Espulsione "fascista" alla Camera dei Deputati
Il vicepresidente Fiori (An) ha interrotto e richiamato ad un «linguaggio più consono» il leghista Alessandro Cè per aver di nuovo fatto ricorso allo slogan Roma padrona-sprecona-ladrona (in particolare riferendosi ai «partiti della Roma padrona, sprecona, ladrona; le lobby») in merito alla (s)vendita degli immobili cartolarizzati degli enti. In seguito alle veementi proteste dei leghisti, Fiori ne ha espulsi due o tre. Credo che il presidente della Camera non possa interrompere un deputato sul merito di quello che sta dicendo, tantomeno se non offende personalmente nessuno dei deputati o delle cariche istituzionali, ma si limita a denunciare, pur duramente, in modo colorito, ma non volgare, le innegabili abitudini clientelari con cui spesso beni immobili degli enti vengono "venduti". E' ora di finirla di fare i finti tonti e fingere di non capire quello slogan, "Roma ladrona", e di strumentalizzarlo. Qui anche l'audiovideo.
RadioRadicale.it
Wednesday, March 31, 2004
Aprile
Il Berlusca promette un taglio delle tasse alla Reagan. Due aliquote, al 23 e al 33 per cento. Per Fini, l'«auspicabile riduzione delle aliquote Irpef dal 45 al 33 per cento potrà avvenire solo insieme o dopo, ma certamente non prima, della riduzione al 23 per cento delle altre aliquote intermedie». Per An è una questione di «giustizia sociale, di tutela dei ceti medi e delle famiglie monoreddito». Il costo per le casse dello Stato sarà di circa 50 mila miliardi di vecchie lire (tagli sulla spesa e aumento del deficit). Lo shock positivo per l'economia, anche se può sembrare cinico, dipende soprattutto dal taglio al 33 per cento delle aliquote più alte, cioè per i redditi più ricchi. Comunque, misure intermedie o troppo graduali - come in tutte le riforme - renderebbero meno evidenti ed immediati i benefici attirando la stessa quantità di critiche e impopolarità.
Il Berlusca promette un taglio delle tasse alla Reagan. Due aliquote, al 23 e al 33 per cento. Per Fini, l'«auspicabile riduzione delle aliquote Irpef dal 45 al 33 per cento potrà avvenire solo insieme o dopo, ma certamente non prima, della riduzione al 23 per cento delle altre aliquote intermedie». Per An è una questione di «giustizia sociale, di tutela dei ceti medi e delle famiglie monoreddito». Il costo per le casse dello Stato sarà di circa 50 mila miliardi di vecchie lire (tagli sulla spesa e aumento del deficit). Lo shock positivo per l'economia, anche se può sembrare cinico, dipende soprattutto dal taglio al 33 per cento delle aliquote più alte, cioè per i redditi più ricchi. Comunque, misure intermedie o troppo graduali - come in tutte le riforme - renderebbero meno evidenti ed immediati i benefici attirando la stessa quantità di critiche e impopolarità.
Alla prova la fede di J. F. Kerry
Io scommetto che il Vatican apporrà il suo approved sul candidato.
Io scommetto che il Vatican apporrà il suo approved sul candidato.
Punito nelle urne chi tenta le riforme
Angelo Panebianco sul Corriere della Sera
Ma questo, professore, accade quando si abusa della demagogia e della strumentalizzazione. Stessa lettura dall'International Herald Tribune.
Angelo Panebianco sul Corriere della Sera
Ma questo, professore, accade quando si abusa della demagogia e della strumentalizzazione. Stessa lettura dall'International Herald Tribune.
D'Alema d'Arabia
Quando la politica è spazzatura. Massimo D'Alema - l'ha scritto su la Repubblica - giustifica il terrorismo contro Israele, al quale attribuisce una "colpa" storica: «Non possiamo e non dobbiamo accettare l'idea che a Gerusalemme si combatte il terrorismo come a Madrid. A Gerusalemme ci sono tragici atti di terrorismo inaccettabili e che vanno condannati e contrastati con durezza. Ma c'è anche uno Stato aggressore, Israele, che tende a confinare i palestinesi in una riserva indiana. A reprimerli, a umiliarli». Il terrorismo palestinese è dunque responsabilità dell'«aggressione israeliana», che, secondo D'Alema, sarebbe iniziata nel 1967 e poi è continuata con tutti i governi successivi, a guida laburista o del Likud. Si tratta, pari pari, della tesi del Pci e dell'Unione Sovietica degli anni '60. La guerra dei Sei giorni, e la seguente occupazione dei Territori, fu un'"aggressione" israeliana a fianco dell'"imperialismo americano"? O una guerra preparata da Nasser con la sua Olp guidata da Ahmed al Siqueiri e da Arafat (che aveva fondato al Fatah nel '58) "per distruggere Israele", per "cancellarlo dalla faccia della terra". Solo nel 1999 l'Olp ha tolto dal suo Statuto la missione di "eliminare l'Entità sionista", ma ancora oggi 17 paesi arabi su 22 si rifiutano di riconoscere la legittimità dell'esistenza di Israele sancita dall'Onu nel 1948.
Quando la politica è spazzatura. Massimo D'Alema - l'ha scritto su la Repubblica - giustifica il terrorismo contro Israele, al quale attribuisce una "colpa" storica: «Non possiamo e non dobbiamo accettare l'idea che a Gerusalemme si combatte il terrorismo come a Madrid. A Gerusalemme ci sono tragici atti di terrorismo inaccettabili e che vanno condannati e contrastati con durezza. Ma c'è anche uno Stato aggressore, Israele, che tende a confinare i palestinesi in una riserva indiana. A reprimerli, a umiliarli». Il terrorismo palestinese è dunque responsabilità dell'«aggressione israeliana», che, secondo D'Alema, sarebbe iniziata nel 1967 e poi è continuata con tutti i governi successivi, a guida laburista o del Likud. Si tratta, pari pari, della tesi del Pci e dell'Unione Sovietica degli anni '60. La guerra dei Sei giorni, e la seguente occupazione dei Territori, fu un'"aggressione" israeliana a fianco dell'"imperialismo americano"? O una guerra preparata da Nasser con la sua Olp guidata da Ahmed al Siqueiri e da Arafat (che aveva fondato al Fatah nel '58) "per distruggere Israele", per "cancellarlo dalla faccia della terra". Solo nel 1999 l'Olp ha tolto dal suo Statuto la missione di "eliminare l'Entità sionista", ma ancora oggi 17 paesi arabi su 22 si rifiutano di riconoscere la legittimità dell'esistenza di Israele sancita dall'Onu nel 1948.
Svelati i segreti dell'Impero
Come è stato possibile l'11 settembre? «Un fallimento dell'immaginazione», non se l'aspettavano un attacco di quel tipo. Tutto qui? Che delusione!
Come è stato possibile l'11 settembre? «Un fallimento dell'immaginazione», non se l'aspettavano un attacco di quel tipo. Tutto qui? Che delusione!
Tuesday, March 30, 2004
Allora fino ad oggi le tasse non sono state ridotte?!
Il Berlusca non riesce a fare le riforme e ci vuole togliere le ferie.
Il Berlusca non riesce a fare le riforme e ci vuole togliere le ferie.
Vabbè, prendiamoci un bel cappuccino, e scordiamoci le convention, i dibattiti, le invettive, tutte le vetrine, le identità da rivendicare rinunciando a sporcarsi le mani, la politica quella alta e quella bassa, quella di chi finge di nascere oggi. Me ne sono andato allo stadio, e, ahimé, non è stato un grande spettacolo, ma alla faccia di chi "tatti e titti" bla bla bla.
«Di questi qui non ne posso più»
E' Giampaolo Pansa su L'Espresso: «Cossutta, Diliberto, Rizzo, Cento, Pecoraro Scanio, Bertinotti, Occhetto, Di Pietro... Finti amici e veri nemici dell'Ulivo». E tanto altro ancora.
E' Giampaolo Pansa su L'Espresso: «Cossutta, Diliberto, Rizzo, Cento, Pecoraro Scanio, Bertinotti, Occhetto, Di Pietro... Finti amici e veri nemici dell'Ulivo». E tanto altro ancora.
Incubo europeo
Secondo Jeremy Rifkin, «il nuovo sogno è qui in Europa. Quello americano è vecchio». Ecco, forse non c'è bisogno di commentare.
Secondo Jeremy Rifkin, «il nuovo sogno è qui in Europa. Quello americano è vecchio». Ecco, forse non c'è bisogno di commentare.
Monday, March 29, 2004
Il professorino
Giuliano Amato è venuto a dare lezioni di governance globale alla Convention radicale (riascoltalo). Sullo sfondo, ma molto sullo sfondo del suo intervento, il confronto con Pannella per un eventuale (improbabile per -s-fortuna) intesa per le europee. Ci spiega che i governi europei ignorano l'agenda politica globale più reale e urgente. Lui invece sa quali sono i veri problemi del mondo. Proprio lui, la quintessenza della sinistra tecno-burocratica, degli opportunismi, delle sviste, degli sprechi, di tasse e protezionismi. Lezioni le dovrebbe prendere (almeno dai radicali) e non dare. Ha eluso i nodi del dialogo possibile propinando una prolusione fumosa, una coltre di principi, enunciazioni retoriche (alcuni erano affondi di bassa propaganda), le classiche belle parole a cui non seguono mai i fatti. Se Pannella aspettava chiarezza sullo stato d'avanzamento del loro dialogo, si dovrà rassegnare a trarne un po' di visibilità, o - magari - qualche poltrona, che serve come il pane.
Peccato che i radicali in platea si sono presi i complimenti e, prosciutti sulle orecchie, hanno applaudito sonoramente, mentre il furbastro gli ha fatto perdere tempo, ma nessuno se ne è accorto, o è in condizioni di ammetterlo.
Giuliano Amato è venuto a dare lezioni di governance globale alla Convention radicale (riascoltalo). Sullo sfondo, ma molto sullo sfondo del suo intervento, il confronto con Pannella per un eventuale (improbabile per -s-fortuna) intesa per le europee. Ci spiega che i governi europei ignorano l'agenda politica globale più reale e urgente. Lui invece sa quali sono i veri problemi del mondo. Proprio lui, la quintessenza della sinistra tecno-burocratica, degli opportunismi, delle sviste, degli sprechi, di tasse e protezionismi. Lezioni le dovrebbe prendere (almeno dai radicali) e non dare. Ha eluso i nodi del dialogo possibile propinando una prolusione fumosa, una coltre di principi, enunciazioni retoriche (alcuni erano affondi di bassa propaganda), le classiche belle parole a cui non seguono mai i fatti. Se Pannella aspettava chiarezza sullo stato d'avanzamento del loro dialogo, si dovrà rassegnare a trarne un po' di visibilità, o - magari - qualche poltrona, che serve come il pane.
Peccato che i radicali in platea si sono presi i complimenti e, prosciutti sulle orecchie, hanno applaudito sonoramente, mentre il furbastro gli ha fatto perdere tempo, ma nessuno se ne è accorto, o è in condizioni di ammetterlo.
Sunday, March 28, 2004
Troppo comodo caro Prodi, nel suo articolo di ieri sul Corriere della Sera mostra tutto il suo cerchiobottismo e opportunismo italiota e democristiano. Definendo «tanto ingiustificata quanto illegittima» la guerra in Iraq, dimentica di citare alcuni fatti, ne travisa altri, si contraddice con stupefacente agilità acrobatica. Non ci convince per quell'evidente occhiolino ai fascipacisti. Con faccia tosta ammette che se fosse al governo ritirerebbe le truppe perché non di missione di pace si tratta, ma di «occupazione», la «continuazione di una guerra ingiustificata e illegittima, che non è visibilmente capace di riportare pace e sicurezza in Iraq». Finge di ignorare o mistifica cosa stanno vivendo gli iracheni: combattono ancora, ma le loro speranze si stanno pian piano concretizzando. Secondo lei la situazione in Iraq è «determinata dal collasso dello Stato iracheno» e non dal terrorismo. Mostra di essere un irresponsabile che non esita a giocare sui destini di un popolo pur di coccolarsi i sedicenti "pacifisti" per ottenerne qualche voto. Se la pensa davvero come dice, prenda l'aereo e tenti di convincere Bush, o Kofi Annan, o Blair del fatto che l'Onu non sia in Iraq o non abbia da mesi autorizzato la missione internazionale, o faccia qualcosa di concreto per quella sua ridicola «dottrina» che dice di avere nel cassetto, ma gli articoli sui giornali li lasci a chi non ricopre una carica come la sua: ha avuto più di un anno per realizzare la sua politica, adesso è immorale venire bel bello a darci lezioni. Vedrà che non le permetteranno di trasformare il nuovo Iraq nel vostro Kosovo. E ascolti il presidente della Camera Casini, che a giocare col fuoco spesso si rimane scottati: «Questo pacifismo unilaterale è un grave elemento distorsivo nella lotta al terrorismo, su questo le forze riformiste del Paese si devono interrogare».
Saturday, March 27, 2004
dalla Convention radicale...
In un grande intervento, il presidente Casini loda i radicali e mette in guardia Prodi dal «pacifismo unilaterale». Affettuosa, e politica, la risposta di Pannella.
In un grande intervento, il presidente Casini loda i radicali e mette in guardia Prodi dal «pacifismo unilaterale». Affettuosa, e politica, la risposta di Pannella.
Emma Bonino ha in mente l'Europa che vorrei
Ha detto che «l'Europa necessaria, oggi non c'è», «non sceglie da che parte stare», sta «ferma a dire agli altri cosa debbono fare», mentre «non può dare lezioni a nessuno». Invece Lei, Emma, lezioni le dà eccome, sono grandi, fa bene, sono lezioni di politica quella vera, delle risposte concrete ai problemi, sostenute però da una grande visione, una merce rarissima nella cloaca degli opportunismi italiani ed europei. Blair come punto di riferimento. E diciamolo, è stata l'unica tra gli esponenti radicali alla Convention a sottrarsi dal fare una semplice e generica lista della spesa priva di obiettivi, portando invece alla luce nel dibattito visione e risposte, anche sulla leadership del partito e sull'intricata gestione della linea politica dei soggetti radicali, la «cucina interna», ma non chiamatela lite con Pannella. La giornata di ieri era stata francamente deludente, disorganizzata a tal punto da far sospettare che dal palco non si avesse nulla di interessante da dire e che si fosse di fronte solo ad una malriuscita vetrinetta, con in passarella oratori chiamati a parlare per caso: come trascorre questi tre giorni di noia? La svolta invece stamani, con l'intervento di Emma, di valore assoluto, imperdibile, da vera leader e motore radicale, ironica e spiritosa, un diesel discreto, ma inesauribile a cui affidarsi (tra poco in audiovideo su RadioRadicale.it).
Passando agli ospiti. Dal punto di vista dello spessore mi è sembrato davvero di alt(r)o livello l'intervento di Bertinotti, ottimi Bondi e Gasparri, grigi Follini e De Michelis, sconvolgente, come al solito, la banalità e il vuoto ideale di Violante e Pecoraro Scanio.
Ha detto che «l'Europa necessaria, oggi non c'è», «non sceglie da che parte stare», sta «ferma a dire agli altri cosa debbono fare», mentre «non può dare lezioni a nessuno». Invece Lei, Emma, lezioni le dà eccome, sono grandi, fa bene, sono lezioni di politica quella vera, delle risposte concrete ai problemi, sostenute però da una grande visione, una merce rarissima nella cloaca degli opportunismi italiani ed europei. Blair come punto di riferimento. E diciamolo, è stata l'unica tra gli esponenti radicali alla Convention a sottrarsi dal fare una semplice e generica lista della spesa priva di obiettivi, portando invece alla luce nel dibattito visione e risposte, anche sulla leadership del partito e sull'intricata gestione della linea politica dei soggetti radicali, la «cucina interna», ma non chiamatela lite con Pannella. La giornata di ieri era stata francamente deludente, disorganizzata a tal punto da far sospettare che dal palco non si avesse nulla di interessante da dire e che si fosse di fronte solo ad una malriuscita vetrinetta, con in passarella oratori chiamati a parlare per caso: come trascorre questi tre giorni di noia? La svolta invece stamani, con l'intervento di Emma, di valore assoluto, imperdibile, da vera leader e motore radicale, ironica e spiritosa, un diesel discreto, ma inesauribile a cui affidarsi (tra poco in audiovideo su RadioRadicale.it).
Passando agli ospiti. Dal punto di vista dello spessore mi è sembrato davvero di alt(r)o livello l'intervento di Bertinotti, ottimi Bondi e Gasparri, grigi Follini e De Michelis, sconvolgente, come al solito, la banalità e il vuoto ideale di Violante e Pecoraro Scanio.
Friday, March 26, 2004
Armi di attrazione di massa
Numero speciale di Diritto&Libertà
La nonviolenza e l'informazione, il rafforzamento delle istituzioni democratiche e del diritto internazionale, possono rappresentare l’arma più efficace per avvicinare i popoli verso la democrazia, i suoi valori e lo sviluppo di una pace nella giustizia? E' un'ipotesi realistica la conversione delle spese e strutture militari in spese e strutture civili? Nuovi tipi di politiche che coinvolgano la legittimità e il rispetto, la credibilità quale fonte di persuasione, e il soft power quale strumento di leadership globale, possono venire alla ribalta. L'antimilitarismo radicale dalla richiesta di disarmo unilaterale alla campagna contro lo sterminio per fame nel mondo. Il pericolo legato al complesso industriale-militare. Tutti questi temi vengono affrontati nel numero speciale di Diritto&Libertà presentato ieri pomeriggio nella sede del Partito Radicale.
