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Wednesday, April 30, 2008

I dolori del giovane-vecchio Pd

Luca Ricolfi, oggi su La Stampa, torna a sostenere che la sinistra dovrebbe scrollarsi di dosso l'atteggiamento per cui sembrerebbe che «quando vince la destra è la pancia che parla, quando vince la sinistra è la testa che ragiona». Invece, secondo Ricolfi, il centrosinistra avrebbe ignorato «due fattori macroscopici»: la portata del disastro del Governo Prodi, che Veltroni ha continuato a difendere anche in campagna elettorale minando alla base la credibilità della sua "rupture"; e la mancata «rivoluzione antisnob, quel percorso di rottura con il mondo dei salotti che fu una delle carte vincenti» del New Labour di Blair. Il primo problema della sinistra italiana si conferma quindi la sua «immagine elitaria e anti-popolare», di «seriosi e impermeabili custodi del bene».

Il punto, conclude Ricolfi, «è che questi signori il contatto con la realtà sembrano averlo perso completamente. A forza di parlarsi tra loro non sanno più in che Paese vivono».

E se ieri Andrea Romano nel suo editoriale aveva concluso che «la strada del Pd è ingombra di una generazione politica che ha tentato di sopravvivere a se stessa», oggi salta agli occhi ciò che Blair - secondo quanto riportato da Maria Teresa Meli sul Corriere - avrebbe detto a Veltroni nel loro recentissimo incontro a Roma: «In Europa bisogna chiudere con tutto ciò che ha a che fare con la sinistra».

Ormai l'hanno appurato le analisi dei flussi e lo ha scritto giorni fa Ricolfi: alle elezioni politiche il Pd ha tenuto perché ha sopperito alla perdita di voti verso Udc, PdL e Lega, prosciugando la sinistra. E' comprensibile che nelle prime ore ciò fosse inconfessabile: mentre il centro dell'elettorato veniva conquistato da PdL e Udc, il Pd spostava il suo asse a sinistra. Ma credo che Veltroni fosse consapevole che la via verso il centro gli fosse sbarrata dal mancato accordo tra Berlusconi e Casini. Così ha mirato a drenare voti alla sinistra. Infatti, se nei discorsi di candidatura e investitura a leader sembrava volesse puntare su meno tasse e più sicurezza come temi di "rupture", nel corso della campagna elettorale l'attenzione si è spostata sempre più sulla lotta al precariato. Quella svolta tattica, e l'appello al voto utile anti-berlusconiano sulla base di una rimonta inesistente, gli hanno permesso di limitare i danni, ma i voti presi in prestito dalla sinistra potrebbero tornare a casa molto presto, già alle europee del 2009.

Per questo Veltroni dovrebbe trovare subito con Berlusconi l'accordo per una riforma elettorale (sia per le politiche che per le europee) in grado di blindare l'assetto tendenzialmente bipartitico uscito dalle urne.

Per il Pd sarebbe un errore clamoroso cedere alla tentazione di cercare alleanze a sinistra o al centro. Prosciugando i partiti della Sinistra Arcobaleno, il Pd ha dimostrato che in presenza di voto utile può sbaragliare chiunque. Cercare alleanze proprio con l'Udc e la sinistra vorrebbe dire farsi parassitare. L'unica alternativa al PdL è il Pd, che da oggi in avanti deve solo pensare a prendere i voti che sono andati all'Udc, al PdL e alla Lega. A quelli lì deve mirare, non ad altri. E per andarseli a prendere deve rompere più decisamente con il passato.

Ma farebbe un errore anche il PdL, se credesse di avere una tale forza da poter fare a meno di parlare con Veltroni sulle riforme, e non solo istituzionali. Se il dialogo tra Berlusconi e Veltroni funzionasse, tra mezze intese e un confronti civile, i sindacati difficilmente potrebbero giocare da "veto player", perché ne uscirebbero delegittimati presso un'opinione pubblica che pretende decisioni e cambiamenti.

