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Thursday, January 03, 2008

La "moratoria" che non è chiaro dove vada a parare

Per il momento la moratoria sugli aborti proposta da Giuliano Ferrara ha prodotto uno stucchevole e scontatissimo dibattito sulla legge 194. Nonostante su Il Foglio non manchino attacchi alla 194, Ferrara ha precisato in più sedi e occasioni che non è sua «intenzione cambiare la legge 194», che «non c'entra niente con la moratoria sull'aborto», che «non è una questione solo italiana». Insomma, «non è un attacco alla 194».

Ok, allora confessiamo che ci sfugge a cosa miri questa sua iniziativa: cioè, quale sia la proposta concreta, cosa significhi esattamente «incentivare politiche contrarie al fatto dell'aborto».

L'iniziativa di Ferrara rischia di risultare ancor più vaporosa ed eterea di quella per la moratoria Onu sulla pena di morte, a cui anche esplicitamente si richiama. In quel caso l'obiettivo, seppure il mezzo fosse palesemente inadeguato, era la sospensione delle esecuzioni in tutto il mondo. Quale possa essere l'obiettivo di una «moratoria sugli aborti», se non la sospensione disposta dai governi della pratica dell'aborto, stentiamo a comprenderlo. Oppure, dalla moratoria stiamo forse sconfinando nella semplice opera di sensibilizzazione sul dramma dell'aborto? Si accontenterebbe, Ferrara, di qualche commossa dichiarazione in questo senso?

Va chiarito il campo di interesse. Perché se fosse l'Italia, allora i dati dimostrano che poche leggi hanno funzionato come la 194, che nonostante le sue ipocrisie fa parte di quelle «politiche contrarie al fatto dell'aborto». Si potrebbe quasi sostenere che lo spirito della «moratoria» lanciata oggi sia stato raccolto già trent'anni fa: non l'utopistica e irresponsabile abolizione per divieto, ma tramite regolamentazione una progressiva limitazione del fenomeno tendente alla sospensione. E allora sì, potremmo obiettare che le priorità del Paese sono altre, rispetto a una questione certamente delicata che però una legge sta tutto sommato affrontando con effetti positivi.

Se invece si sta parlando dell'«aborto di massa, che ha raggiunto e superato la cifra del miliardo» in tutto il mondo, «via via caratterizzato come aborto selettivo, come pianificazione familiare a sfondo eugenetico, razzista e sessista», e dei «milioni di bambine, solo in Asia», mai nate, allora si sta parlando di una questione che non riguarda una scelta libera, consapevole e responsabile, che in una democrazia liberale viene assicurata agli individui, ma di politiche totalitarie che esulano dalla questione dell'aborto e riguardano lo sviluppo e la diffusione della democrazia in altri paesi, anche immensi come la Cina.

Come abbiamo incluso la pena di morte essenzialmente nel più vasto problema della dittatura, così la «pianificazione familiare» non lasciata alla libertà degli individui, ma imposta dagli stati (sia nella variante del controllo demografico che in quella delle campagne nataliste), fa parte anch'essa di quel dossier.

Quella di Ferrara è solo «la proposta di un grande e libero consulto su questi temi»? «Soprattutto, la moratoria chiede di prendere in considerazione la grande questione di fondo, che pertiene al diritto (civile) alla vita contro il diritto statualizzato di dare la morte, senza la riduzione ipocrita che ciò possa valere solo per la pena capitale». Ma c'è una differenza tra l'aborto cui si è costretti a ricorrere per non infrangere leggi imposte da un regime e l'aborto cui una donna decide drammaticamente, ma consapevolmente e responsabilmente, di ricorrere, entro certi limiti, per tutelare se stessa, il proprio corpo, la propria salute, la propria vita.

Per esempio, in questo secondo caso non si potrebbe mai pronunciare il termine «eugenetica», che non solo presuppone un fortissimo elemento coercitivo dello Stato, ma anche la conoscenza dell'intera mappatura genetica umana, l'individuazione precisa del gene che si vuole estirpare e l'eliminazione fisica anche dei portatori sani.