Il commento - Un dibattito interessante, soprattutto utile, perché mi ha chiarito alcune cose, sotto la sapiente conduzione del direttore Massimo Bordin, bravo a far venire alla luce leggeri elementi di dissonanza - cosa non facile - tra gli oratori. Due pilastri della storia radicale come Angiolo Bandinelli, ma ancor più Gianfranco Spadaccia (quaglie in ogni frase), mi sono apparsi abbarbicati alle illusioni e alle lotte dei loro gloriosi anni '60 (il dinosauro Pannella avanti anni-luce), lasciando a Marco Cappato il compito arduo di sciogliere l'intricata matassa dell'oggi. E' una bella sfida parlare di interventismo, armato della conversione delle spese e strutture militari in spese e strutture civili di fronte alla minaccia terroristica del XXI secolo da una parte e il disimpegno pacifista dall'altra. Tenendo fermo l'obiettivo della promozione della democrazia, va effettuato, dice (e sottoscrivo), uno "studio di fattibilità" che dimostri un'efficacia della nonviolenza almeno paragonabile a quella dello strumento militare.
Fra tutti gli intervenuti, mi sono trovato stranamente più in sintonia con il direttore di Reset, Giancarlo Bosetti, che è rimasto con i piedi per terra introducendo i punti critici dell'attuale sistema internazionale e interessanti riflessioni legate alla teoria del soft power: sulle armi di attrazione dello Stato che si fa «seduttore».
Una considerazione, forse ovvia, che mi ha richiamato alla mente: non vorrei si ignorasse quanto l'auspicabile attrazione generata dal cosiddetto soft power sia definibile come "reazione" ad una "azione" di penetrazione - economica, culturale, politica - dell'occidente nel resto del mondo. Una seconda "reazione" possibile a questa penetrazione - ma di direzione opposta - si concretizza, soprattutto nel mondo arabo e islamico, nel fondamentalismo, che ci odia non per quello che facciamo, ma per quello che siamo. Dimenticando o sottovalutando quindi, che il soft power - come l'hard power - è anche parte del problema, e non solo parte - come ne sono certo - della soluzione, rischiamo di enfatizzarne l'efficacia; e di non vedere che ci sarà poco di aiuto contro i fondamentalisti, molto di più con la parte restante - la maggiore - delle società arabe.
Di fronte ad ogni organizzazione terroristica la prima domanda che dobbiamo farci è: ci odiano per quello che facciamo, o per quello che siamo? Dalla risposta che diamo a questo quesito dipendono la strategia di contrasto da adottare e le dosi di diplomazia, di politica, soft power, o hard power, o nonviolenza, che potremo somministrare.
A Spadaccia, che sottolineava la necessità di una politica internazionale basata sul diritto e non sulla forza, avrei voluto osservare che la forza però, bisogna farla rientrare dalla finestra. Cos'è infatti il diritto - internazionale come nazionale - senza minaccia e uso della forza? Non si può forse sostenere, con ragionevolezza seppure non con assoluta certezza, che esistano delle basi giuridiche di varia natura all'intervento angloamericano in Iraq?
Infine, prospettive concrete di benessere materiale (i radicali sembrano più disattenti su questo), ricorda Bosetti, rendono più seduttive le democrazie agli occhi delle nazioni più povere.
Da segnalare una divertente e indicativa espressione di Joanne Barkan (Dissent), riportata da Bosetti: la sinistra italiana mantiene, sulla lotta al terrorismo e sulla crisi irachena, un «kamasutra di posizioni».
Numero speciale di Diritto&Libertà
La nonviolenza e l'informazione, il rafforzamento delle istituzioni democratiche e del diritto internazionale, possono rappresentare l’arma più efficace per avvicinare i popoli verso la democrazia, i suoi valori e lo sviluppo di una pace nella giustizia? E' un'ipotesi realistica la conversione delle spese e strutture militari in spese e strutture civili? Nuovi tipi di politiche che coinvolgano la legittimità e il rispetto, la credibilità quale fonte di persuasione, e il soft power quale strumento di leadership globale, possono venire alla ribalta. L'antimilitarismo radicale dalla richiesta di disarmo unilaterale alla campagna contro lo sterminio per fame nel mondo. Il pericolo legato al complesso industriale-militare. Tutti questi temi vengono affrontati nel numero speciale di Diritto&Libertà presentato ieri pomeriggio nella sede del Partito Radicale.
Il commento - Un dibattito interessante, soprattutto utile, perché mi ha chiarito alcune cose, sotto la sapiente conduzione del direttore Massimo Bordin, bravo a far venire alla luce leggeri elementi di dissonanza - cosa non facile - tra gli oratori. Due pilastri della storia radicale come Angiolo Bandinelli, ma ancor più Gianfranco Spadaccia (quaglie in ogni frase), mi sono apparsi abbarbicati alle illusioni e alle lotte dei loro gloriosi anni '60 (il dinosauro Pannella avanti anni-luce), lasciando a Marco Cappato il compito arduo di sciogliere l'intricata matassa dell'oggi. E' una bella sfida parlare di interventismo, armato della conversione delle spese e strutture militari in spese e strutture civili di fronte alla minaccia terroristica del XXI secolo da una parte e il disimpegno pacifista dall'altra. Tenendo fermo l'obiettivo della promozione della democrazia, va effettuato, dice (e sottoscrivo), uno "studio di fattibilità" che dimostri un'efficacia della nonviolenza almeno paragonabile a quella dello strumento militare.
Fra tutti gli intervenuti, mi sono trovato stranamente più in sintonia con il direttore di Reset, Giancarlo Bosetti, che è rimasto con i piedi per terra introducendo i punti critici dell'attuale sistema internazionale e interessanti riflessioni legate alla teoria del soft power: sulle armi di attrazione dello Stato che si fa «seduttore».
Una considerazione, forse ovvia, che mi ha richiamato alla mente: non vorrei si ignorasse quanto l'auspicabile attrazione generata dal cosiddetto soft power sia definibile come "reazione" ad una "azione" di penetrazione - economica, culturale, politica - dell'occidente nel resto del mondo. Una seconda "reazione" possibile a questa penetrazione - ma di direzione opposta - si concretizza, soprattutto nel mondo arabo e islamico, nel fondamentalismo, che ci odia non per quello che facciamo, ma per quello che siamo. Dimenticando o sottovalutando quindi, che il soft power - come l'hard power - è anche parte del problema, e non solo parte - come ne sono certo - della soluzione, rischiamo di enfatizzarne l'efficacia; e di non vedere che ci sarà poco di aiuto contro i fondamentalisti, molto di più con la parte restante - la maggiore - delle società arabe.
Di fronte ad ogni organizzazione terroristica la prima domanda che dobbiamo farci è: ci odiano per quello che facciamo, o per quello che siamo? Dalla risposta che diamo a questo quesito dipendono la strategia di contrasto da adottare e le dosi di diplomazia, di politica, soft power, o hard power, o nonviolenza, che potremo somministrare.
A Spadaccia, che sottolineava la necessità di una politica internazionale basata sul diritto e non sulla forza, avrei voluto osservare che la forza però, bisogna farla rientrare dalla finestra. Cos'è infatti il diritto - internazionale come nazionale - senza minaccia e uso della forza? Non si può forse sostenere, con ragionevolezza seppure non con assoluta certezza, che esistano delle basi giuridiche di varia natura all'intervento angloamericano in Iraq?
Infine, prospettive concrete di benessere materiale (i radicali sembrano più disattenti su questo), ricorda Bosetti, rendono più seduttive le democrazie agli occhi delle nazioni più povere.
Da segnalare una divertente e indicativa espressione di Joanne Barkan (Dissent), riportata da Bosetti: la sinistra italiana mantiene, sulla lotta al terrorismo e sulla crisi irachena, un «kamasutra di posizioni».
Thursday, March 25, 2004
Diario dall'Iraq
Emma Bonino: tutti in Iraq.
Sul Corriere il diario della missione di tre giorni in Iraq, a Nassiriya e Baghdad, di una delegazione di deputati europei radicali.
Emma Bonino: tutti in Iraq.
Sul Corriere il diario della missione di tre giorni in Iraq, a Nassiriya e Baghdad, di una delegazione di deputati europei radicali.
Italia da anni nel mirino di Al Qaeda
Rappresaglia per la guerra in Iraq? No, i piani d'attacco furono studiati fra il '97 e il 2001.
A rivelarlo (prima delle stragi di Madrid) è un tunisino appartenente ad Al Qaeda pentitosi dopo l'arresto. Ha svelato progetti di attentati contro stazione Centrale (già compiuta la prova finale), caserma dei carabinieri e questura di Milano. Confermati due elementi investigativi importanti. Primo: ogni nucleo può contare su un buon numero di uomini-bomba. Secondo: l'esistenza in Italia di cellule in sonno pronte a passare all'azione, create ben prima dell'11 settembre 2001.
Corriere della Sera
Rappresaglia per la guerra in Iraq? No, i piani d'attacco furono studiati fra il '97 e il 2001.
A rivelarlo (prima delle stragi di Madrid) è un tunisino appartenente ad Al Qaeda pentitosi dopo l'arresto. Ha svelato progetti di attentati contro stazione Centrale (già compiuta la prova finale), caserma dei carabinieri e questura di Milano. Confermati due elementi investigativi importanti. Primo: ogni nucleo può contare su un buon numero di uomini-bomba. Secondo: l'esistenza in Italia di cellule in sonno pronte a passare all'azione, create ben prima dell'11 settembre 2001.
Corriere della Sera
Wednesday, March 24, 2004
Imparare dai propri errori si può
Si deve. Bush e Clinton, come molti altri, possono averne commessi (errori, non menzogne), bisogna vedere se avranno il coraggio e la capacità di vederli e correggersi. Qui si misura la statura politica dei leader. (A Bush però non solo critiche da Clarke). Anche se gli Stati Uniti avessero perseguito Al Qaeda, o ucciso Bin Laden, prima dell'11 settembre, non avrebbero evitato gli attacchi. Lo ha sostenuto il segretario di Stato Usa Colin Powell alla commissione bipartisan che indaga sui buchi dell'intelligence per gli attacchi dell'11 settembre. Le attenzioni erano concentrate su obiettivi all'estero: «La maggior parte di noi pensava che la minaccia principale fosse fuori dal Paese», ha detto Powell. «Qualunque cosa avessimo potuto fare contro al Qaeda o contro Osama bin Laden poteva o non poteva aver alcuna influenza su queste persone che già erano in questi paesi, già avevano le loro istruzioni, e già erano pronte a commettere i crimini che abbiamo visto l'11 settembre». Insomma, giusto e utile che ci sia una commissione di indagine, ma il problema è più complesso - e serio - di quanto complottisti e pacifinti credano. Le audizioni dei ministri di Bush e Clinton si sono svolte pubblicamente e in diretta televisiva.
Tra il 1998 e il 1999, gli Stati Uniti ebbero almeno tre occasioni favorevoli per lanciare missili di crociera tomahawk contro luoghi dove era segnalato Osama bin Laden, ma rinunciarono per il timore di un nuovo fallimento, dopo quello del tentativo seguito alle stragi in Africa dell'agosto 1998. Lo hanno rivelato gli investigatori della commissione di inchiesta sull'11 settembre 2001, in una relazione che ha accompagnato le deposizioni del segretario alla Difesa Donald Rumsfeld, e del suo predecessore nell'amministrazione Clinton, William Cohen. La prima occasione nel dicembre 1998, quando l'intelligence aveva individuato Bin Laden a Kandahar. Troppi i danni collaterali calcolatoi dal Pentagono circa 300 vittime civili. La seconda occasione, ritenuta dalla commissione la migliore, risale al febbraio 1999. La Cia aveva indicato che Bin Laden si trovava in un'area di caccia nella provincia di Helmand, in Afghanistan, insieme ad alcuni ospiti arrivati in aereo dagli Emirati Arabi Uniti: pare prevalse il timore di irritare gli Emirati. Nel maggio 1999 una nuova occasione, ancora a Kandahar, dove una fonte informò per cinque notti consecutive gli Usa degli spostamenti di Bin Laden. Sarebbe stato il Pentagono a frenare in questo caso l'attacco: «Non eravamo sicuri delle informazioni d'intelligence che avevamo», ha spiegato Cohen. Spietati questi yankees!
Si deve. Bush e Clinton, come molti altri, possono averne commessi (errori, non menzogne), bisogna vedere se avranno il coraggio e la capacità di vederli e correggersi. Qui si misura la statura politica dei leader. (A Bush però non solo critiche da Clarke). Anche se gli Stati Uniti avessero perseguito Al Qaeda, o ucciso Bin Laden, prima dell'11 settembre, non avrebbero evitato gli attacchi. Lo ha sostenuto il segretario di Stato Usa Colin Powell alla commissione bipartisan che indaga sui buchi dell'intelligence per gli attacchi dell'11 settembre. Le attenzioni erano concentrate su obiettivi all'estero: «La maggior parte di noi pensava che la minaccia principale fosse fuori dal Paese», ha detto Powell. «Qualunque cosa avessimo potuto fare contro al Qaeda o contro Osama bin Laden poteva o non poteva aver alcuna influenza su queste persone che già erano in questi paesi, già avevano le loro istruzioni, e già erano pronte a commettere i crimini che abbiamo visto l'11 settembre». Insomma, giusto e utile che ci sia una commissione di indagine, ma il problema è più complesso - e serio - di quanto complottisti e pacifinti credano. Le audizioni dei ministri di Bush e Clinton si sono svolte pubblicamente e in diretta televisiva.
Tra il 1998 e il 1999, gli Stati Uniti ebbero almeno tre occasioni favorevoli per lanciare missili di crociera tomahawk contro luoghi dove era segnalato Osama bin Laden, ma rinunciarono per il timore di un nuovo fallimento, dopo quello del tentativo seguito alle stragi in Africa dell'agosto 1998. Lo hanno rivelato gli investigatori della commissione di inchiesta sull'11 settembre 2001, in una relazione che ha accompagnato le deposizioni del segretario alla Difesa Donald Rumsfeld, e del suo predecessore nell'amministrazione Clinton, William Cohen. La prima occasione nel dicembre 1998, quando l'intelligence aveva individuato Bin Laden a Kandahar. Troppi i danni collaterali calcolatoi dal Pentagono circa 300 vittime civili. La seconda occasione, ritenuta dalla commissione la migliore, risale al febbraio 1999. La Cia aveva indicato che Bin Laden si trovava in un'area di caccia nella provincia di Helmand, in Afghanistan, insieme ad alcuni ospiti arrivati in aereo dagli Emirati Arabi Uniti: pare prevalse il timore di irritare gli Emirati. Nel maggio 1999 una nuova occasione, ancora a Kandahar, dove una fonte informò per cinque notti consecutive gli Usa degli spostamenti di Bin Laden. Sarebbe stato il Pentagono a frenare in questo caso l'attacco: «Non eravamo sicuri delle informazioni d'intelligence che avevamo», ha spiegato Cohen. Spietati questi yankees!
Al Hurra, una tv Usa per conquistare i cuori e le menti del mondo arabo
«Una tv satellitare in lingua araba destinata a parlare ai popoli del Medio Oriente allo scopo di riequilibrare l'informazione nella regione e migliorare l'immagine delle politiche americane. Mera propaganda o esperimento di soft power?».
RadioRadicale.it
«Una tv satellitare in lingua araba destinata a parlare ai popoli del Medio Oriente allo scopo di riequilibrare l'informazione nella regione e migliorare l'immagine delle politiche americane. Mera propaganda o esperimento di soft power?».
RadioRadicale.it
Blair Blair Blair Blair
«Esecutivo e opposizione italiani, cioè il governo di oggi e il virtuale governo di domani, dovrebbero semplicemente prendere nota del fatto che c'è in Europa un'alternativa sensata, e anche politicamente ed elettoralmente produttiva, all'opportunismo generico e alla rincorsa propagandistica spicciola». Ma «mancano l'agenda e il carattere, la disponibilità a perdere. Solo così si vince».
«Esecutivo e opposizione italiani, cioè il governo di oggi e il virtuale governo di domani, dovrebbero semplicemente prendere nota del fatto che c'è in Europa un'alternativa sensata, e anche politicamente ed elettoralmente produttiva, all'opportunismo generico e alla rincorsa propagandistica spicciola». Ma «mancano l'agenda e il carattere, la disponibilità a perdere. Solo così si vince».
Oil for What? Annan vattene!
«Il più grande programma di aiuti dell'Onu è diventato il più grande scandalo della sua storia». Chiediamo a Kofi Annan di dimettersi, o potrebbe addirittura arrossire dalla vergogna.
Il Foglio
«Il più grande programma di aiuti dell'Onu è diventato il più grande scandalo della sua storia». Chiediamo a Kofi Annan di dimettersi, o potrebbe addirittura arrossire dalla vergogna.
Il Foglio
Il risvolto politico della farsa dell'Olimpico
La folla crede alle menzogne che colpiscono i cuori. «Assassini assassini!» ai poliziotti, come «Assassini assassini!» Bush e Blair.
La folla crede alle menzogne che colpiscono i cuori. «Assassini assassini!» ai poliziotti, come «Assassini assassini!» Bush e Blair.
Paginone da archiviare
Il nuovo Iraq come lo vede Paul Wolfowitz un anno dopo la liberazione
Franco Debenedetti (Ds) sta con Glucksmann
Dati per gli zapateros
Blog iracheno chiede ai pacifisti perché il 20 marzo l'Iraq non è sceso in piazza
Tuesday, March 23, 2004
Il decreto salva-calcio. Sì o no?