Le riforme vanno fatte nella prima parte della legislatura (e il referendum elettorale incombe già nel 2009). I due nuovi presidenti delle Camere, sia Fini («La XVI sia una legislatura costituente») che Schifani, hanno pronunciato discorsi d'insediamento pieni di riferimenti al dialogo sulle riforme nella «reciproca legittimazione delle parti» e di omaggi ad alcuni esponenti della sinistra (Napolitano, Marini e la Finocchiaro, sempre «composta e corretta»). Parole evidentemente non casuali o di circostanza, che si aggiungono alla presidenza della Commissione Lavoro che potrebbe essere offerta a Ichino.

Aperture che il Pd non deve assolutamente lasciar cadere nel vuoto, perché non sono che la ripresa di un discorso che lo stesso Veltroni aveva avviato prima della campagna elettorale e, in qualche modo, dimostrano che nonostante la bruciante sconfitta il Pd può davvero essere protagonista di una "nuova stagione" di cui, anche dall'opposizione, potrà raccogliere i frutti. Non solo riforme istituzionali, anche lavoro, merito, tasse, sicurezza. Veltroni dovrà incalzare il governo affinché muova un metro in più nella direzione indicata dagli italiani nelle urne. Solo così potrà catturare gli sguardi proprio di coloro che il 13 e il 14 aprile si sono rivolti per la terza volta a Berlusconi e alla Lega.

Il Pd è in mezzo al guado: non deve spaventarsi della voragine a sinistra, e puntare dritto a riconquistare il centro, magari abbandonando quella spocchia che ha indotto Rutelli, preso dal panico, a ricorrere al pericolo fascista e leghista contro Alemanno.

7 comments:

Anonymous said...

Le elezioni del 13 e 14 aprile hanno cambiato il quadro politico. Esse non hanno indicato solo un fatto, ma una tendenza, che potrebbe continuare nelle elezioni successive, specie nelle grandi città. Non a caso Cofferati, Chiamparino, Cacciari e Penati, avevano segnalato lo spostamento a destra dell'asse elettorale del nord. Ma lo spostamento non è avvenuto soltanto al nord, ma anche a Roma e in Sicilia, ed oggi l'alleanza di Berlusconi governa i tre centri fondamentali del potere politico in Italia: Milano, Roma e Palermo.
Nei tempi delle vacche grasse emergono gli intellettuali e i discorsi complicati; la sinistra è più brava a gestire l'accademia. Ma quanto prevalgono i bisogni primari (la sicurezza, la casa, l'immigrazione, il caro vita), prevale la destra perché ritenuta più capace di governare la realtà. I bisogni primari in Italia prevalgono e quindi è l'ora della destra.
Siamo la qualità politica contro il populismo becero: questo è il modo con cui diessini e margheriti hanno affrontato Berlusconi e Bossi, lieti che i loro discorsi filassero come vele al vento sulle pagine dei quotidiani, delle riviste, delle televisioni. Il Pd si illudeva che controllare l'opinione pubblica con i mezzi di comunicazione sociale fosse la via per influenzare l'elettore ed ottenerne il consenso: votate a sinistra per essere moderni, efficienti, qualificati. La democrazia è una grande cosa, perché il voto dell'operaio e della casalinga contano quanto il voto dell'intellettuale: una categoria che in Italia ottiene il privilegio di essere creduta sapiente. Ma quando la voce della realtà si fa sentire più forte, anche l'esigenza di essere moderni, seguendo la Repubblica e il Corriere, cede di fronte al bisogno di essere vivi. La cultura a sinistra, il popolo a destra. I giornali insegnano, gli elettori votano.
La sinistra ha pensato di conquistare con la cultura un popolo, dicendo che solo la cultura di sinistra rende legittimi, moderni, efficaci, operanti; che essa dona qualità della vita. Leggi un quotidiano di sinistra, diventi anche tu, nel tuo piccolo, un intellettuale e puoi dire parole sapienti e controllate al tuo vicino di casa. Ma quando accadono gli scippi davanti a casa tua, quando non quadra il bilancio, quando l'immigrato si sente il padrone perché il partito intellettuale ti impone di considerarlo tale, allora scatta un riflesso di dignità. E l'italianità, la cittadinanza divengono prevalenti nel cuore e nel voto.
Il 13 e 14 aprile il popolo italiano si è rivoltato contro il partito degli intellettuali, contro Scalfari, contro la Spinelli, i maestri dello sdegno contro il popolo, i sapienti che guardano i «puzzoni» e annunciano a loro un triste destino. Il Partito democratico e Bertinotti hanno affrontato le elezioni come un dibattito sulle loro idee, sulla loro qualità politica, sul loro livello intellettuale. Bertinotti è stato il più bravo perché è il più grande maestro di retorica politica che ci sia in Italia, capace di creare quel mix di ideologia e di realismo, di anticapitalismo e di governo che danno ai suoi militanti e ai suoi elettori la gioia nel cuore e il potere nella realtà. Senza Bertinotti, non ci sarebbe stato né l'Ulivo-Unione, né il Partito democratico. Mago della parola, il grande pifferaio ha condotto la sinistra arcobaleno al puro annientamento, a non sedere più in Parlamento.
Il Partito democratico ha cercato anch'esso di avere un pifferaio magico e l'ha trovato in Veltroni: ma cosa esprimeva Veltroni se non «un nulla d'oro rilegato in argento»? E il partito intellettuale lo filava, i giornali sostenevano colui che, con un colpo di bacchetta magica, aveva fatto sparire sia i partiti fondatori del Pd sia gli «antagonisti». Giannelli sul Corriere raffigura Berlusconi con la bacchetta magica, vestito come un fattucchiere; dopo questa gragnuola elettorale, tutto si può attribuire a Berlusconi salvo l’incapacità di incontrare la realtà degli elettori e i loro sentimenti. Giannelli dovrebbe attribuire la bacchetta magica a Veltroni che ha creato un'illusione, un sogno. Ed ora si trova di fronte i corpi esclusi, poderosi, quello di Fioroni e quello di Bersani, il cuore della Dc e il cuore del Pci come capaci di popolo: ma con quale linguaggio?
E la storia continua, è cambiato l'asse politico del Paese, da sinistra è andato a destra. I giornalisti avranno più problemi con questo scivolamento della realtà (su cui credevano di aver già pensato tutto e detto tutto) che con la censura di Beppe Grillo e il suo referendum. Grillo fa parte della magia, ma lo spostamento a destra dell'asse politico italiano lascia i giornalisti senza parole, indecisi su quanti periodi debbano scrivere per giungere a scoprire Alemanno, quando si erano deliziati di Veltroni e di Rutelli.

