Siamo talmente abituati da non farci più caso, ma per 48 ore i giornalisti hanno scioperato. Qualcuno si è forse chiesto perché, sentendo leggere i comunicati generici dell'orgoglio professionale? Ci avete fatto caso? Prendete questo, ad esempio, apprezzatene lo straniamento.
Oggi su Europa, che non leggo mai, non mi è sfuggito però un inatteso commento di Stefano Menichini. E ho pensato: vuoi vedere che il pericolo per la libertà di stampa, per la qualità dell'informazione e per i giornalisti precari, si chiama Fnsi?
Un «giovane collega», racconta Menichini, si è presentato da lui in redazione, piattaforma Fnsi alla mano: «fosse stata già applicata, dice, io qui non ci sarei mai arrivato». Ogni due righe di quel documento si rinvia alla «qualità dell'informazione». Andando a guardare bene, oltre la retorica sindacalese, si comprende quale siano i parametri di giudizio del sindacato dei giornalisti: più i giornalisti professionisti accumulano privilegi, più lavorano comodamente, più l'informazione è "di qualità". Merito? Nel dizionario della lingua italiana che Ordine e Fnsi distribuiscono ai loro iscritti questo lemma dev'essere mancante.
Poi un piccolo giornale come Europa si accorge che la qualità della sua informazione viene minacciata dalle richieste sindacali, «qualora dovessimo caricare di oneri previdenziali i compensi (già) scarsi che diamo ai collaboratori e in più introdurre alcune altre rigidità, che altrove forse sono tutele e qui sarebbero solo bavagli». Intanto, «magazines zeppi di pubblicità escono lo stesso, al massimo due o tre giorni dopo. Giornali nostri concorrenti, con gli stessi nostri problemi ma meno affezionati al sindacato, escono (e ci recano gran danno). Vengono minacciati di provvedimenti disciplinari: se l'appuntano come una medaglia». Per non parlare della stampa del centrodestra «che della Fnsi non vuole più sapere nulla, e che evidentemente è ricambiata».
Niente da fare, persino un Menichini, di Europa (Margherita), si ribella:
«Non va, l'abbiamo detto e lo ripetiamo. Anzi, a titolo personale: lo dico e lo ripeto, perché a Europa quella del direttore è opinione minoritaria, il comitato di redazione ha deciso di aderire e qui né il direttore né i precari lavoreranno mai per sabotare lo sciopero dei giornalisti. Già, i giornalisti veri».Invece di dare a bere improbabili comunicati sulla fine della libertà di stampa, i giornalisti quelli veri dovrebbero innanzitutto raccontare i veri perché dello sciopero. Così, per esempio, l'opinione pubblica si farebbe un'idea sui veri motivi della rottura della trattativa tra le parti e scoprirebbe «un autentico paradosso»: il problema del sindacato è «come fare a esonerare il mercato dell'editoria dagli strumenti di flessibilità introdotti dalla legge Biagi, senza dirlo apertamente perché pur sempre di legge dello stato si tratta».
C'è dell'altro, rivela Menechini:
«Ed è roba grossa. Scusate la grossolanità, che mi procurerà dure reprimende ed è impropria come tutte le generalizzazioni: ma qui (e da anni) a me pare anche di vedere un mondo di garantiti che, impugnando i diritti dei non garantiti, li fottono e li tengono alla larga dalle redazioni. Sarà che quando uno diventa direttore vede le cose anche da un altro punto di vista: però questo punto di vista dice che, con risorse scarse, se le metti tutte su giornalisti ben protetti e molto costosi, non le puoi mettere su quelli non protetti e meno costosi. Incidentalmente alcune volte (mi perdoni il dio delle redazioni, perché qui sulla terra non mi perdoneranno mai), i secondi sono migliori dei primi».C'è chi sfrutta i ragazzi e caccia i giornalisti troppo critici? Può darsi, di sicuro. Ma allora punite loro. Fate nomi e cognomi, promuovete vertenze, campagne mirate. A che serve, alla causa che dite di difendere, «chiedere maggiori permessi sindacali, mettere un tetto e un limite di tempo alla presenza degli stagisti (certo, dovessero risultare troppo svegli...); fare della carriera una specie di inerziale progresso automatico; caricare di oneri contributivi le (già) scarse retribuzioni per i collaboratori»? Serve certo, a «sostenere le benedette e mai abbastanza ringraziate casse della previdenza dei garantiti».
Non finiremo mai di ringraziare Menichini per questo sfogo, che però finisce in bellezza: che fare di questo «residuo dell'Ordine». Non sarebbe meglio «prendere il coraggio a due mani e darsi una bella autoriforma?»
«Praticare dentro le mura la concorrenza che si predica fuori, dare alle fasce esposte della categoria tutele vere e non selettive, e ai giovani una chance autentica che passi anche attraverso sacrifici iniziali che sarebbero ben disposti ad affrontare: sempre meglio dell'esclusione a priori».Quale sarebbe dunque l'esito delle richieste del sindacato? Meno giornalisti, meno redazioni, meno testate. Difficile che sommando questi tre meno il risultato sia più libertà di stampa. Dunque la libertà di stampa è minacciata dall'Ordine e dai sindacati dei giornalisti, che bloccano l'accesso alla professione e fanno concidere la qualità dell'informazione con la qualità della vita dei loro iscritti.
P.S.: Nella "cantina" dove lavoro, a un sito che non è né carne né pesce, ai piani alti erano regolarmente a lavoro Massimo Bordin, Paolo Martini, Ada Pagliarulo ed Enrico Rufi. Gli altri erano a difendere la libertà di stampa (la loro) e la loro qualità di vita.
3 comments:
Incredibile, persino ad Europa ci sono persone di coraggio. Peccato che serva una serrat... ehm uno sciopero degli altri giornalisti per ccorgersene. Quella contro la FNSI e' una battaglia di civilta' contro una corporazione che minaccia sempre piu' di divenire casta.
Il bello degli scioperi è che spesso non viene fuori la sostanza del perché si sciopera. Altrimenti noi altri ci si incazzerebbe ancora di più.
Bene ha fatto il direttore e tu, Federico, a dire il re è nudo.
Ma perché a Radio Radicale non c'è un po' di pubblicità? Magari un ufficietto per te coi soldi ricavati si potrebbe trovare.
Oppure si potrebbe fare una 'public company' come in america, laddove è il pubblico che paga la radio.
Resisti.
uh, che porta che sfondi!
Sostengo da tempo che puntando solo sui soldi della convenzione prima o poi si finisce per terra.
Nonostante si continui a ripetere (e una volta ne ero convinto anch'io) che il servizio pubblico lo può fare meglio un privato con denaro pubblico in convenzione, stando qui mi sono radicalizzato ulteriormente e l'esperienza mi dice che ovunque c'è finanziamento pubblico la mentalità si statalizza e si burocratizza, le capacità di intrapresa scompaiono, l'efficienza tende allo zero e si punta alla mera sopravvivenza.
Diversificare le fonti delle proprie entrate credo sia tra le prime 5 lezioni di un corso di economia aziendale.
ciao
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