Il provvedimento salva-calcio (non solo, ma soprattutto, per le squadre romane) è indifendibile dal punto di vista etico. In Italia poi, tra aiuti di Stato, assistenzialismi e clientelarismo, e condoni di varia natura, hanno rovinato l'economia e le finanze pubbliche. Ma sono stati la regola. I numerosi salvataggi della Fiat sono stati devastanti per la collettività. E' quella che i radicali definiscono giustamente - e in Italia se ne è abusato - privatizzazione dei profitti e socializzazione delle perdite. Ci abbiamo rimesso tutti enormemente. Lì per lì ti sembra che hanno salvato migliaia di lavoratori, ma alla fine hanno solo arricchito gli industriali e poi sono venuti a bussare alla porta di casa tua a presentarti il conto salato del deficit pubblico. Però, ragazzi, la Roma, Totti. Ebbene sì, lo ammetto, qui mi scappa la lacrima, la mia Roma è piezz 'e core: arda tra i dannati Sensi, ma salvate la squadra e Totti con lei. Leggi su RadioRadicale.it
Il provvedimento salva-calcio (non solo, ma soprattutto, per le squadre romane) è indifendibile dal punto di vista etico. In Italia poi, tra aiuti di Stato, assistenzialismi e clientelarismo, e condoni di varia natura, hanno rovinato l'economia e le finanze pubbliche. Ma sono stati la regola. I numerosi salvataggi della Fiat sono stati devastanti per la collettività. E' quella che i radicali definiscono giustamente - e in Italia se ne è abusato - privatizzazione dei profitti e socializzazione delle perdite. Ci abbiamo rimesso tutti enormemente. Lì per lì ti sembra che hanno salvato migliaia di lavoratori, ma alla fine hanno solo arricchito gli industriali e poi sono venuti a bussare alla porta di casa tua a presentarti il conto salato del deficit pubblico. Però, ragazzi, la Roma, Totti. Ebbene sì, lo ammetto, qui mi scappa la lacrima, la mia Roma è piezz 'e core: arda tra i dannati Sensi, ma salvate la squadra e Totti con lei. Leggi su RadioRadicale.it
Pillola
«noi non siamo abituati ad un dialogo libero. se davanti a noi uno cambia idea noi ci sentiamo persi. ma in fondo questo è un pezzo importante della libertà» (michelelembo). E ci sentiamo ancora più persi se ci accorgiamo di aver cambiato idea noi stessi: ci faremmo scuoiare piuttosto che ammetterlo.
«noi non siamo abituati ad un dialogo libero. se davanti a noi uno cambia idea noi ci sentiamo persi. ma in fondo questo è un pezzo importante della libertà» (michelelembo). E ci sentiamo ancora più persi se ci accorgiamo di aver cambiato idea noi stessi: ci faremmo scuoiare piuttosto che ammetterlo.
L'uccisione di Yassin e la strategia di Sharon
Lui una ce l'ha. Commette errori, ma ha idee e un piano. L'Europa?
Israele abbandonato a se stesso
Le condanne europee non sono credibili, sono vigliacche, dopo che per anni, fino a ieri, hanno finanziato Hamas.
Lui una ce l'ha. Commette errori, ma ha idee e un piano. L'Europa?
Israele abbandonato a se stesso
Le condanne europee non sono credibili, sono vigliacche, dopo che per anni, fino a ieri, hanno finanziato Hamas.
Stati Uniti d'Europa e d'America
«Questa mattina, Daniele Capezzone (Segretario di Radicali italiani) e Matteo Mecacci (membro della giunta del Partito Radicale Transnazionale e della Direzione di Radicali italiani) iniziano la loro collaborazione con il Washington Times, firmando questo intervento pubblicato nella pagina dei commenti e degli editoriali (curata e diretta da Tony Blankley) del quotidiano statunitense». Qui la traduzione in italiano e poi il testo originale.
«Questa mattina, Daniele Capezzone (Segretario di Radicali italiani) e Matteo Mecacci (membro della giunta del Partito Radicale Transnazionale e della Direzione di Radicali italiani) iniziano la loro collaborazione con il Washington Times, firmando questo intervento pubblicato nella pagina dei commenti e degli editoriali (curata e diretta da Tony Blankley) del quotidiano statunitense». Qui la traduzione in italiano e poi il testo originale.
Monday, March 22, 2004
Un abbraccio a Roberto Spampanato
«Nella corrispondenza da Kuwait City, infine, Cappato racconta la sua commozione per aver ritrovato tra i militari italiani di stanza a Nassirya, Roberto Spampanato, fratello di Rino, l'esponente radicale responsabile di Radioradicale.it e Radicali.it scomparso prematuramente nel giugno scorso».
RadioRadicale.it
«Nella corrispondenza da Kuwait City, infine, Cappato racconta la sua commozione per aver ritrovato tra i militari italiani di stanza a Nassirya, Roberto Spampanato, fratello di Rino, l'esponente radicale responsabile di Radioradicale.it e Radicali.it scomparso prematuramente nel giugno scorso».
RadioRadicale.it
Yassin, tanti saluti. E un'Europa bastarda
«Combattere il terrorismo muovendo guerra ai regimi che lo sostengono? No. Ok. Allora operazioni militari e d'intelligence mirate per eliminare i capi delle organizzazioni terroristiche più pericolose senza coinvolgere in una guerra la popolazione civile? No, neanche. Ok, si apre il dibattito su come combattere il terrorismo... 10, 9, 8, 7, 6.... 3, 2, 1... Ok, tempo scaduto, dibattito finito. Non ci sono soluzioni, recitiamo un ave Maria».
La verità è che l'operazione israeliana che ha portato all'uccisione del leader di Hamas, Ahmed Yassin, a capo dell'organizzazione terroristica palestinese più estremista (l'obiettivo è di distruggere Israele), feroce e radicata, a ragione definito il bin Laden della Palestina, corrisponde esattamente al prototipo di operazioni sostenute da quanti ritengono la guerra uno strumento ingiusto - per il massiccio coinvolgimento di civili - ma anche inadeguato a combattere il terrorismo, per sua natura senza confini, territori ed eserciti, e propongono invece un uso misurato e mirato della forza, ricorrendo all'intelligence. Obiezione condivisibile. Ma ad Israele neanche questo strumento di autodifesa è concesso. A meno che non si voglia sostenere che Hamas non è un'organizzazione terroristica. Ma tale è stata dichiarata anche dall'Ue. Ovviamente il Consiglio d'Europa, unanime, - Francia e Gran Bretagna unite in odiose parole comuni - condanna oggi Israele. Si parla di uccisione extragiudiziaria, di diritto internazionale, di stato di diritto. L'Europa si macchia di un'ipocrisia senza fondo e senza confini e senza pudore. Si abbia almeno il coraggio di criticare con la stessa forza la caccia degli Stati Uniti a bin Laden, la guerra in Afghanistan, a cui l'Europa ha pure preso parte. E criticare con la stessa forza la Russia di Putin per le azioni in Cecenia e contro i ceceni al di fuori dei suoi confini? No, troppo azzardo, i "cagnolini" europei temono troppo il gigante russo. Queste condanne ad Israele non sono credibili, sono vigliacche. La confusione su come combattere il terrorismo è totale. Gli Stati Uniti e Israele hanno elaborato sulla loro pelle, per quanto discutibili, le loro strategie. O l'Europa elabora la sua e si confronta, o farebbe bene a tacere. Il terrorismo non si combatte ovviamente con il solo uso della forza, soprattutto nel medio-lungo periodo, ma neanche escludendo la più ragionevole forma di uso della forza: lasciateci almeno l'eliminazione mirata dei leader più pericolosi del terrorismo internazionale.
«Combattere il terrorismo muovendo guerra ai regimi che lo sostengono? No. Ok. Allora operazioni militari e d'intelligence mirate per eliminare i capi delle organizzazioni terroristiche più pericolose senza coinvolgere in una guerra la popolazione civile? No, neanche. Ok, si apre il dibattito su come combattere il terrorismo... 10, 9, 8, 7, 6.... 3, 2, 1... Ok, tempo scaduto, dibattito finito. Non ci sono soluzioni, recitiamo un ave Maria».
La verità è che l'operazione israeliana che ha portato all'uccisione del leader di Hamas, Ahmed Yassin, a capo dell'organizzazione terroristica palestinese più estremista (l'obiettivo è di distruggere Israele), feroce e radicata, a ragione definito il bin Laden della Palestina, corrisponde esattamente al prototipo di operazioni sostenute da quanti ritengono la guerra uno strumento ingiusto - per il massiccio coinvolgimento di civili - ma anche inadeguato a combattere il terrorismo, per sua natura senza confini, territori ed eserciti, e propongono invece un uso misurato e mirato della forza, ricorrendo all'intelligence. Obiezione condivisibile. Ma ad Israele neanche questo strumento di autodifesa è concesso. A meno che non si voglia sostenere che Hamas non è un'organizzazione terroristica. Ma tale è stata dichiarata anche dall'Ue. Ovviamente il Consiglio d'Europa, unanime, - Francia e Gran Bretagna unite in odiose parole comuni - condanna oggi Israele. Si parla di uccisione extragiudiziaria, di diritto internazionale, di stato di diritto. L'Europa si macchia di un'ipocrisia senza fondo e senza confini e senza pudore. Si abbia almeno il coraggio di criticare con la stessa forza la caccia degli Stati Uniti a bin Laden, la guerra in Afghanistan, a cui l'Europa ha pure preso parte. E criticare con la stessa forza la Russia di Putin per le azioni in Cecenia e contro i ceceni al di fuori dei suoi confini? No, troppo azzardo, i "cagnolini" europei temono troppo il gigante russo. Queste condanne ad Israele non sono credibili, sono vigliacche. La confusione su come combattere il terrorismo è totale. Gli Stati Uniti e Israele hanno elaborato sulla loro pelle, per quanto discutibili, le loro strategie. O l'Europa elabora la sua e si confronta, o farebbe bene a tacere. Il terrorismo non si combatte ovviamente con il solo uso della forza, soprattutto nel medio-lungo periodo, ma neanche escludendo la più ragionevole forma di uso della forza: lasciateci almeno l'eliminazione mirata dei leader più pericolosi del terrorismo internazionale.
Roma & Lazio = Caso Italia
Il calcio sotto scacco delle curve, preso per la gola dalle intimidazioni delle frange più violente e nient'affatto minoritarie. Un altro triste fascicolo di un Paese dove regnano illegalità, ignoranza, forza bruta e prepotenza. Dalle curve il razzismo e quell'odiosa, inquietante voglia di insultare polizia e carabinieri. Assassinate le istituzioni, deserto sociale e scarti della società. Società di calcio, calciatori e forze dell'ordine costretti a pendere dalle labbra di questi quattro scalmanati e barbari. Produciamo mostri. Servono manganelli, sì, ma anche più scuole e migliori, più diritto, meno tolleranza, più schiaffoni da piccoli. Invece di affrontare il fenomeno seriamente (come in Inghilterra, per esempio) si preferisce non reagire, in italico modo: «Che ce volete fà, signora mia, sò ragazzi 'n po' vivaci». Angolo dietrologico (solo angolo): e se ci fosse lo zampino delle due società indebitate fino al collo?
Il calcio sotto scacco delle curve, preso per la gola dalle intimidazioni delle frange più violente e nient'affatto minoritarie. Un altro triste fascicolo di un Paese dove regnano illegalità, ignoranza, forza bruta e prepotenza. Dalle curve il razzismo e quell'odiosa, inquietante voglia di insultare polizia e carabinieri. Assassinate le istituzioni, deserto sociale e scarti della società. Società di calcio, calciatori e forze dell'ordine costretti a pendere dalle labbra di questi quattro scalmanati e barbari. Produciamo mostri. Servono manganelli, sì, ma anche più scuole e migliori, più diritto, meno tolleranza, più schiaffoni da piccoli. Invece di affrontare il fenomeno seriamente (come in Inghilterra, per esempio) si preferisce non reagire, in italico modo: «Che ce volete fà, signora mia, sò ragazzi 'n po' vivaci». Angolo dietrologico (solo angolo): e se ci fosse lo zampino delle due società indebitate fino al collo?
Sunday, March 21, 2004
«La democrazia è come il sesso...»
Bonino, Amato e Giddens discutono di liberalsocialismo in Europa
Esiste una "terza via" come concetto nuovo oltre destra e sinistra, neoliberismo e socialdemocrazia? Anthony Giddens, teorico della linea politica di Tony Blair, parla di un «new progressivism» europeo e americano da contrapporre al pensiero neoconservatore, una ridefinizione della sfera pubblica, una "nuova" cittadinanza, un "nuovo" multilateralismo, un "nuovo" egualitarismo. Emma Bonino critica a fondo l'Europa: «Esprime un welfare protezionista e spesso un multilateralismo opportunista. (...) non guarda al Mediterraneo, non sostiene i movimenti dei diritti civili nei paesi arabi». Giddens ricorda le necessità della promozione del concetto di democrazia nel mondo e chiude con una battuta: «La democrazia è come il sesso: se è buono è molto buono, se è cattivo è abbastanza buono».
RadioRadicale.it
Bonino, Amato e Giddens discutono di liberalsocialismo in Europa
Esiste una "terza via" come concetto nuovo oltre destra e sinistra, neoliberismo e socialdemocrazia? Anthony Giddens, teorico della linea politica di Tony Blair, parla di un «new progressivism» europeo e americano da contrapporre al pensiero neoconservatore, una ridefinizione della sfera pubblica, una "nuova" cittadinanza, un "nuovo" multilateralismo, un "nuovo" egualitarismo. Emma Bonino critica a fondo l'Europa: «Esprime un welfare protezionista e spesso un multilateralismo opportunista. (...) non guarda al Mediterraneo, non sostiene i movimenti dei diritti civili nei paesi arabi». Giddens ricorda le necessità della promozione del concetto di democrazia nel mondo e chiude con una battuta: «La democrazia è come il sesso: se è buono è molto buono, se è cattivo è abbastanza buono».
RadioRadicale.it
L'Onu regna da 5 anni in Kosovo
Albanesi e serbi si ribellano alla dittatura burocratica e tecnocratica dell'Onu. Nessuno ci venga a dire che in Iraq l'Onu farebbe meglio di Bremer che il 30 giugno torna a casa e lascia il potere agli iracheni. Il guaio del Kosovo invece, è che gli zelanti funzionari e diplomatici delle Nazioni Unite sono lì da burocrati, animati non da un interesse nazionale e da una lealtà statuale, ma dalle buste paga della missione. In tutti questi anni (5) era davvero così proibitivo mettere su un processo politico e di riappacificazione tra le etnie che portasse in qualche direzione il Kosovo? Eppure in soli dieci mesi in Iraq si è piuttosto avanti. Gli aiuti sono stati gestiti in modo assistenziale e l'economia non è stata in alcun modo ricostruita (lasciamo perdere la corruzione, per il momento). Ecco cosa accade quando un processo di nation-re-building è messo in mano ad Europa e Onu. Si è andati avanti per inerzia, senza un progetto, senza un obiettivo politico da raggiungere nel quadro di una politica estera e dei principi, sul quale coinvolgere le compenenti serba e albanese. Le quali ora vogliono a modo loro riprendere in mano l'iniziativa. L'Onu non è una cura, è, al massimo, un sedativo. Stavolta però non ci sarà America a togliere le castagne dal fuoco agli inetti e chiacchieroni europei.
Albanesi e serbi si ribellano alla dittatura burocratica e tecnocratica dell'Onu. Nessuno ci venga a dire che in Iraq l'Onu farebbe meglio di Bremer che il 30 giugno torna a casa e lascia il potere agli iracheni. Il guaio del Kosovo invece, è che gli zelanti funzionari e diplomatici delle Nazioni Unite sono lì da burocrati, animati non da un interesse nazionale e da una lealtà statuale, ma dalle buste paga della missione. In tutti questi anni (5) era davvero così proibitivo mettere su un processo politico e di riappacificazione tra le etnie che portasse in qualche direzione il Kosovo? Eppure in soli dieci mesi in Iraq si è piuttosto avanti. Gli aiuti sono stati gestiti in modo assistenziale e l'economia non è stata in alcun modo ricostruita (lasciamo perdere la corruzione, per il momento). Ecco cosa accade quando un processo di nation-re-building è messo in mano ad Europa e Onu. Si è andati avanti per inerzia, senza un progetto, senza un obiettivo politico da raggiungere nel quadro di una politica estera e dei principi, sul quale coinvolgere le compenenti serba e albanese. Le quali ora vogliono a modo loro riprendere in mano l'iniziativa. L'Onu non è una cura, è, al massimo, un sedativo. Stavolta però non ci sarà America a togliere le castagne dal fuoco agli inetti e chiacchieroni europei.
Fassino coccola e riceve sberle
Proprio così, il leader dei Ds ha per mesi strumentalizzato il pacifismo, i movimenti, il massimalismo all'interno della sinistra e - sia chiaro - all'interno del suo stesso partito. Con l'obiettivo di cavalcare in modo demagogico le piazze contro il governo e con l'utopia di preservare l'unità, questa stramaledetta unità, che porta i sedicenti riformisti a ricevere sberle in cambio di coccole. Indecenti i «ceffoni umanitari» (si sa: la "strada di Gino" è violenza), ma i fischi, quelli il mite Piero se li poteva aspettare, la sua in effetti è stata una provocazione, la piattaforma della manifestazione di sabato è incompatibile con chi si candida a governare un Paese.