Gianni Baget Bozzo
bagetbozzo@ragionpolitica.it

Anonymous said...

per dirla con le parole di un certo leo...mancano gli uomini liberi.

tutto qui.


ciao.

io ero tzunami...

Anonymous said...

Montezemolo, la mannequin d'Italia, ha già cambiato stilista... Ora sta col Silvio...

Così vedremo piroettare anche Corriere, Stampa, Sole24ore e Radio24.

Alè!!!
Silvio ha imparato benissimo.

Anonymous said...

Il PD sarà pure in mezzo al guado, ma non c'è dubbio che nel partito Rai, e non solo lì, siano in molti impegnati a tirare addosso al cdx ed ai suoi elettori tutto il fango possibile.

Dallo stantìo Santoro alle fichette Invasioni barbariche, da Ficarra e Picone (pur bravi e sempre garbatissimi) a Mi manda Rai3, dalla rassegna stampa di Radio24 "tutta Repubblica ed indignazione antiberlusconiana" al livorosissimo Infedele, è tutto un ri-fiorire di deformanti veleni ed insulti frustrati.

Bah!
Che brutta fine questi sinistri e questa sinistra benpensante.
Come le letture della realtà italiana da Prodi a Pannella, da Pecoraro alle bandiere bruciate dai centri sociali.

Anonymous said...

Per offtopic

Non ti meravigliare. Si stanno solo parlando addosso e... non hanno ancora capito che cosa gli è successo.
Volavano così alti che credono sia solo un incubo, un brutto sogno.

Mi viene in mente una cosa che scrisse Christian Rocca all'indomani del secondo mandato a Bush: nella zona più liberal di NY una famosa opinion leader continuava a chiedersi: "Ma come è possibile che abbia vinto Bush! Non conosco neanche una persona che l'abbia votato!".

Anonymous said...