Sentire parlare dell'aborto come di un «diritto umano» fa parte di una certa deteriore cultura progressista ed estensiva dei diritti umani che nuoce al senso stesso dei diritti umani nella concezione liberale. La facoltà regolamentata di ricorrere all'aborto rientra nel diritto che ciascuno di noi ha di disporre di sé, del proprio corpo, della propria salute, della propria morale. Secondo una concezione liberale del diritto, precondizione per esercitare diritti (e doveri) è esistere come individui. Mai la libertà di un cittadino può essere compressa fino a procurargli danno nel nome di una sacralità astratta (sia pure della "vita"), che non corrisponda alla libertà di un altro individuo. Ed è il carattere di individualità che manca al nascituro finché dipende dall'utero materno.

Proprio in quest'ottica si può discutere se abbassare da 24 a 22 settimane il limite temporale entro cui l'aborto terapeutico può essere effettuato, recependo i progressi della medicina neonatale, ormai in grado di far nascere un feto di sei mesi. «C'è in effetti più di un rischio nel praticare l'aborto dopo la ventiduesima settimana di gestazione. Il bimbo può sopravvivere e c'è l'obbligo medico di rianimarlo nonostante ci sia la probabilità di malformazioni permanenti». Parole di Umberto Veronesi. Bisognerebbe però tenere anche presente che molte delle patologie del feto che possono autorizzare un aborto terapeutico sono ancora rivelabili solo attraverso esami clinici a gravidanza molto inoltrata; e che il problema degli aborti tardivi riguarda una ridottissima minoranza. A utilizzare l'aborto terapeutico in Italia è il 2,7% delle donne che ricorrono all'interruzione volontaria della gravidanza, che nella stragrande maggioranza (97,3%) è effettuata entro i primi 90 giorni di gestazione (12/13 settimane).

Quando si vuole affrontare un problema politicamente, e non moralmente, le cifre contano, eccome. Dal punto di vista morale anche un solo aborto è un dramma. Dal punto di vista politico, una legge che ha ridotto drasticamente la frequenza di questo dramma è una legge che funziona. Che potrebbe funzionare meglio, certo. Che potrebbe sicuramente recepire i passi avanti della medicina e considerare nuovi fenomeni sociali. Ma che nel suo principio base, quello della legalizzazione e della responsabilizzazione della donna, funziona.

Tra le donne italiane il ricorso all'aborto è crollato del 60% rispetto al 1982. I dati del 2006, con un totale di 130.033 aborti, mostrano un ulteriore calo del 2,1% rispetto al 2005 (132.790 casi). A indicare un nuovo fenomeno, invece, la crescita della percentuale di donne straniere (29,6% del totale), dovuta probabilmente a ignoranza e disagi socio-economici. Un bilancio confermato da un'esperta dell'Istituto Superiore di Sanità, Angela Spinelli: dai 235.000 aborti l'anno nel 1982 ai 130.000 del 2006. Per quanto riguarda gli aborti clandestini, dai 350.000 casi l'anno prima della legge ai 100.000 del 1983 fino ai 20.000 del 2006. «Grazie a questa legge siamo riusciti ad evitare, in circa un trentennio, 3.300.000 aborti, di cui 1.000.000 clandestini», a seguito dei quali prima della legge morivano circa 10 donne l'anno. Quindi, «potenzialmente sono state salvate oltre 300 donne».

Se bandire moralmente e culturalmente l'aborto, come sembra chiedere Ferrara, servisse a porre i presupposti per metterlo anche fuorilegge, sarebbe un'iniziativa sbagliata, da respingere perché controproducente; se fosse solo un'istanza di principio, sarebbe anche "nobile", ma velleitaria almeno quanto la moratoria sulla pena di morte approvata di recente all'Assemblea generale dell'Onu.

1 comment:

Anonymous said...

Caro JimMomo,

credo che l'iniziativa di Ferrara punti a sottolineare il fatto che all'aborto ricorrono anche donne (e coppie) che non desiderano un figlio "ora" od un figlio "così". Si tratta insomma di aborti dove i potenziali genitori potrebbero benissimo allevare un figlio, ma scelgono di non farlo per interessi personali (carriera, indipendenza, et cetera).
E credo che Ferrara speri che la società sappia condannare queste scelte.
La legge 194 non è stata scritta per regolare le nascite, ma per mettere fine al dramma degli aborti clandestini. Tutto qui.

Cordiali saluti e felice anno nuovo