Proprio così, il leader dei Ds ha per mesi strumentalizzato il pacifismo, i movimenti, il massimalismo all'interno della sinistra e - sia chiaro - all'interno del suo stesso partito. Con l'obiettivo di cavalcare in modo demagogico le piazze contro il governo e con l'utopia di preservare l'unità, questa stramaledetta unità, che porta i sedicenti riformisti a ricevere sberle in cambio di coccole. Indecenti i «ceffoni umanitari» (si sa: la "strada di Gino" è violenza), ma i fischi, quelli il mite Piero se li poteva aspettare, la sua in effetti è stata una provocazione, la piattaforma della manifestazione di sabato è incompatibile con chi si candida a governare un Paese.
Friday, March 19, 2004
20 marzo 2004 - Iraq One Year After
I bilanci di tre importanti istituti d'analisi americani.
«Un anno è trascorso dall'invasione angloamericana in Iraq che in tre settimane ha portato alla caduta del regime di Saddam Hussein e al difficile dopoguerra. Gli obiettivi erano tre: scongiurare i pericoli costituiti dalle armi di distruzione di massa possedute da Saddam Hussein (mai ritrovate), il regime change per promuovere la democrazia in Medio Oriente partendo dall'Iraq, abbattere un regime sostenitore del terrorismo internazionale. E' tempo di bilanci e in questi giorni tre fra i più prestigiosi think tank e istituti d'analisi americani di diverso orientamento - Brookings Institution, Council on Foreign Relations, American Enterprise Institute - hanno organizzato convegni e presentato rapporti per fare un punto della situazione. Alcuni risultati sono innegabili e incoraggianti per velocità e volontà, soprattutto se paragonati a episodi precedenti di nation-building, ma la situazione è ancora lontana dall'essersi stabilizzata, degli errori sono stati commessi ed è difficile prevedere che cosa succederà dopo il 30 giugno. Per alcuni analisti il bicchiere è pieno per 2/5, per altri per 3/5, ma non ci sono né entusiasti né catastrofisti».
RadioRadicale.it
I bilanci di tre importanti istituti d'analisi americani.
«Un anno è trascorso dall'invasione angloamericana in Iraq che in tre settimane ha portato alla caduta del regime di Saddam Hussein e al difficile dopoguerra. Gli obiettivi erano tre: scongiurare i pericoli costituiti dalle armi di distruzione di massa possedute da Saddam Hussein (mai ritrovate), il regime change per promuovere la democrazia in Medio Oriente partendo dall'Iraq, abbattere un regime sostenitore del terrorismo internazionale. E' tempo di bilanci e in questi giorni tre fra i più prestigiosi think tank e istituti d'analisi americani di diverso orientamento - Brookings Institution, Council on Foreign Relations, American Enterprise Institute - hanno organizzato convegni e presentato rapporti per fare un punto della situazione. Alcuni risultati sono innegabili e incoraggianti per velocità e volontà, soprattutto se paragonati a episodi precedenti di nation-building, ma la situazione è ancora lontana dall'essersi stabilizzata, degli errori sono stati commessi ed è difficile prevedere che cosa succederà dopo il 30 giugno. Per alcuni analisti il bicchiere è pieno per 2/5, per altri per 3/5, ma non ci sono né entusiasti né catastrofisti».
RadioRadicale.it
Thursday, March 18, 2004
Muscular Diplomacy
«How Ambassador Mel Sembler and his staff fight the good fight in Italy». Di interesse "nazionale".
Irwin M. Stelzer, Weekly Standard
«How Ambassador Mel Sembler and his staff fight the good fight in Italy». Di interesse "nazionale".
Irwin M. Stelzer, Weekly Standard
Destra cialtrona
Non solo la questione Sofri. Giuliano Ferrara finalmente esterna un'amarezza accumulata da mesi. Per un Berlusconi, un governo e una maggioranza che hanno pensato agli affari del premier e si sono distratti sul resto, non adempiendo alle promesse riforme per tutti i cittadini.
Non solo la questione Sofri. Giuliano Ferrara finalmente esterna un'amarezza accumulata da mesi. Per un Berlusconi, un governo e una maggioranza che hanno pensato agli affari del premier e si sono distratti sul resto, non adempiendo alle promesse riforme per tutti i cittadini.
Ridicola (e a questo punto sospetta) la posizione dei zapateros
Le svolte che chiedono ci sono già state. L'Onu c'è e conta nel processo politico, la forza multinazionale e il comando che operano in Iraq lo fanno sotto la sua egida, le tappe previste, concordate tra Onu-Usa-iracheni, per il passaggio di poteri e il processo democratico sono state tutte rispettate. Semplicemente, Fassino e D'Alema non riescono a convincere il loro partito.
Le svolte che chiedono ci sono già state. L'Onu c'è e conta nel processo politico, la forza multinazionale e il comando che operano in Iraq lo fanno sotto la sua egida, le tappe previste, concordate tra Onu-Usa-iracheni, per il passaggio di poteri e il processo democratico sono state tutte rispettate. Semplicemente, Fassino e D'Alema non riescono a convincere il loro partito.
Presidenziali Usa: Kerr-ush
E' chiaro che Kerry non è il Zapatero americano. E' chiaro perché l'America non è l'Europa. E la guerra al terrorismo la farà.
E' chiaro che Kerry non è il Zapatero americano. E' chiaro perché l'America non è l'Europa. E la guerra al terrorismo la farà.
Wednesday, March 17, 2004
Oddio mio. In che mani siamo
«Prima ipotesi: francesi e tedeschi, che riprendono con più forza in mano il pallino della politica europea dopo la paralisi e la divisione, sfruttano il giro di valzer spagnolo per forzare la mano contro Blair, Berlusconi e le altre nazioni europee che sono parte della coalizione, e puntano decisamente sulla elezione di Kerry in America, dunque sabotano il ritorno dell'Onu a Baghdad, prendono tempo su tutti i fronti fino al voto del prossimo novembre, impongono all'Europa una logica di dissociazione sotto le mentite spoglie di un'organizzazione autonoma e di una proposta autonoma antiterrorismo, sul piano militare e diplomatico».
Aiutoooooo! Ci salvi chi può
«Prima ipotesi: francesi e tedeschi, che riprendono con più forza in mano il pallino della politica europea dopo la paralisi e la divisione, sfruttano il giro di valzer spagnolo per forzare la mano contro Blair, Berlusconi e le altre nazioni europee che sono parte della coalizione, e puntano decisamente sulla elezione di Kerry in America, dunque sabotano il ritorno dell'Onu a Baghdad, prendono tempo su tutti i fronti fino al voto del prossimo novembre, impongono all'Europa una logica di dissociazione sotto le mentite spoglie di un'organizzazione autonoma e di una proposta autonoma antiterrorismo, sul piano militare e diplomatico».
Aiutoooooo! Ci salvi chi può
E' che siamo vecchi?
Angelo Panebianco su Il Foglio. Il pacifismo europeo è la voglia di essere «lasciati in pace». Di quanti morti ha bisogno l'Europa per riprendersi?
Il punto è che potrebbe volerci un attentato in ciascuno dei 25 Paesi. E potrebbe non bastare, se la reazione della Spagna sarà il ritiro. Il problema è la sincera e "mortale" convinzione che non combattere il terrorismo ci mette al riparo da esso.
Madrid 2004 o Monaco 1938?
Angelo Panebianco
Lo spirito di Monaco soffia sull'Europa. C'è il rischio che l'Europa democratica, come fece nel '38 nei riguardi di Hitler, commetta di nuovo l'errore di mandare messaggi sbagliati, di appeasement, di arrendevolezza, nei confronti dei nemici della nostra civiltà. Per questo, la prima dichiarazione del vincitore delle elezioni spagnole, il socialista Zapatero («ci ritireremo dall'Iraq entro il 30 giugno») è, spiace dirlo, infausta, è uno di quei messaggi «sbagliati». Nel documento del gruppo saudita legato ad Al Qaeda, diffuso alla fine del 2003 ed esaminato da Magdi Allam sul Corriere di ieri, era stato tutto previsto: «Noi riteniamo - scrissero i terroristi - che il governo spagnolo non sopporterà che due o tre attacchi al massimo prima di essere costretto a ritirarsi sotto la pressione popolare. Se non lo dovesse fare, la vittoria del partito socialista sarà pressoché certa e il ritiro dall'Iraq sarà una delle sue priorità». Due errori l'Europa dovrebbe massimamente evitare. Il primo è quello di dare ai terroristi la sensazione che la strategia del massacro sia pagante, in grado di ottenere tutti i risultati che di volta in volta si prefiggono (oggi il ritiro dall'Iraq, domani chissà cosa altro). Il secondo errore è quello di non controbattere con sufficiente forza la tesi di chi in Europa va dicendo che l'unica vera causa dell'ultima ondata di attacchi terroristici sia la guerra in Iraq. Il primo errore non fa che accrescere ancor più le già altissime probabilità di nuovi attentati. Il secondo errore permette a tante persone in buona fede di cullarsi nell'illusione che basterebbe ritirarsi dall'Iraq per garantirsi la pace, la fine della guerra scatenata dal terrorismo islamico contro l'Occidente. A tutti costoro va ricordato che la guerra è iniziata con gli attacchi dell'11 settembre del 2001 ed è continuata poi con molti attentati in varie parti del mondo anche dopo quella data (e prima che ci fosse l'intervento anglo-americano in Iraq). I critici di quell'intervento possono benissimo continuare ad esserlo sostenendo che esso non ha contribuito a «fermare» il terrorismo ma non possono avallare la tesi secondo cui la guerra in Iraq sarebbe la vera, unica causa dell'aggressione terroristica all'Occidente. Basta avere ascoltato i messaggi di Bin Laden per sapere che non è così. I due errori suddetti possono contribuire a disarmare l'Europa, spingerla a fare ciò che essa, razionalmente, di certo non vuole fare: diventare prona al ricatto terroristico. Ogni Paese europeo deve fare la sua parte e auguriamoci che la tragedia spagnola spinga l'Unione verso una vera politica comune di lotta al terrorismo. Per quanto riguarda poi il nostro Paese speriamo che la maggioranza non tentenni. E che l'opposizione riformista sappia resistere alla pressione di coloro che, sull'onda delle elezioni spagnole, inneggiano oggi al socialista Zapatero, ne fanno il loro campione (contro Tony Blair, prima di tutto, ossia contro quella parte della sinistra al potere in Europa che non intende spostarsi dalla linea della fermezza). Anche chi era contrario all'intervento in Iraq ha un interesse vitale a superare il grande equivoco del «pacifismo» per come viene declinato in questo momento in Italia. Coloro che sfileranno nella manifestazione «pacifista» di sabato 20 marzo, chiedendo il ritiro del contingente italiano dall'Iraq, hanno come nemico prioritario gli americani, non il terrorismo islamico. Essi, come tanti altri gruppi che la pensano allo stesso modo in Europa, hanno tutti i diritti di manifestare per le loro idee. Ma l'Europa e l'Italia che non vogliono una nuova Monaco hanno il dovere di non mescolarsi con loro.
Corriere della Sera, 16 marzo 2004
Angelo Panebianco su Il Foglio. Il pacifismo europeo è la voglia di essere «lasciati in pace». Di quanti morti ha bisogno l'Europa per riprendersi?
Il punto è che potrebbe volerci un attentato in ciascuno dei 25 Paesi. E potrebbe non bastare, se la reazione della Spagna sarà il ritiro. Il problema è la sincera e "mortale" convinzione che non combattere il terrorismo ci mette al riparo da esso.
Madrid 2004 o Monaco 1938?
Angelo Panebianco
Lo spirito di Monaco soffia sull'Europa. C'è il rischio che l'Europa democratica, come fece nel '38 nei riguardi di Hitler, commetta di nuovo l'errore di mandare messaggi sbagliati, di appeasement, di arrendevolezza, nei confronti dei nemici della nostra civiltà. Per questo, la prima dichiarazione del vincitore delle elezioni spagnole, il socialista Zapatero («ci ritireremo dall'Iraq entro il 30 giugno») è, spiace dirlo, infausta, è uno di quei messaggi «sbagliati». Nel documento del gruppo saudita legato ad Al Qaeda, diffuso alla fine del 2003 ed esaminato da Magdi Allam sul Corriere di ieri, era stato tutto previsto: «Noi riteniamo - scrissero i terroristi - che il governo spagnolo non sopporterà che due o tre attacchi al massimo prima di essere costretto a ritirarsi sotto la pressione popolare. Se non lo dovesse fare, la vittoria del partito socialista sarà pressoché certa e il ritiro dall'Iraq sarà una delle sue priorità». Due errori l'Europa dovrebbe massimamente evitare. Il primo è quello di dare ai terroristi la sensazione che la strategia del massacro sia pagante, in grado di ottenere tutti i risultati che di volta in volta si prefiggono (oggi il ritiro dall'Iraq, domani chissà cosa altro). Il secondo errore è quello di non controbattere con sufficiente forza la tesi di chi in Europa va dicendo che l'unica vera causa dell'ultima ondata di attacchi terroristici sia la guerra in Iraq. Il primo errore non fa che accrescere ancor più le già altissime probabilità di nuovi attentati. Il secondo errore permette a tante persone in buona fede di cullarsi nell'illusione che basterebbe ritirarsi dall'Iraq per garantirsi la pace, la fine della guerra scatenata dal terrorismo islamico contro l'Occidente. A tutti costoro va ricordato che la guerra è iniziata con gli attacchi dell'11 settembre del 2001 ed è continuata poi con molti attentati in varie parti del mondo anche dopo quella data (e prima che ci fosse l'intervento anglo-americano in Iraq). I critici di quell'intervento possono benissimo continuare ad esserlo sostenendo che esso non ha contribuito a «fermare» il terrorismo ma non possono avallare la tesi secondo cui la guerra in Iraq sarebbe la vera, unica causa dell'aggressione terroristica all'Occidente. Basta avere ascoltato i messaggi di Bin Laden per sapere che non è così. I due errori suddetti possono contribuire a disarmare l'Europa, spingerla a fare ciò che essa, razionalmente, di certo non vuole fare: diventare prona al ricatto terroristico. Ogni Paese europeo deve fare la sua parte e auguriamoci che la tragedia spagnola spinga l'Unione verso una vera politica comune di lotta al terrorismo. Per quanto riguarda poi il nostro Paese speriamo che la maggioranza non tentenni. E che l'opposizione riformista sappia resistere alla pressione di coloro che, sull'onda delle elezioni spagnole, inneggiano oggi al socialista Zapatero, ne fanno il loro campione (contro Tony Blair, prima di tutto, ossia contro quella parte della sinistra al potere in Europa che non intende spostarsi dalla linea della fermezza). Anche chi era contrario all'intervento in Iraq ha un interesse vitale a superare il grande equivoco del «pacifismo» per come viene declinato in questo momento in Italia. Coloro che sfileranno nella manifestazione «pacifista» di sabato 20 marzo, chiedendo il ritiro del contingente italiano dall'Iraq, hanno come nemico prioritario gli americani, non il terrorismo islamico. Essi, come tanti altri gruppi che la pensano allo stesso modo in Europa, hanno tutti i diritti di manifestare per le loro idee. Ma l'Europa e l'Italia che non vogliono una nuova Monaco hanno il dovere di non mescolarsi con loro.
Corriere della Sera, 16 marzo 2004
Tuesday, March 16, 2004
Pagando il pizzo, il negozio è salvo?
«L'idea che modificando la politica estera ci si possa comprare l'immunità dal terrorismo è falsa. Nessun paese, Australia compresa, può permettere che la sua politica estera sia dettata da terroristi».
(John Howard, premier australiano).
Evidentemente, il presidente francese Jacques Chirac e il cancelliere tedesco Gerhard Schroeder, che si sono incontrati oggi in un ennesimo fastidioso pre-vertice sulla politica estera - rinfrancati dal ribaltone politico a Madrid e rialzando la testa dopo averla abbassata nei mesi scorsi di fronte ai progressi in Iraq - non la pensano così e nel ribadire considerazioni ragionevoli lanciano segnali e inquietanti stoccate a Bush. «Non si sconfiggerà il terrorismo soltanto con le armi». Bene. Vanno affrontate «le radici del male: miseria, umiliazione, ingiustizia». Giusto. Occorrono maggiori sforzi «per mettere fine ai conflitti che alimentano la collera e la frustrazione dei popoli». Bravi. Si rilanci il processo di pace in Medio Oriente e si prenda di petto quell'altra «fonte di instabilità nel mondo» che è l'Iraq (instabile, ma pur sempre meglio di prima, o no?). Per Schroeder rappresenta uno sviluppo «interessante» il preannunciato ritiro delle truppe spagnole dall'Iraq, ma sarà «una decisione sovrana» di quel Paese. Il presidente Chirac rassicura i francesi: «Il nostro paese non è a rischio», «non è nel mirino dei terroristi» e poi chiede - esattamente come Prodi - «solidarietà e il dialogo delle culture contro la violenza» (Dialogo con chi? Con i Saddam di turno?). In fin dei conti, il discorso sembra essere: noi paghiamo il pizzo, quindi il nostro negozio è salvo.
«L'idea che modificando la politica estera ci si possa comprare l'immunità dal terrorismo è falsa. Nessun paese, Australia compresa, può permettere che la sua politica estera sia dettata da terroristi».
(John Howard, premier australiano).