Su Tremonti

Io credo che nei giudizi sul pensiero di G.Tremonti si palesino anche alcuni riflessi condizionati davvero, a mio parere, fuori luogo per chi si professa convintamente liberale e liberista. A me sembra che Tremonti e le sue riflessioni e le sue proposte siano diventate l’obiettivo di troppe preventive alzate di sopracciglio, di troppi stereotipi superficiali, di troppa prevenzione che rischia di apparire ideologica.
Ed è ovvio quanto sia lontana e fallace l’illusione ideologica e costruzionistica dal pensiero liberale e dalle riflessioni sullo scambio libero delle merci e delle idee e dalla generazione di effetti involontari da gesti volontari.
La riflessione di Tremonti, secondo me, non coglie soltanto l’incertezza, fino alla paura, dell’Italia contemporanea (e non solo), ma anche e soprattutto una diffusa, molto più diffusa anche dove insospettabile, aspettativa di cambiamento, una speranza che inevitabilmente si riverserà un bel po’ pure sul nuovo governo e la nuova legislatura, di ripensamento di molti aspetti della nostra società pena il lento inesorabile disfacimento delle fondamenta buone della stessa.
In moltissimi sentiamo che nel nostro Paese forse assai più che altrove un’errata interpretazione, un po’ troppo ottimistica (e talvolta cialtrona) ed involontariamente irresponsabile, del libero scambio delle idee e dei valori, fino al relativismo assoluto (utile ossimoro) abbia svalutato eccessivamente, non ancora annichilito per fortuna, ciò che di meglio era stato prodotto nel tempo e l’abbia fatto soccombere nel confronto con altri valori low cost che hanno esercitato nella loro immediata facilità un’attrattiva maggiore.
Tremonti non parla della fine del liberalismo e del liberismo, ma del crollo della sua estremizzazione, della fine probabile dell’ennesima illusione novecentesca. E dove c’è un’illusione, c’è semplificazione a rischio ideologico, cioè un auto-accecamento rassicurante: tutte le domande hanno pronta la risposta.
Ebbene, semplificando al massimo per non essere ulteriormente noioso, la speranza di Tremonti è che il recupero e la rivalutazione di ciò che ha comunque funzionato meglio alla prova del tempo torni al centro della realtà quotidiana ed accantoni tutto ciò che è illusorio, che tale si sta dimostrando nei suoi risultati e che lentamente ma inesorabilmente può portatci alla catastrofe, al cupio dissolvi.
E parla di economia per alludere a ciò che insegnamo ai nostri figli nel senso più generale (e con tutte le conseguenze immaginabili) non per dar loro una direzione preimpostata, ma almeno gli strumenti giusti, idonei, adeguati per poter scegliere la migliore.
Lo so bene che questo rischia di scivolare in un discorso reazionario e che la soluzione semplicemente reazionaria può essere una delle scelte, forse la più semplice e scontata, ma io credo che si speri invece in una risposta reattiva solo nei confronti della degenerazione, che si tratti di ricostruire con pazienza e speranza, con la consapevolezza, da un lato, che quanto un tempo è crollato inevitabilmente nello “scambio” l’ha fatto perchè rivelatosi inadeguato, ma anche facendo tanta luce, dall’altro lato, su tutto ciò che poi si è dimostrata ancora più fallace e cialtronesca, illusoria e delirante soluzione.
Ecco, il mercato libero delle merci e delle idee non è tale se non è accompagnato dalla responsabilità piena e dalla consapevolezza realistica delle conseguenze più probabili ed almeno immaginabili.
La fiducia nell’uomo e nel suo agire è un auspicio, una speranza, ma non deve scivolare mai nell’illusione. Non è pessimismo convincersi che la realtà spesso abbia dimostrato il contrario. Perciò più attenzione, più prudenza, per non dover poi reagire malamente alle distorsioni (davvero imprevedibili?) del turbocapitalismo senza regole forti.

Anonymous said...

Se Dalemax vuole riammucchiarsi contro la destra truce e becera... non ha che da farci il favore di farlo al più presto.

Poi, sconfitto, parteciperà all'ennesimo prossimo raduno dei "com'eravamo bravi" organizzato dal raccattone Pannella.