici, che ci sarebbe da pentirsi, se ci si reca alle urne, è un abuso della propria posizione, un "ricatto spirituale" a chi ripone nelle mani di vescovi e sacerdoti niente meno che la propria anima. Siamo dunque alla salvezza in cambio del non voto, come un tempo in cambio degli averi? Non è questo forse un aspetto simoniaco dell'invito all'astensione da parte dei vescovi?
Harry non fa che distinguere tra referendum ed elezioni politiche, sarebbe scandalizzato se dal pulpito si indicasse di votare Berlusconi o Prodi, ma sui referendum, sui temi di bioetica, su questi il discorso è diverso. La distinzione mi pare davvero molto labile. Siamo "fortunati" perché i candidati a premier in Italia tengono nascoste agli elettori le loro idee in merito a questioni di bioetica. Ma se in una campagna per le politiche uno dei candidati si esprimesse decisamente per l'abrogazione della legge 40 e l'altro assolutamente in difesa, le gerarchie ecclesiastiche dovrebbero o no indicare ai cattolici chi votare? Dovrebbero, secondo Harry, perché il tema lo impone, ma non dovrebbero, sempre secondo Harry, perché tale indicazione alle elezioni politiche sarebbe odiosa.