Evidentemente, il presidente francese Jacques Chirac e il cancelliere tedesco Gerhard Schroeder, che si sono incontrati oggi in un ennesimo fastidioso pre-vertice sulla politica estera - rinfrancati dal ribaltone politico a Madrid e rialzando la testa dopo averla abbassata nei mesi scorsi di fronte ai progressi in Iraq - non la pensano così e nel ribadire considerazioni ragionevoli lanciano segnali e inquietanti stoccate a Bush. «Non si sconfiggerà il terrorismo soltanto con le armi». Bene. Vanno affrontate «le radici del male: miseria, umiliazione, ingiustizia». Giusto. Occorrono maggiori sforzi «per mettere fine ai conflitti che alimentano la collera e la frustrazione dei popoli». Bravi. Si rilanci il processo di pace in Medio Oriente e si prenda di petto quell'altra «fonte di instabilità nel mondo» che è l'Iraq (instabile, ma pur sempre meglio di prima, o no?). Per Schroeder rappresenta uno sviluppo «interessante» il preannunciato ritiro delle truppe spagnole dall'Iraq, ma sarà «una decisione sovrana» di quel Paese. Il presidente Chirac rassicura i francesi: «Il nostro paese non è a rischio», «non è nel mirino dei terroristi» e poi chiede - esattamente come Prodi - «solidarietà e il dialogo delle culture contro la violenza» (Dialogo con chi? Con i Saddam di turno?). In fin dei conti, il discorso sembra essere: noi paghiamo il pizzo, quindi il nostro negozio è salvo.
Spagnoli ingannati da Al Qaeda
In realtà a quelli non frega niente della presenza in Iraq, ma aver fatto credere che sia così gli potrebbe portare un grosso vantaggio.
«C'è che la strage di giovedì più il voto di domenica, insieme, sono peggio ancora dell'11 settembre 2001, sono l'11 settembre senza l'united we stand, sono l'attacco a New York senza Rudy Giuliani, sono le Torri gemelle senza i pompieri, sono l'11 settembre di chi non è riuscito a trasformare la paura in collante della società e dei valori per i quali viviamo. (...) Quanto è successo in Spagna è un evento peggiore dell'11 settembre, perché abbiamo dato ai terroristi la speranza che la risposta europea possa essere quella di girarsi dall'altra parte, di lavarsene le mani, di sperare di toglierci dall'impiccio e di pregare che così facendo i fascisti se la prendano con gli altri, con i nostri vicini, con quelli a cui dobbiamo la nostra cinquantennale normalità».
Christian Rocca
In realtà a quelli non frega niente della presenza in Iraq, ma aver fatto credere che sia così gli potrebbe portare un grosso vantaggio.
«C'è che la strage di giovedì più il voto di domenica, insieme, sono peggio ancora dell'11 settembre 2001, sono l'11 settembre senza l'united we stand, sono l'attacco a New York senza Rudy Giuliani, sono le Torri gemelle senza i pompieri, sono l'11 settembre di chi non è riuscito a trasformare la paura in collante della società e dei valori per i quali viviamo. (...) Quanto è successo in Spagna è un evento peggiore dell'11 settembre, perché abbiamo dato ai terroristi la speranza che la risposta europea possa essere quella di girarsi dall'altra parte, di lavarsene le mani, di sperare di toglierci dall'impiccio e di pregare che così facendo i fascisti se la prendano con gli altri, con i nostri vicini, con quelli a cui dobbiamo la nostra cinquantennale normalità».
Christian Rocca
Ha sbagliato, ma non ha mentito
Lo dico da domenica («c'erano dei forti dati di fatto, subito rivelati dal governo spagnolo, che facevano/fanno pensare all'Eta, ma la pista islamica non è mai stata esclusa, anzi, proprio lo stesso governo ha reso noto il ritrovamento dei detonatori, gli arresti di tre arabi, infine il messaggio registrato che rivendicava ad Al Qaeda le stragi. Proprio l'eccessiva trasparenza casomai è stata fatale ad Aznar, consentendo ad Al Qaeda di impartirci un'esemplare lezione di comunicazione politica»), tutti gli sviluppi delle indagini sugli attentati di Madrid li abbiamo appresi dal governo spagnolo di Aznar. Qui una fedele cronologia per gli smemorati.
Lo dico da domenica («c'erano dei forti dati di fatto, subito rivelati dal governo spagnolo, che facevano/fanno pensare all'Eta, ma la pista islamica non è mai stata esclusa, anzi, proprio lo stesso governo ha reso noto il ritrovamento dei detonatori, gli arresti di tre arabi, infine il messaggio registrato che rivendicava ad Al Qaeda le stragi. Proprio l'eccessiva trasparenza casomai è stata fatale ad Aznar, consentendo ad Al Qaeda di impartirci un'esemplare lezione di comunicazione politica»), tutti gli sviluppi delle indagini sugli attentati di Madrid li abbiamo appresi dal governo spagnolo di Aznar. Qui una fedele cronologia per gli smemorati.
Monday, March 15, 2004
Zapatero inciampa subito
Per la verità non è che il neopremier abbia proprio una faccia sveglia. Ha già annunciato il ritiro delle truppe spagnole dall'Iraq. La reazione della Spagna è già finita.
«Questo è l'esempio di una Europa che si autodistrugge, o che rischia di distruggere le proprie scelte. E' una decisione presa senza discussione, senza riunione, senza che nemmeno sia finita la proclamazione dei risultati elettorali, senza formazione di un governo. Come devono sentirsi i soldati che restano là fino al 30 giugno, con il rischio di essere ammazzati?».
Marco Pannella
Ottime analisi sul voto in Spagna su 1972
Per la verità non è che il neopremier abbia proprio una faccia sveglia. Ha già annunciato il ritiro delle truppe spagnole dall'Iraq. La reazione della Spagna è già finita.
«Questo è l'esempio di una Europa che si autodistrugge, o che rischia di distruggere le proprie scelte. E' una decisione presa senza discussione, senza riunione, senza che nemmeno sia finita la proclamazione dei risultati elettorali, senza formazione di un governo. Come devono sentirsi i soldati che restano là fino al 30 giugno, con il rischio di essere ammazzati?».
Marco Pannella
Ottime analisi sul voto in Spagna su 1972
Per ciò che siamo, non per ciò che facciamo
«Hanno creduto davvero, gli europei, che i terroristi – che avevano dichiarato il jihad contro tutti "gli infedeli e i crociati" – si sarebbero fermati con New York e Washington? E hanno creduto davvero che i leader carismatici del jihad si sarebbero placati con parole garbate e contratti generosi? I jihadisti hanno reso palese che ci attaccano per ciò che siamo – liberi e democratici e tolleranti – e non per ciò che facciamo. Non esistono politiche astute che ci salveranno da questo conflitto. Possiamo vincere o perdere, ma non possiamo fuggire. Fortunatamente, questa è una guerra che può essere vinta piuttosto velocemente, se combattiamo per i nostri valori e sosteniamo i milioni d'individui in Medio oriente che desiderano la libertà. Ci sono state enormi manifestazioni prodemocrazia in Siria sabato scorso, qualcosa che non si vedeva da una generazione. Non passa settimana senza simili manifestazioni in Iran, e lo zelo democratico ha contagiato persino l'Arabia saudita. Questa gente, di cui si compone la stragrande maggioranza della popolazione in medio oriente, è la nostra arma più affidabile ed efficace contro i terroristi. Sarebbe ora – prima che sia troppo tardi – che il mondo Occidentale rivendicasse i propri valori, sostenesse le forze di una rivoluzione democratica, e portasse la guerra nelle capitali dei maestri del terrore. Più velocemente, per favore».
Michael Ledeen
Leggi anche:
«Terrorism has won a mighty victory in Spain»
David Frum
«Did Al Qaeda win its first election in Spain yesterday? Only if the incoming Socialist government allows it to»
Robert Lane Greene
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Michael Ledeen
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Robert Lane Greene
Neocons e neoliberal
«L'analisi dei neoliberal, che in alcuni punti coincide con quella dei neoconservatori, se ne distacca poi su questioni importanti, come la valutazione di quel che è oggi il multipolarismo, sul significato del diritto e della legittimità internazionale nell'agire politico e militare degli Stati, sulla preoccupazione per una democrazia che deve sempre rimanere se stessa, e in una dura polemica sulla questione delle armi di distruzione di massa. Ma la conclusione è la stessa: la democrazia occidentale deve difendersi e contrattaccare, non esiste democrazia occidentale senza l'unità euro-atlantica». (Giuliano Ferrara)
«L'analisi dei neoliberal, che in alcuni punti coincide con quella dei neoconservatori, se ne distacca poi su questioni importanti, come la valutazione di quel che è oggi il multipolarismo, sul significato del diritto e della legittimità internazionale nell'agire politico e militare degli Stati, sulla preoccupazione per una democrazia che deve sempre rimanere se stessa, e in una dura polemica sulla questione delle armi di distruzione di massa. Ma la conclusione è la stessa: la democrazia occidentale deve difendersi e contrattaccare, non esiste democrazia occidentale senza l'unità euro-atlantica». (Giuliano Ferrara)
Ancora su Jihad e nichilismo
Il prevalere della cultura di Monaco '38, in versione gollista o socialdemocratica, burocratica o pacifista, è il vero rischio.
Il prevalere della cultura di Monaco '38, in versione gollista o socialdemocratica, burocratica o pacifista, è il vero rischio.
Le sagge parole di pochi
Ernesto Galli Della Loggia: «Il pacifismo ora non può più porsi come forma portante dell'identità europea. (...) Chi insiste a collegare gli attentati di Madrid all'intervento spagnolo in Iraq omette di ricordare che, l'11 settembre, l'America non era impegnata in alcuna guerra. L'attacco alle Torri e al Pentagono è stato un atto iniziale, non una risposta dettata da ragioni di autodifesa o di rappresaglia. Era un attacco contro l'esistenza stessa di un paese libero, di una democrazia che si batte in difesa dei diritti civili. Mirava a un simbolo, il simbolo del nostro modo di vivere». Da allora il terrorismo islamico ha colpito Bali, Djerba, Casablanca e Istanbul. «Al Qaida opera a largo raggio. Colpisce Stati islamici che considera vicini all'Occidente, come il Marocco e la Turchia, simboli dell'Occidente come Bali, simboli dell'ebraismo, come a Djerba. E oggi l'Europa, a cominciare da quella che si è più palesemente schierata dalla parte degli Stati Uniti. Ma ripeto, oggi la guerra in Iraq è solo un pretesto propagandistico. Il terrorismo non ha altra linea politica che terrorizzare. Distruggere il potere dell'avversario. Disintegrare e umiliare la sua statura politica attraverso il terrore. Cancellarne l'influenza all'esterno, in particolare nel mondo arabo, e umiliarlo. I crociati di cui parla Al Qaida siamo noi».
«La sinistra che non intende scindere la protesta contro il terrorismo dalla protesta contro gli americani in Iraq, come fa Alfonso Pecorario Scanio, dimostra di non aver capito la natura del terrorismo. L'attentato di Madrid non è una rappresaglia per la guerra in Iraq. E' il frutto ultimo di un'avversione
all'Occidente che nasce dalle frustrazioni storiche di una parte del mondo».
André Glucksmann: «Nessuno è al sicuro. L'Europa si unisca contro il terrorismo, non contro l'America». «E' del tutto inaccettabile, addirittura stupido, sostenere che proprio chi resiste al terrorismo gli darebbe motivi per agire. (...) A chi s'illude che l'allarme suonato l'11 marzo riguardi solo le nazioni della coalizione anti-Saddam, dico che l'11 settembre europeo non prende di mira soltanto la Spagna, ma l'insieme di tutti gli europei e delle loro tradizioni democratiche. Non si spiegherebbe, altrimenti, la scelta della data, a tre giorni dalle elezioni. (...) E' offensivo, da parte di chi si dichiara democratico, contribuire al tentativo di terrorizzare la popolazione. Se Aznar perderà, dopo che tutti i sondaggi lo davano vincente, sarà la prova che gli attentati sono efficaci, e che basta far saltare i treni per cambiare le maggioranze. (...) Con l'America si può discutere, si può non essere sempre d'accordo, ma la Francia deve convincersi che l'unione dell'Europa non si farà contro gli Stati Uniti, ma contro il terrorismo».
A Le Monde e la Repubblica si ragiona
«(...) E il movimento pacifista, per primo (...) ha il dovere di assumere la condanna del terrorismo come priorità, facendo pesare la sua forza e i suoi ideali contro le bombe. Può essere scomodo dirlo, ma è inevitabile: parlare solo di pace, oggi, non basta più, perché la difesa della democrazia è il primo problema. C'è dunque bisogno di più Europa, per difendere la democrazia minacciata, e c'è bisogno di Occidente, nella libera alleanza (culturale e politica, ben più che militare) con gli Stati Uniti. Questa è l'unica risposta». (Ezio Mauro)
Ernesto Galli Della Loggia: «Il pacifismo ora non può più porsi come forma portante dell'identità europea. (...) Chi insiste a collegare gli attentati di Madrid all'intervento spagnolo in Iraq omette di ricordare che, l'11 settembre, l'America non era impegnata in alcuna guerra. L'attacco alle Torri e al Pentagono è stato un atto iniziale, non una risposta dettata da ragioni di autodifesa o di rappresaglia. Era un attacco contro l'esistenza stessa di un paese libero, di una democrazia che si batte in difesa dei diritti civili. Mirava a un simbolo, il simbolo del nostro modo di vivere». Da allora il terrorismo islamico ha colpito Bali, Djerba, Casablanca e Istanbul. «Al Qaida opera a largo raggio. Colpisce Stati islamici che considera vicini all'Occidente, come il Marocco e la Turchia, simboli dell'Occidente come Bali, simboli dell'ebraismo, come a Djerba. E oggi l'Europa, a cominciare da quella che si è più palesemente schierata dalla parte degli Stati Uniti. Ma ripeto, oggi la guerra in Iraq è solo un pretesto propagandistico. Il terrorismo non ha altra linea politica che terrorizzare. Distruggere il potere dell'avversario. Disintegrare e umiliare la sua statura politica attraverso il terrore. Cancellarne l'influenza all'esterno, in particolare nel mondo arabo, e umiliarlo. I crociati di cui parla Al Qaida siamo noi».
«La sinistra che non intende scindere la protesta contro il terrorismo dalla protesta contro gli americani in Iraq, come fa Alfonso Pecorario Scanio, dimostra di non aver capito la natura del terrorismo. L'attentato di Madrid non è una rappresaglia per la guerra in Iraq. E' il frutto ultimo di un'avversione
all'Occidente che nasce dalle frustrazioni storiche di una parte del mondo».
André Glucksmann: «Nessuno è al sicuro. L'Europa si unisca contro il terrorismo, non contro l'America». «E' del tutto inaccettabile, addirittura stupido, sostenere che proprio chi resiste al terrorismo gli darebbe motivi per agire. (...) A chi s'illude che l'allarme suonato l'11 marzo riguardi solo le nazioni della coalizione anti-Saddam, dico che l'11 settembre europeo non prende di mira soltanto la Spagna, ma l'insieme di tutti gli europei e delle loro tradizioni democratiche. Non si spiegherebbe, altrimenti, la scelta della data, a tre giorni dalle elezioni. (...) E' offensivo, da parte di chi si dichiara democratico, contribuire al tentativo di terrorizzare la popolazione. Se Aznar perderà, dopo che tutti i sondaggi lo davano vincente, sarà la prova che gli attentati sono efficaci, e che basta far saltare i treni per cambiare le maggioranze. (...) Con l'America si può discutere, si può non essere sempre d'accordo, ma la Francia deve convincersi che l'unione dell'Europa non si farà contro gli Stati Uniti, ma contro il terrorismo».
A Le Monde e la Repubblica si ragiona
«(...) E il movimento pacifista, per primo (...) ha il dovere di assumere la condanna del terrorismo come priorità, facendo pesare la sua forza e i suoi ideali contro le bombe. Può essere scomodo dirlo, ma è inevitabile: parlare solo di pace, oggi, non basta più, perché la difesa della democrazia è il primo problema. C'è dunque bisogno di più Europa, per difendere la democrazia minacciata, e c'è bisogno di Occidente, nella libera alleanza (culturale e politica, ben più che militare) con gli Stati Uniti. Questa è l'unica risposta». (Ezio Mauro)
"L'America spiega che il terrorismo minaccia tutti"
«I terroristi hanno attaccato alleati dell'America, come la Spagna, e altre nazioni, come la Turchia, che non solo non hanno sostenuto la guerra a Saddam ma che hanno addirittura negato il transito all'esercito americano, complicandone i piani militari. Al Qaida è una minaccia per tutti, ha detto Colin Powell. (...) hanno colpito il Marocco, l'Arabia Saudita, la Tunisia e l'Indonesia, paesi che non hanno sostenuto l'operazione americana in Iraq, e in Iraq uccidono ogni giorno gli iracheni, sunniti o sciiti che siano».
Il Foglio
«I terroristi hanno attaccato alleati dell'America, come la Spagna, e altre nazioni, come la Turchia, che non solo non hanno sostenuto la guerra a Saddam ma che hanno addirittura negato il transito all'esercito americano, complicandone i piani militari. Al Qaida è una minaccia per tutti, ha detto Colin Powell. (...) hanno colpito il Marocco, l'Arabia Saudita, la Tunisia e l'Indonesia, paesi che non hanno sostenuto l'operazione americana in Iraq, e in Iraq uccidono ogni giorno gli iracheni, sunniti o sciiti che siano».
Il Foglio
La furia non è cieca, ci vede benissimo
E' stata una considerazione superficiale, su uno spunto interessante che rimane valido, ma superficiale e incompleta quella di venerdì su questo blog (Clausewitz e i terroristi islamici), di un terrorismo che è caos e nichilismo e non volontà di affermare un progetto politico. Questo si può forse dire dell'obiettivo finale di distruzione dell'Occidente, ma non deve portare a sottovalutare il livello tattico di questa guerra. Il miglior vantaggio del nostro nemico (Al Qaeda, non l'Islam) è che ci conosce più di quanto noi conosciamo lui. Al Qaeda ha fatto politica, la nostra politica, cogliendo un doppio successo: ha mandato a casa i popolari di Aznar e probabilmente tolto di mezzo un prezioso alleato di Bush, verso il quale si accentueranno le accuse di aver isolato l'America, andando ad incidere sulla campagna per la sua rielezione. La furia di Al Qaeda non è cieca, ci vede benissimo. Con molta probabilità è responsabile degli attentati di Madrid, le indagini lo diranno con certezza, ma anche se si dovesse accertare la paternità dell'Eta - anzi, a maggior ragione - è preoccupante che sia stato l'opportunismo e il tempismo del messaggio registrato del sedicente luogotenente di Al Qaeda in Europa a determinare il corso delle elezioni politiche in Spagna. Non è drammatico che siano stati i socialisti a trarne vantaggio, ma che il nostro nemico abbia deciso per noi. E' stato rimproverato ad Aznar di aver nascosto la verità agli spagnoli. Ma ragioniamo, non ci facciamo oscurare la mente dalla paura e dalla rabbia. In realtà, c'erano dei forti dati di fatto, subito rivelati dal governo spagnolo, che facevano/fanno pensare all'Eta, ma la pista islamica non è mai stata esclusa, anzi, proprio lo stesso governo ha reso noto il ritrovamento dei detonatori, gli arresti di tre arabi, infine il messaggio registrato che rivendicava ad Al Qaeda le stragi. Proprio l'eccessiva trasparenza casomai è stata fatale ad Aznar, consentendo ad Al Qaeda di impartirci un'esemplare lezione di comunicazione politica. Oggi siamo tutti più deboli, sia per la paura del terrore, sia politicamente che militarmente. Ora sentiremo più forti, in tutta Europa, le voci di quanti dicono che è la guerra in Iraq ad averci portato a questo punto, che è nella politica dell'America e di Bush il diavolo. No, non c'è unità in Europa contro il terrorismo, la fiamma della divisione è stata alimentata da Al Qaeda in modo sapiente. Le posizioni di quanti credono giusto combattere i terroristi e gli Stati che li appoggiano con la forza militare e di quanti invece credono che la soluzione sia nella giustizia per i popoli arabi, poveri e oppressi, saranno sempre più inconciliabili, mentre ci sfuggirà di vista che la risposta è in entrambe. E' urgente un'offensiva diplomatica degli Stati Uniti in Spagna, e in Europa, per costruire finalmente un'alleanza strategica duratura contro il terrorismo, che si appoggi sulle strutture Nato e che regga all'alternanza democratica dei governi. Se persino Roosvelt, Churchill e Stalin riuscirono a fare fronte comune...
Mi auguro che il nuovo governo spagnolo non ritiri il suo impegno in Iraq, che l'Europa non si faccia travolgere dalle retoriche pacifiste e catastrofiste (del né con Bush né con Saddam) che fanno il gioco del nemico. Per questo, proprio su quelle retoriche Al Qaeda ha deciso di puntare. Subire un colpo, anche duro, non significa che si sta perdendo la guerra o che la strategia sia sbagliata (è la II guerra mondiale ad insegnarcelo). Dividiamoci pure, laicamente, sulle strategie, ma teniamo presente che il rischio maggiore - ed è la carta che gioca al Qaeda - è che le nazioni europee credano di essere al sicuro dal terrorismo se solo si asterranno dal combatterlo con la forza e le guerre. Non vediamo ancora che la minaccia ci riguarda tutti e lasciare alle loro "giuste" punizioni l'America, la Gran Bretagna, Israele, o la Spagna, non ci salverà, come non ci salvò aver lasciato al suo destino la Cecoslovacchia nel '38 e come non ci avrebbe salvati lasciare al suo destino la Polonia nel '39.
E' stata una considerazione superficiale, su uno spunto interessante che rimane valido, ma superficiale e incompleta quella di venerdì su questo blog (Clausewitz e i terroristi islamici), di un terrorismo che è caos e nichilismo e non volontà di affermare un progetto politico. Questo si può forse dire dell'obiettivo finale di distruzione dell'Occidente, ma non deve portare a sottovalutare il livello tattico di questa guerra. Il miglior vantaggio del nostro nemico (Al Qaeda, non l'Islam) è che ci conosce più di quanto noi conosciamo lui. Al Qaeda ha fatto politica, la nostra politica, cogliendo un doppio successo: ha mandato a casa i popolari di Aznar e probabilmente tolto di mezzo un prezioso alleato di Bush, verso il quale si accentueranno le accuse di aver isolato l'America, andando ad incidere sulla campagna per la sua rielezione. La furia di Al Qaeda non è cieca, ci vede benissimo. Con molta probabilità è responsabile degli attentati di Madrid, le indagini lo diranno con certezza, ma anche se si dovesse accertare la paternità dell'Eta - anzi, a maggior ragione - è preoccupante che sia stato l'opportunismo e il tempismo del messaggio registrato del sedicente luogotenente di Al Qaeda in Europa a determinare il corso delle elezioni politiche in Spagna. Non è drammatico che siano stati i socialisti a trarne vantaggio, ma che il nostro nemico abbia deciso per noi. E' stato rimproverato ad Aznar di aver nascosto la verità agli spagnoli. Ma ragioniamo, non ci facciamo oscurare la mente dalla paura e dalla rabbia. In realtà, c'erano dei forti dati di fatto, subito rivelati dal governo spagnolo, che facevano/fanno pensare all'Eta, ma la pista islamica non è mai stata esclusa, anzi, proprio lo stesso governo ha reso noto il ritrovamento dei detonatori, gli arresti di tre arabi, infine il messaggio registrato che rivendicava ad Al Qaeda le stragi. Proprio l'eccessiva trasparenza casomai è stata fatale ad Aznar, consentendo ad Al Qaeda di impartirci un'esemplare lezione di comunicazione politica. Oggi siamo tutti più deboli, sia per la paura del terrore, sia politicamente che militarmente. Ora sentiremo più forti, in tutta Europa, le voci di quanti dicono che è la guerra in Iraq ad averci portato a questo punto, che è nella politica dell'America e di Bush il diavolo. No, non c'è unità in Europa contro il terrorismo, la fiamma della divisione è stata alimentata da Al Qaeda in modo sapiente. Le posizioni di quanti credono giusto combattere i terroristi e gli Stati che li appoggiano con la forza militare e di quanti invece credono che la soluzione sia nella giustizia per i popoli arabi, poveri e oppressi, saranno sempre più inconciliabili, mentre ci sfuggirà di vista che la risposta è in entrambe. E' urgente un'offensiva diplomatica degli Stati Uniti in Spagna, e in Europa, per costruire finalmente un'alleanza strategica duratura contro il terrorismo, che si appoggi sulle strutture Nato e che regga all'alternanza democratica dei governi. Se persino Roosvelt, Churchill e Stalin riuscirono a fare fronte comune...
Mi auguro che il nuovo governo spagnolo non ritiri il suo impegno in Iraq, che l'Europa non si faccia travolgere dalle retoriche pacifiste e catastrofiste (del né con Bush né con Saddam) che fanno il gioco del nemico. Per questo, proprio su quelle retoriche Al Qaeda ha deciso di puntare. Subire un colpo, anche duro, non significa che si sta perdendo la guerra o che la strategia sia sbagliata (è la II guerra mondiale ad insegnarcelo). Dividiamoci pure, laicamente, sulle strategie, ma teniamo presente che il rischio maggiore - ed è la carta che gioca al Qaeda - è che le nazioni europee credano di essere al sicuro dal terrorismo se solo si asterranno dal combatterlo con la forza e le guerre. Non vediamo ancora che la minaccia ci riguarda tutti e lasciare alle loro "giuste" punizioni l'America, la Gran Bretagna, Israele, o la Spagna, non ci salverà, come non ci salvò aver lasciato al suo destino la Cecoslovacchia nel '38 e come non ci avrebbe salvati lasciare al suo destino la Polonia nel '39.
Gli Stati Uniti hanno il coraggio di mandare segnali a Putin. E l'Europa?
Vladimir Putin intasca la rielezione con un plebiscito, come previsto, e con un'affluenza alle urne più alta di quanto sperasse. Formula quasi perfetta, se non fosse per le pesanti critiche arrivate nel pomeriggio dagli Stati Uniti: il presidente russo, si dice, deve fare di meglio in termini di democrazia. «Non abbiamo bisogno di lezioni di democrazia», è stata la stizzita risposta. Che gli altri candidati si posizionino un po' meglio del previsto non dà fastidio al presidente, anzi: un plebiscito oltre il 70% sarebbe stato imbarazzante. Restano il problema della non alternativa a Putin, come i dubbi su una campagna senza dibattito, la disparità di copertura e le intimidazioni sui candidati, le pressioni sugli elettori, l'imbavagliamento dei media, lo smantellamento degli "oligarchi", l'insediamento nell'apparato statale dei silovki, gli uomini dei ministeri forti (Servizi, Interni, Difesa).
Pesanti le critiche Usa perché giungono dai più alti livelli della politica estera.
Colin Powell: «Non è il tracollo totale della democrazia, ma devono fare di meglio», ha dichiarato alla Fox, precisando di aver «direttamente espresso al presidente Putin e ad altri leader, la richiesta di dover lavorare su certi aspetti» della vita politica, affinché si possa parlare di vera democrazia. Il segretario di Stato ha parlato apertamente di «preoccupazione per il modo in cui si è arrivati a questa elezione, come d'altronde a quella per il rinnovo della Duma, il parlamento russo, non tanto tempo fa».
«Dato che il presidente Putin è talmento favorito in questa elezione, e, francamente, i russi lo amano, e lo rieleggeranno senza difficoltà, non capisco bene perché debbano impedire agli altri candidati di partecipare a pari titolo al processo elettorale».
Lanciato il messaggio, ha poi precisato di non ritenere «che la democrazia sia in pericolo in Russia». Tuttavia, ha aggiunto, «i russi devono capire che per avere una vera democrazia, riconosciuta dalla Comunità internazionale, bisogna dare ai candidati sfidanti lo stesso spazio del presidente. Bisogna essere sicuri che non vi siano degli ostacoli alla piena partecipazione al processo elettorale».
Condoleeza Rice: «L'amministrazione Bush è preoccupata per l'indipendenza dell'informazione in Russia». «Siamo preoccupati dal fatto che le elezioni non abbiano permesso un dibattito completo tra i candidati», ha rincarato alla Nbc la consigliere per la sicurezza nazionale Usa.
Dall'Europa? Congratulazioni e vodka naturalmente.
Vladimir Putin intasca la rielezione con un plebiscito, come previsto, e con un'affluenza alle urne più alta di quanto sperasse. Formula quasi perfetta, se non fosse per le pesanti critiche arrivate nel pomeriggio dagli Stati Uniti: il presidente russo, si dice, deve fare di meglio in termini di democrazia. «Non abbiamo bisogno di lezioni di democrazia», è stata la stizzita risposta. Che gli altri candidati si posizionino un po' meglio del previsto non dà fastidio al presidente, anzi: un plebiscito oltre il 70% sarebbe stato imbarazzante. Restano il problema della non alternativa a Putin, come i dubbi su una campagna senza dibattito, la disparità di copertura e le intimidazioni sui candidati, le pressioni sugli elettori, l'imbavagliamento dei media, lo smantellamento degli "oligarchi", l'insediamento nell'apparato statale dei silovki, gli uomini dei ministeri forti (Servizi, Interni, Difesa).
Pesanti le critiche Usa perché giungono dai più alti livelli della politica estera.
Colin Powell: «Non è il tracollo totale della democrazia, ma devono fare di meglio», ha dichiarato alla Fox, precisando di aver «direttamente espresso al presidente Putin e ad altri leader, la richiesta di dover lavorare su certi aspetti» della vita politica, affinché si possa parlare di vera democrazia. Il segretario di Stato ha parlato apertamente di «preoccupazione per il modo in cui si è arrivati a questa elezione, come d'altronde a quella per il rinnovo della Duma, il parlamento russo, non tanto tempo fa».
«Dato che il presidente Putin è talmento favorito in questa elezione, e, francamente, i russi lo amano, e lo rieleggeranno senza difficoltà, non capisco bene perché debbano impedire agli altri candidati di partecipare a pari titolo al processo elettorale».
Lanciato il messaggio, ha poi precisato di non ritenere «che la democrazia sia in pericolo in Russia». Tuttavia, ha aggiunto, «i russi devono capire che per avere una vera democrazia, riconosciuta dalla Comunità internazionale, bisogna dare ai candidati sfidanti lo stesso spazio del presidente. Bisogna essere sicuri che non vi siano degli ostacoli alla piena partecipazione al processo elettorale».
Condoleeza Rice: «L'amministrazione Bush è preoccupata per l'indipendenza dell'informazione in Russia». «Siamo preoccupati dal fatto che le elezioni non abbiano permesso un dibattito completo tra i candidati», ha rincarato alla Nbc la consigliere per la sicurezza nazionale Usa.
Dall'Europa? Congratulazioni e vodka naturalmente.
Friday, March 12, 2004
Soy español
Gli attentati di Madrid sono un attacco «contro i principi base della libertà e della democrazia».
«Milioni di persone scenderanno in strada questa sera: noi saremo con loro con lo spirito e la solidarietà». «Questa non è una lotta che riguarda solo la Spagna, ma anche il resto del mondo libero. Ogni generazione ha la sua guerra da combattere. La generazione di mio padre è cresciuta combattendo contro i nazisti e questo adesso è passato. La mia generazione è cresciuta con la Guerra Fredda e anche quello adesso è finito». Adesso c'è una nuova guerra contro «pericolosi fanatici», contro «terroristi pronti ad uccidere innocenti senza pietà». «Si deve essere vigilanti, perché tutti i grandi paesi del mondo devono affrontare la stessa minaccia. Dobbiamo rispondere alla lotta e difendere il nostro modo di vita».
Tony Blair
Qui Blair motiva da grande leader la sua decisione di attaccare l'Iraq.
Gli attentati di Madrid sono un attacco «contro i principi base della libertà e della democrazia».
«Milioni di persone scenderanno in strada questa sera: noi saremo con loro con lo spirito e la solidarietà». «Questa non è una lotta che riguarda solo la Spagna, ma anche il resto del mondo libero. Ogni generazione ha la sua guerra da combattere. La generazione di mio padre è cresciuta combattendo contro i nazisti e questo adesso è passato. La mia generazione è cresciuta con la Guerra Fredda e anche quello adesso è finito». Adesso c'è una nuova guerra contro «pericolosi fanatici», contro «terroristi pronti ad uccidere innocenti senza pietà». «Si deve essere vigilanti, perché tutti i grandi paesi del mondo devono affrontare la stessa minaccia. Dobbiamo rispondere alla lotta e difendere il nostro modo di vita».
Tony Blair
Qui Blair motiva da grande leader la sua decisione di attaccare l'Iraq.
Clausewitz e i terroristi islamici
Questi non sono l'Eta che vuole l'indipendenza dei Paesi baschi, le Br che vogliono terminare il lavoro della resistenza, i palestinesi che vogliono il loro Stato. La nostra angoscia di fronte al cieco terrorismo islamico si spiega con l'assenza di un obiettivo politico, c'è solo caos, nichilismo, distruzione dell'altro e autodistruzione. La guerra è una violenza regolata per imporre una volontà. La distruzione indiscriminata per annientare ogni vita del nemico (di razza o di classe) ha fatto parte (insieme ad altri obiettivi che invece erano politici) del nazismo e del comunismo. Oggi questa componente nichilista esaurisce il terrorismo islamico. Uno spunto interessante da mic.
Questi non sono l'Eta che vuole l'indipendenza dei Paesi baschi, le Br che vogliono terminare il lavoro della resistenza, i palestinesi che vogliono il loro Stato. La nostra angoscia di fronte al cieco terrorismo islamico si spiega con l'assenza di un obiettivo politico, c'è solo caos, nichilismo, distruzione dell'altro e autodistruzione. La guerra è una violenza regolata per imporre una volontà. La distruzione indiscriminata per annientare ogni vita del nemico (di razza o di classe) ha fatto parte (insieme ad altri obiettivi che invece erano politici) del nazismo e del comunismo. Oggi questa componente nichilista esaurisce il terrorismo islamico. Uno spunto interessante da mic.
Un «quadro ricco»
Daniele Capezzone lo ha visto nelle conferenze e negli incontri che ha avuto durante la sua visita negli Stati Uniti, a Washington. Neocons, ma non solo. Perché lì, in America, sono seri, pensano invece di schiamazzare. Teniamo conto delle obiezioni d'oltreoceano a progetti troppo "radicali".
Daniele Capezzone lo ha visto nelle conferenze e negli incontri che ha avuto durante la sua visita negli Stati Uniti, a Washington. Neocons, ma non solo. Perché lì, in America, sono seri, pensano invece di schiamazzare. Teniamo conto delle obiezioni d'oltreoceano a progetti troppo "radicali".
Anche questo blog ha ripugnanza
per quell'essere ignobile di Travaglio. E per il covo che lo ospita.
per quell'essere ignobile di Travaglio. E per il covo che lo ospita.
Europa svegliati
Scuotiti dal tuo dorato isolamento. Siamo in guerra da due anni e mezzo e non ce ne siamo accorti. Se sarà dimostrato che c'è Al Qaeda dietro le stragi di Madrid, come è probabile, potremo dire l'avevamo detto: i terroristi hanno portato la loro guerra nel nostro continente, era solo questione di tempo. Ed era solo questione di tempo che si cominciasse a comprendere la paura che provano ogni giorno da anni i cittadini israeliani. Però qualcuno è bene che si svegli, perché in questi mesi non ha fatto nulla fuorché sperare che le difficoltà della guerra al terrorismo mettessero in discussione la supremazia americana e l'Europa potesse assumere non il ruolo di alleato dell'America, partner al suo fianco, ma di minipotenza al suo cospetto, per controbilanciare l'unica superpotenza. Francia e Germania farebbero bene invece a rivedere i loro obiettivi. Il loro nazionalismo e la loro arroganza da "vecchia Europa" sono forze antistoriche, né la debolezza economica e sociale permette simili ambizioni. L'Europa si svegli e faccia veramente, sinceramente, fronte unico contro il terrorismo. Fin qui in troppi hanno preferito fare "orecchie da mercanti". Servono fatti, non condoglianze di rito.
Bush svegliati
Agire con risolutezza, prendere posizioni scomode, lanciare sfide rischiose, durante una campagna elettorale non è mai facile, ma oggi è più che mai necessario. E Bush non sta facendo abbastanza. Lanci subito con forza la Greater Middle East Initiative, si sforzi di coinvolgere gli alleati europei in una nuova alleanza transatlantica, strategica questa volta, contro il fascismo islamico, fondi un'Organizzazione mondiale delle democrazie. Questa, come già le due guerre mondiali del '900, è una guerra ideologica, va combatutta sul fronte delle idee, con la diffusione nonviolenta della democrazia e dei diritti nelle società arabe e nel resto del mondo. L'immagine dell'America e dell'Occidente va promossa e legata a nuovi orizzonti di benessere per i popoli meno fortunati e oppressi. L'uso della forza militare va ponderato con cautela, azioni mirate dei servizi di sicurezza estese e intensificate "a rete" e in stretta collaborazione con gli alleati di tutto il mondo. Bush deve aprire gli occhi e scaricare Putin se vuole come alleata una Russia democratica.
La proposta. L'antiproibizionismo contro i terroristi
Sembra inevitabile che qualcosa di molto simile a ciò che è avvenuto ieri in Spanga accada prima o poi anche in Italia. Dobbiamo essere pronti a questa eventualità. In guerra non si può pensare di non piangere le proprie vittime. In questa guerra ci stiamo difendendo, stavolta non siamo aggressori, dobbiamo mantenere questa consapevolezza e la determinazione che ne segue. Vincere con i nostri valori, con la nostra Costituzione, con il nostro stato di diritto. Ma bisogna destinare maggiori risorse, in termini finanziari, umani, e di ricerca scientifica e tecnologica, alla nostra sicurezza interna: servizi, task force, ma soprattutto polizia e carabinieri. A questo scopo si potrebbe, per esempio, proporre la sperimentazione di un periodo di 5 anni di legalizzazione delle droghe leggere, così da alleggerire le nostre forze di sicurezza da impegni estenuanti e fallimentari, destinando una quota maggiore di tempo ed energie contro le cellule terroristiche e nella prevenzione di attacchi.
Scuotiti dal tuo dorato isolamento. Siamo in guerra da due anni e mezzo e non ce ne siamo accorti. Se sarà dimostrato che c'è Al Qaeda dietro le stragi di Madrid, come è probabile, potremo dire l'avevamo detto: i terroristi hanno portato la loro guerra nel nostro continente, era solo questione di tempo. Ed era solo questione di tempo che si cominciasse a comprendere la paura che provano ogni giorno da anni i cittadini israeliani. Però qualcuno è bene che si svegli, perché in questi mesi non ha fatto nulla fuorché sperare che le difficoltà della guerra al terrorismo mettessero in discussione la supremazia americana e l'Europa potesse assumere non il ruolo di alleato dell'America, partner al suo fianco, ma di minipotenza al suo cospetto, per controbilanciare l'unica superpotenza. Francia e Germania farebbero bene invece a rivedere i loro obiettivi. Il loro nazionalismo e la loro arroganza da "vecchia Europa" sono forze antistoriche, né la debolezza economica e sociale permette simili ambizioni. L'Europa si svegli e faccia veramente, sinceramente, fronte unico contro il terrorismo. Fin qui in troppi hanno preferito fare "orecchie da mercanti". Servono fatti, non condoglianze di rito.
Bush svegliati
Agire con risolutezza, prendere posizioni scomode, lanciare sfide rischiose, durante una campagna elettorale non è mai facile, ma oggi è più che mai necessario. E Bush non sta facendo abbastanza. Lanci subito con forza la Greater Middle East Initiative, si sforzi di coinvolgere gli alleati europei in una nuova alleanza transatlantica, strategica questa volta, contro il fascismo islamico, fondi un'Organizzazione mondiale delle democrazie. Questa, come già le due guerre mondiali del '900, è una guerra ideologica, va combatutta sul fronte delle idee, con la diffusione nonviolenta della democrazia e dei diritti nelle società arabe e nel resto del mondo. L'immagine dell'America e dell'Occidente va promossa e legata a nuovi orizzonti di benessere per i popoli meno fortunati e oppressi. L'uso della forza militare va ponderato con cautela, azioni mirate dei servizi di sicurezza estese e intensificate "a rete" e in stretta collaborazione con gli alleati di tutto il mondo. Bush deve aprire gli occhi e scaricare Putin se vuole come alleata una Russia democratica.
La proposta. L'antiproibizionismo contro i terroristi
Sembra inevitabile che qualcosa di molto simile a ciò che è avvenuto ieri in Spanga accada prima o poi anche in Italia. Dobbiamo essere pronti a questa eventualità. In guerra non si può pensare di non piangere le proprie vittime. In questa guerra ci stiamo difendendo, stavolta non siamo aggressori, dobbiamo mantenere questa consapevolezza e la determinazione che ne segue. Vincere con i nostri valori, con la nostra Costituzione, con il nostro stato di diritto. Ma bisogna destinare maggiori risorse, in termini finanziari, umani, e di ricerca scientifica e tecnologica, alla nostra sicurezza interna: servizi, task force, ma soprattutto polizia e carabinieri. A questo scopo si potrebbe, per esempio, proporre la sperimentazione di un periodo di 5 anni di legalizzazione delle droghe leggere, così da alleggerire le nostre forze di sicurezza da impegni estenuanti e fallimentari, destinando una quota maggiore di tempo ed energie contro le cellule terroristiche e nella prevenzione di attacchi.
Piazza Fontana. Assoluzioni in appello
«Qual è l'obiettivo di una strage?»
Michele Lembo, RadioRadicale.it
«Qual è l'obiettivo di una strage?»
Michele Lembo, RadioRadicale.it
Thursday, March 11, 2004
Iraq: One Year After
Task Force indipendente del Council on Foreign Relations. Ecco il rapporto.
«Election Year Politics Should Not Jeopardize U.S. Staying Power in Iraq; Bipartisan Pledge Needed to Reaffirm Commitment to Security and Reconstruction».
Una straordinaria raccolta di letture e documenti sull'Iraq
Una cronologia
Appunti sulla Costituzione provvisoria
Lo stato delle forze di sicurezza irachene
Task Force indipendente del Council on Foreign Relations. Ecco il rapporto.
«Election Year Politics Should Not Jeopardize U.S. Staying Power in Iraq; Bipartisan Pledge Needed to Reaffirm Commitment to Security and Reconstruction».
Condoglianze alla Spagna e alla sua gente. Però, sarà davvero l'Eta? Quando mai ha fatto una strage di tali proporzioni, colpendo così indiscriminatamente? Per quello che ne so i suoi obiettivi sono stati sempre in qualche modo politici e il numero delle vittime ridotto. Per la crudezza e le dimensioni di questo 11 marzo spagnolo non mi sembra che si possa escludere a cuor leggero la matrice islamica.
Da Vespa ci torneranno, intanto danno spettacolo della loro intolleranza
Ce l'hanno con Berlusconi perché va alla radio, ma stamattina è il turno loro (come sempre). Ce l'hanno con Berlusconi perché va da Vespa, ma domani è il loro turno (come sempre). Ce l'hanno con Berlusconi perché non accetta il loro modello di contraddittorio, ma a turno ciascuno di loro ha rifiutato il contraddittorio quando ha pensato che non gli convenisse (come sempre succede). (...)» Leggi tutto
Il caso Italia non coincide con il caso Berlusconi. Ricordarcelo fa bene.
Ce l'hanno con Berlusconi perché va alla radio, ma stamattina è il turno loro (come sempre). Ce l'hanno con Berlusconi perché va da Vespa, ma domani è il loro turno (come sempre). Ce l'hanno con Berlusconi perché non accetta il loro modello di contraddittorio, ma a turno ciascuno di loro ha rifiutato il contraddittorio quando ha pensato che non gli convenisse (come sempre succede). (...)» Leggi tutto
Il caso Italia non coincide con il caso Berlusconi. Ricordarcelo fa bene.
Wednesday, March 10, 2004
Di questo ce ne eravamo accorti senza essere economisti
Il prezzo della benzina in Italia è fissato da un cartello di natura monopolistica. «E poiché si nota che quando il greggio sale, il prezzo alla distribuzione aumenta subito, mentre quando il greggio scende ciò avviene sporadicamente, non resta che pensare a un'intesa monopolistica (e, forse, non proprio lecita) fra le compagnie». Invece, questo non lo sapevamo: «Il solo rincaro che si potrebbe imputare al prezzo alla pompa è quello dell'aumento della tassa, attuato per finanziare il contratto del trasporto pubblico degli enti locali, pari a 5,6 centesimi il litro. Al quale si aggiunge l'Iva del 20 per cento, cioè un altro centesimo».
Il Foglio
Il prezzo della benzina in Italia è fissato da un cartello di natura monopolistica. «E poiché si nota che quando il greggio sale, il prezzo alla distribuzione aumenta subito, mentre quando il greggio scende ciò avviene sporadicamente, non resta che pensare a un'intesa monopolistica (e, forse, non proprio lecita) fra le compagnie». Invece, questo non lo sapevamo: «Il solo rincaro che si potrebbe imputare al prezzo alla pompa è quello dell'aumento della tassa, attuato per finanziare il contratto del trasporto pubblico degli enti locali, pari a 5,6 centesimi il litro. Al quale si aggiunge l'Iva del 20 per cento, cioè un altro centesimo».
Il Foglio
Peccato. «Peccato per chi non c'era, per chi non ha capito, per chi non ha voluto capire, per chi si è astenuto».
La nemesi di Fassino e Rutelli: «Votare "sì" avrebbe significato separarsi per sempre dalla demagogia di Strada. Hanno pasticciato nel modo che si sa, e ora è Strada che si separa da loro: anche lui non tollera amici delinquenti».
Il Foglio
La nemesi di Fassino e Rutelli: «Votare "sì" avrebbe significato separarsi per sempre dalla demagogia di Strada. Hanno pasticciato nel modo che si sa, e ora è Strada che si separa da loro: anche lui non tollera amici delinquenti».
Il Foglio
Mosca ricorre ai rapimenti
Per ottenere la resa dei membri del governo indipendentista Maskhadov, Putin pronto a tutto: rapiti 30 membri della famiglia Khanbiev. Silenzio della stampa e in tv. Si muovono solo i Radicali. L'Europa reagisca, o non sarà più credibile.
RadioRadicale.it
Per ottenere la resa dei membri del governo indipendentista Maskhadov, Putin pronto a tutto: rapiti 30 membri della famiglia Khanbiev. Silenzio della stampa e in tv. Si muovono solo i Radicali. L'Europa reagisca, o non sarà più credibile.
RadioRadicale.it
Capezzone all'American Enterprise Institute
Qui la descrizione dell'evento e l'audiovideo. Qui il commento di Capezzone e Mecacci a Radio Radicale.
Capezzone presentava il progetto degli Stati Uniti d'Europa e d'America per un'Organizzazione mondiale delle democrazie. Quale ruolo per l'Onu? E' riformabile? E' realistica la creazione di un gruppo di Paesi democratici all'interno delle Nazioni Unite che agiscano di concerto per la diffusione della democrazia e i diritti umani? O è un progetto che è meglio portare avanti al di fuori dell'Onu?
Qui la descrizione dell'evento e l'audiovideo. Qui il commento di Capezzone e Mecacci a Radio Radicale.
Capezzone presentava il progetto degli Stati Uniti d'Europa e d'America per un'Organizzazione mondiale delle democrazie. Quale ruolo per l'Onu? E' riformabile? E' realistica la creazione di un gruppo di Paesi democratici all'interno delle Nazioni Unite che agiscano di concerto per la diffusione della democrazia e i diritti umani? O è un progetto che è meglio portare avanti al di fuori dell'Onu?
Tuesday, March 09, 2004
Il bollito sì, ma in salsa rossa
Al caro Giuliano Ferrara vorrei dire che il "bollito", servito con qualche tipo di salsa, verde o rossa, può senz'altro avere un gusto gradevole. A me non è mai piaciuto, ma questa possibilità esiste, qualcuno ne è attratto in modo inesorabile. Quando ieri sera in tv, da Socci, Achille Occhetto ha perso le staffe e ha gridato «noi pacifisti siamo antropologicamente e moralmente superiori a voi!». Non ha detto una banalità, ma, in un certo senso, una verità. Una verità inquietante. Da Bertinotti a Occhetto, passando per i leader dei movimenti, l'operazione che si sta tentando è puramente ideologica. Ritenere il pacifismo e i movimenti espressioni di un'"umanità nuova", depositaria della verità, ad un livello più evoluto di consapevolezza, moralmente superiore appunto, e propagandare questa tesi, aggregare militanti e sostenitori su questi presupposti, ci porta dritti alla ri-fondazione di un'ideologia di tipo messianico che prende le sembianze di un pericoloso mix di quelle del secolo scorso. La consapevolezza di essere «superiori» - moralmente, per razza, per nazione, o per classe - ha portato nel mondo infiniti lutti e chi ci ha creduto ha fatto in genere una gran brutta fine. Se esistono esseri umani superiori ed esseri umani inferiori, è in nome di questa differenza che tutti i peggiori crimini sono stati giustificati in passato e si possono ancora giustificare. All'orizzonte da questa prospettiva, nuove "soluzioni finali", il nostro olocausto.
Al caro Giuliano Ferrara vorrei dire che il "bollito", servito con qualche tipo di salsa, verde o rossa, può senz'altro avere un gusto gradevole. A me non è mai piaciuto, ma questa possibilità esiste, qualcuno ne è attratto in modo inesorabile. Quando ieri sera in tv, da Socci, Achille Occhetto ha perso le staffe e ha gridato «noi pacifisti siamo antropologicamente e moralmente superiori a voi!». Non ha detto una banalità, ma, in un certo senso, una verità. Una verità inquietante. Da Bertinotti a Occhetto, passando per i leader dei movimenti, l'operazione che si sta tentando è puramente ideologica. Ritenere il pacifismo e i movimenti espressioni di un'"umanità nuova", depositaria della verità, ad un livello più evoluto di consapevolezza, moralmente superiore appunto, e propagandare questa tesi, aggregare militanti e sostenitori su questi presupposti, ci porta dritti alla ri-fondazione di un'ideologia di tipo messianico che prende le sembianze di un pericoloso mix di quelle del secolo scorso. La consapevolezza di essere «superiori» - moralmente, per razza, per nazione, o per classe - ha portato nel mondo infiniti lutti e chi ci ha creduto ha fatto in genere una gran brutta fine. Se esistono esseri umani superiori ed esseri umani inferiori, è in nome di questa differenza che tutti i peggiori crimini sono stati giustificati in passato e si possono ancora giustificare. All'orizzonte da questa prospettiva, nuove "soluzioni finali", il nostro olocausto.
Evitare lo scisma d'Occidente
Un abstract del saggio di Robert Kagan per Foreign Affairs di marzo/aprile: America's Crisis of Legitimacy.
Un abstract del saggio di Robert Kagan per Foreign Affairs di marzo/aprile: America's Crisis of Legitimacy.
Il primo passo dell'Iraq
Quanta fatica, quanti dolori. Ma qualcuno sta facendo la storia, e qualcun altro, come dice Occhetto, è «antropologicamente e moralmente superiore». Settanta anni fa andò al potere qualcuno convinto di esserlo, causò infiniti lutti, ma andò a finire male.
Il testo della Costituzione provvisoria irachena.
Quanta fatica, quanti dolori. Ma qualcuno sta facendo la storia, e qualcun altro, come dice Occhetto, è «antropologicamente e moralmente superiore». Settanta anni fa andò al potere qualcuno convinto di esserlo, causò infiniti lutti, ma andò a finire male.
Il testo della Costituzione provvisoria irachena.
Saturday, March 06, 2004
L'Europa alla fine?
Dibattito all'American Enterprise Institute.
Per quanto mi riguarda mi chiedo se le centinaia di anni di grande storia e immensa cultura alle spalle del vecchio continente siano da considerare come un bagaglio di saggezza e una garanzia per un futuro da protagonisti, o piuttosto come una zavorra letale che ci trascina nella decadenza economica, culturale, istituzionale. La risposta, probabilmente, dipende dall'uso che sapremo fare di quelle centinaia di anni di grandezze. In Europa, molti intellettuali e politici, ma anche persone comuni, guardano dall'alto in basso "questi americani" - che ci piace imitare, ma non apprezzare - si fanno beffe della loro cultura, della loro politica, della loro storia, non prendono sul serio quel popolo fanciullo, ingenuo, irruento (noi saremmo i tutor), e ancora non viene accettata - o lo è con malcelato rancore - la perdita da parte dell'Europa di quel ruolo di leadership mondiale sul quale in pochi, già nella prima metà del secolo scorso, erano disposti a puntare. Siete proprio sicuri che sia così? Il nostro passato è un vantaggio su cui adagiarci e la loro giovane storia causa di una pericolosa immaturità, o piuttosto noi siamo incatenati ad una vecchia gloria che non tornerà più e loro protesi verso un futuro brillante, spinti dalla freschezza di una storia ancora da scrivere? Se il nostro fosse un capitolo già chiuso per la storia del mondo? Se a fare la storia adesso fossero gli americani, poi gli indiani e i cinesi? Forse noi abbiamo fatto il nostro tempo e adesso tocca a loro. Siamo così snob e provinciali qui in Europa da non aver dubbi e da ritenere fandonie queste riflessioni?
Dibattito all'American Enterprise Institute.
Per quanto mi riguarda mi chiedo se le centinaia di anni di grande storia e immensa cultura alle spalle del vecchio continente siano da considerare come un bagaglio di saggezza e una garanzia per un futuro da protagonisti, o piuttosto come una zavorra letale che ci trascina nella decadenza economica, culturale, istituzionale. La risposta, probabilmente, dipende dall'uso che sapremo fare di quelle centinaia di anni di grandezze. In Europa, molti intellettuali e politici, ma anche persone comuni, guardano dall'alto in basso "questi americani" - che ci piace imitare, ma non apprezzare - si fanno beffe della loro cultura, della loro politica, della loro storia, non prendono sul serio quel popolo fanciullo, ingenuo, irruento (noi saremmo i tutor), e ancora non viene accettata - o lo è con malcelato rancore - la perdita da parte dell'Europa di quel ruolo di leadership mondiale sul quale in pochi, già nella prima metà del secolo scorso, erano disposti a puntare. Siete proprio sicuri che sia così? Il nostro passato è un vantaggio su cui adagiarci e la loro giovane storia causa di una pericolosa immaturità, o piuttosto noi siamo incatenati ad una vecchia gloria che non tornerà più e loro protesi verso un futuro brillante, spinti dalla freschezza di una storia ancora da scrivere? Se il nostro fosse un capitolo già chiuso per la storia del mondo? Se a fare la storia adesso fossero gli americani, poi gli indiani e i cinesi? Forse noi abbiamo fatto il nostro tempo e adesso tocca a loro. Siamo così snob e provinciali qui in Europa da non aver dubbi e da ritenere fandonie queste riflessioni?
Friday, March 05, 2004
Powell, Soros, i neocon (e Pannella) esportano la democrazia dentro l'Onu
«A Ginevra, il prossimo 15 e 16 marzo, a latere della Commissione Onu sui diritti umani, si costituirà il "Gruppo democratico dentro l'Onu" con l'obiettivo di far assumere posizioni e iniziative comuni ai paesi democratici ogni qual volta l'Assemblea generale e gli altri enti dell'Onu si occuperanno di temi riguardanti la democrazia e i diritti civili e politici. (...) A sostegno dell'iniziativa dei paesi fondatori c'è un appello, che sarà reso pubblico a giorni, sottoscritto da personalità politiche e intellettuali di tutto il mondo, rivolto ai ministri degli Esteri di tutti i paesi democratici. L'obiettivo è quello di convincerli a impegnarsi seriamente su questo progetto, di farne uno strumento prioritario di politica estera. La prima firmataria è Madeleine Albright, ex segretario di Stato nell'Amministrazione Clinton, poi ci sono Emma Bonino, George Soros, i neocon Jeane Kirkpatrick, che è l'ex ambasciatrice reaganiana all'Onu, e Michael Ledeen dell'American Enterprise Institute. Poi, ancora, Kenneth Roth, il direttore di Human Rights Watch (...). Colin Powell, con una lettera ufficiale, ha fatto sapere che gli Stati Uniti "sostengono l'idea di un Gruppo democratico dentro l'Onu"». Leggi tutto
Il Foglio
«A Ginevra, il prossimo 15 e 16 marzo, a latere della Commissione Onu sui diritti umani, si costituirà il "Gruppo democratico dentro l'Onu" con l'obiettivo di far assumere posizioni e iniziative comuni ai paesi democratici ogni qual volta l'Assemblea generale e gli altri enti dell'Onu si occuperanno di temi riguardanti la democrazia e i diritti civili e politici. (...) A sostegno dell'iniziativa dei paesi fondatori c'è un appello, che sarà reso pubblico a giorni, sottoscritto da personalità politiche e intellettuali di tutto il mondo, rivolto ai ministri degli Esteri di tutti i paesi democratici. L'obiettivo è quello di convincerli a impegnarsi seriamente su questo progetto, di farne uno strumento prioritario di politica estera. La prima firmataria è Madeleine Albright, ex segretario di Stato nell'Amministrazione Clinton, poi ci sono Emma Bonino, George Soros, i neocon Jeane Kirkpatrick, che è l'ex ambasciatrice reaganiana all'Onu, e Michael Ledeen dell'American Enterprise Institute. Poi, ancora, Kenneth Roth, il direttore di Human Rights Watch (...). Colin Powell, con una lettera ufficiale, ha fatto sapere che gli Stati Uniti "sostengono l'idea di un Gruppo democratico dentro l'Onu"». Leggi tutto
Il Foglio
Stati canaglia. Questi brigatisti che si sono sottratti alla giustizia italiana fuggendo nella patria dell'uguaglianza giacobina non sono affatto pentiti, né "cambiati" solo per aver scritto qualche giallo di successo, stanno continuando la loro lotta ideologica. Oltralpe, così come in Italia, chi si batte per ottenere un'amnistia non si prefigge un atto di grazia o di riconciliazione, ma un risultato politico ben preciso: il riconoscimento della loro lotta di quegli anni come resistenza e rivoluzione antifascista. E la Francia? Evidentemente aspira ad entrare nel club degli Stati canaglia che sostengono i terroristi, con buona pace degli spazi giuridici comuni.
Teorie false e crimini veri
Di seguito Piero Ostellino sul Corriere di oggi:
Che gli intellettuali, i politici e i giornali francesi di sinistra, che si battono contro l'estradizione in Italia di Cesare Battisti, condannato da un nostro tribunale a due ergastoli per quattro omicidi, si battano per il diritto d'asilo, secondo tradizione e prassi della République terre d'asile , è comprensibile. Anche se discutibile sotto il profilo della ragionevolezza politica e contraddittorio e devastante da quello dello «spazio giuridico europeo» che si vorrebbe costruire e che dovrebbe uniformare gli ordinamenti giudiziari dei Paesi dell'Ue. Che ce lo vogliano spacciare per l'improbabile combattente di una «guerra civile» è, invece, moralmente, oltre che storicamente e politicamente, inaccettabile. La posizione degli intellettuali, dei politici e dei giornali francesi, così come quella di chi, Oltralpe e da noi, è favorevole a un’amnistia generale per i reati di terrorismo, si fonda su una tesi insostenibile sia dal punto di vista storico e politico sia da quello teorico, in punto di filosofia del diritto. Secondo questa tesi, anche lo Stato dovrebbe, infatti, riconoscere che gli anni di piombo - come sostengono i terroristi - sono stati una rivoluzione che ha avuto due protagonisti ugualmente legittimi, sia pure da concezioni filosofiche opposte: la Repubblica italiana e coloro i quali la combattevano armi in pugno. Ma la tesi non è storicamente, politicamente e moralmente sostenibile per una ragione molto semplice: perché l'Italia non era una dittatura, ma una democrazia. Con un Parlamento eletto dal popolo attraverso libere elezioni, un governo che rispondeva al Parlamento, un sistema giudiziario che ha processato i terroristi con tutte le garanzie legali previste dalla Costituzione. Cesare Battisti e gli altri affiliati a organizzazioni terroristiche fuggiti in Francia per sottrarsi alla giustizia dell'Italia democratica non sono equiparabili agli antifascisti che vi erano riparati per sfuggire alla repressione fascista. Né la tesi è sostenibile dal punto di vista teorico, in punto di filosofia del diritto, per ragioni più complesse, ma non meno importanti. Che attengono alla natura dello Stato come solo titolare del monopolio della violenza (legale), e che anche gli intellettuali, i politici e i giornali francesi di sinistra, eredi della Grande Révolution , dovrebbero ben conoscere. Se l'Italia riconoscesse che i terroristi erano dei rivoluzionari e gli anni di piombo sono stati una rivoluzione dovrebbe, infatti, riconoscere anche ciò che nessuno Stato può contemplare: che la rivoluzione sia un atto giuridicamente prevedibile e legittimo. Ma la rivoluzione non è un «fatto giuridico», cioè un diritto previsto e legittimato dallo stesso ordinamento che essa vuole sovvertire, bensì è un «fatto normativo», cioè un tentativo di sovvertire con la violenza l'ordinamento giuridico esistente per sostituirlo con un altro. Detto in parole povere: la rivoluzione è legittima per chi la fa; non lo è, non può esserlo per la contraddizione che non lo consente, per chi la subisce. In punto di filosofia del diritto, essa è, per lo Stato che la subisce - quale ne sia la sua natura, democratica o tirannica - un crimine. E, a maggior ragione, criminali sono quelli che la fanno contro uno Stato democratico. Che direbbero gli amici francesi se l'Italia rifiutasse di estradare un terrorista corso che, in nome dell'indipendenza della sua terra, si fosse macchiato degli stessi delitti comuni commessi dal Battisti? Siamo seri. Il ne faut pas exagérer, quand même. Comunque.
Corriere della Sera
Di seguito Piero Ostellino sul Corriere di oggi:
Che gli intellettuali, i politici e i giornali francesi di sinistra, che si battono contro l'estradizione in Italia di Cesare Battisti, condannato da un nostro tribunale a due ergastoli per quattro omicidi, si battano per il diritto d'asilo, secondo tradizione e prassi della République terre d'asile , è comprensibile. Anche se discutibile sotto il profilo della ragionevolezza politica e contraddittorio e devastante da quello dello «spazio giuridico europeo» che si vorrebbe costruire e che dovrebbe uniformare gli ordinamenti giudiziari dei Paesi dell'Ue. Che ce lo vogliano spacciare per l'improbabile combattente di una «guerra civile» è, invece, moralmente, oltre che storicamente e politicamente, inaccettabile. La posizione degli intellettuali, dei politici e dei giornali francesi, così come quella di chi, Oltralpe e da noi, è favorevole a un’amnistia generale per i reati di terrorismo, si fonda su una tesi insostenibile sia dal punto di vista storico e politico sia da quello teorico, in punto di filosofia del diritto. Secondo questa tesi, anche lo Stato dovrebbe, infatti, riconoscere che gli anni di piombo - come sostengono i terroristi - sono stati una rivoluzione che ha avuto due protagonisti ugualmente legittimi, sia pure da concezioni filosofiche opposte: la Repubblica italiana e coloro i quali la combattevano armi in pugno. Ma la tesi non è storicamente, politicamente e moralmente sostenibile per una ragione molto semplice: perché l'Italia non era una dittatura, ma una democrazia. Con un Parlamento eletto dal popolo attraverso libere elezioni, un governo che rispondeva al Parlamento, un sistema giudiziario che ha processato i terroristi con tutte le garanzie legali previste dalla Costituzione. Cesare Battisti e gli altri affiliati a organizzazioni terroristiche fuggiti in Francia per sottrarsi alla giustizia dell'Italia democratica non sono equiparabili agli antifascisti che vi erano riparati per sfuggire alla repressione fascista. Né la tesi è sostenibile dal punto di vista teorico, in punto di filosofia del diritto, per ragioni più complesse, ma non meno importanti. Che attengono alla natura dello Stato come solo titolare del monopolio della violenza (legale), e che anche gli intellettuali, i politici e i giornali francesi di sinistra, eredi della Grande Révolution , dovrebbero ben conoscere. Se l'Italia riconoscesse che i terroristi erano dei rivoluzionari e gli anni di piombo sono stati una rivoluzione dovrebbe, infatti, riconoscere anche ciò che nessuno Stato può contemplare: che la rivoluzione sia un atto giuridicamente prevedibile e legittimo. Ma la rivoluzione non è un «fatto giuridico», cioè un diritto previsto e legittimato dallo stesso ordinamento che essa vuole sovvertire, bensì è un «fatto normativo», cioè un tentativo di sovvertire con la violenza l'ordinamento giuridico esistente per sostituirlo con un altro. Detto in parole povere: la rivoluzione è legittima per chi la fa; non lo è, non può esserlo per la contraddizione che non lo consente, per chi la subisce. In punto di filosofia del diritto, essa è, per lo Stato che la subisce - quale ne sia la sua natura, democratica o tirannica - un crimine. E, a maggior ragione, criminali sono quelli che la fanno contro uno Stato democratico. Che direbbero gli amici francesi se l'Italia rifiutasse di estradare un terrorista corso che, in nome dell'indipendenza della sua terra, si fosse macchiato degli stessi delitti comuni commessi dal Battisti? Siamo seri. Il ne faut pas exagérer, quand même. Comunque.
Corriere della Sera
Thursday, March 04, 2004
L'asso nella manica di Bush. La «Greater Middle East Initiative»
Il presidente americano George W. Bush giocherà presto una nuova carta della sua dottrina, un asso che sembra preso dal mazzo neoconservatore, ma tradotto in linguaggio multilaterale. Ha tutto l'interesse ad aprire e liberalizzare le società dei Paesi arabi per garantire la sicurezza dell'America: società libere e istituzioni democratiche non dichiarano guerre, ma fanno affari. Fin qui la nuova dottrina si è avvalsa di una nuova concezione dell'uso della forza: non si fanno distinzioni tra terroristi e Stati che li sostengono, si interviene prima che la minaccia diventi imminente, l'obiettivo è il cambio di regime. Dopo le guerre in Afghanistan e in Iraq, è giunto il momento di far partire il secondo pilastro della dottrina Bush. Il presidente e il suo segretario di Stato Colin Powell si apprestano a lanciare la Greater Middle East Initiative, uno strumento soft e "attraente", con un approccio multilaterale (si parla di «partnership» e «cooperazione», non di «unilateralismo»), per diffondere i principi liberali e democratici.
... E qui cascheranno gli asini. Quanti saranno pronti a confrontarsi con Bush su questa via pacifica all'esportazione della democrazia, senza pregiudiziali e accettando un impegno assai oneroso? Vedremo finalmente a quanti Stati occidentali e movimenti politici stanno veramente a cuore democrazia, diritti e lotta al terrorismo. Il piano, che riguarda «tutti i Paesi del mondo arabo, più Pakistan, Afghanistan, Iran, Turchia e Israele», sarà presentato al G8 dell'8-10 giugno che si terrà a Savannah, in Georgia, e prevede di coinvolgere i Paesi del G8, europei e della Nato. Bush sembra voler ristabilire un dialogo interrotto con gli alleati, vecchi e nuovi, sia quelli pro che quelli contro la guerra in Iraq. E il recupero dell'approccio multilaterale è anche strumentale alla campagna per la rielezione: Kerry attaccherà di sicuro Bush sull'isolamento dell'America. «Promuovere la democrazia non significa imporre il modello americano», assicura Powell: «Potrà funzionare soltanto se le nazioni della regione scopriranno che è nei loro interessi muoversi in questa direzione». Offerta una possibilità importante ai leader arabi, dando risposte a quanti, da dentro lo stesso mondo arabo, chiedono aiuto e riforme.
Le prime reazioni internazionali
RadioRadicale.it
Il presidente americano George W. Bush giocherà presto una nuova carta della sua dottrina, un asso che sembra preso dal mazzo neoconservatore, ma tradotto in linguaggio multilaterale. Ha tutto l'interesse ad aprire e liberalizzare le società dei Paesi arabi per garantire la sicurezza dell'America: società libere e istituzioni democratiche non dichiarano guerre, ma fanno affari. Fin qui la nuova dottrina si è avvalsa di una nuova concezione dell'uso della forza: non si fanno distinzioni tra terroristi e Stati che li sostengono, si interviene prima che la minaccia diventi imminente, l'obiettivo è il cambio di regime. Dopo le guerre in Afghanistan e in Iraq, è giunto il momento di far partire il secondo pilastro della dottrina Bush. Il presidente e il suo segretario di Stato Colin Powell si apprestano a lanciare la Greater Middle East Initiative, uno strumento soft e "attraente", con un approccio multilaterale (si parla di «partnership» e «cooperazione», non di «unilateralismo»), per diffondere i principi liberali e democratici.
... E qui cascheranno gli asini. Quanti saranno pronti a confrontarsi con Bush su questa via pacifica all'esportazione della democrazia, senza pregiudiziali e accettando un impegno assai oneroso? Vedremo finalmente a quanti Stati occidentali e movimenti politici stanno veramente a cuore democrazia, diritti e lotta al terrorismo. Il piano, che riguarda «tutti i Paesi del mondo arabo, più Pakistan, Afghanistan, Iran, Turchia e Israele», sarà presentato al G8 dell'8-10 giugno che si terrà a Savannah, in Georgia, e prevede di coinvolgere i Paesi del G8, europei e della Nato. Bush sembra voler ristabilire un dialogo interrotto con gli alleati, vecchi e nuovi, sia quelli pro che quelli contro la guerra in Iraq. E il recupero dell'approccio multilaterale è anche strumentale alla campagna per la rielezione: Kerry attaccherà di sicuro Bush sull'isolamento dell'America. «Promuovere la democrazia non significa imporre il modello americano», assicura Powell: «Potrà funzionare soltanto se le nazioni della regione scopriranno che è nei loro interessi muoversi in questa direzione». Offerta una possibilità importante ai leader arabi, dando risposte a quanti, da dentro lo stesso mondo arabo, chiedono aiuto e riforme.
Le prime reazioni internazionali
RadioRadicale.it
Wednesday, March 03, 2004
John F. Kerry sfiderà Bush
Ma i candidati anti-Bush sembrano essere due: "Dottor Kerry e Mister Kerry".
Ma i candidati anti-Bush sembrano essere due: "Dottor Kerry e Mister Kerry".
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