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Thursday, October 02, 2008

Benvenuti a "Moral Hazard"

Il dibattito sulle responsabilità della crisi e sul piano di salvataggio continua sulle pagine degli editoriali del Wall Street Journal. «Abitiamo tutti a Moral Hazard», che «sembra il nome di una città fantasma in un film western di Clint Eastwood», scrive oggi Daniel Henninger. E' accaduto che in tutto il paese è stato fatto ricorso in modo massiccio a mutui senza o con poco anticipo, sostenuti dai bassi tassi d'interesse della Federal Reserve.
«Wall Street ha affettato i mutui più sottili di fette di prosciutto, estendendone il rischio, e ha venduto i pezzi in tutto il mondo, dove, magicamente, sembravano arricchire i bilanci».
Dietro tutto questo, Fannie Mae e Freddie Mac, di cui abbiamo parlato nel post di ieri:
«Diversi anni fa, quando il board degli editoriali del WSJ incontrò i vertici di Fannie Mae e li incalzò sul tema dei rischi finanziari, ci fu detto che dopo tutto Fannie stava soltanto adempiendo al "mandato del Congresso" di diffondere la proprietà immobiliare. Il Congresso, naturalmente, è il tempio del moral hazard».
Ridurre troppo la componente del rischio negli affari, o meglio la sua percezione, porta gli operatori a fare cattive scelte. In contesti privi di rischio aumentano le «inefficienze economiche».

Ma di fronte alla più grande crisi finanziaria dai tempi della Depressione, si chiede Henninger, «non abbiamo finalmente incontrato il nemico, accorgendoci che noi stessi siamo il nemico?». E di fronte all'«alto prezzo pagato per aver ignorato il rischio evidente sottostante la crisi dei mutui, siamo arrabbiati per cattive decisioni che non devono mai più ripetersi, oppure semplicemente siamo sconvolti dal fatto che tutto sia esploso? Perché in questo secondo caso, i politici tenteranno di giocare di nuovo questo sistema per prendersi vantaggi senza rischi», avverte Henninger. «L'attuale incubo dei mutui è stato aggravato soprattutto dall'insistenza del Congresso nell'accrescere la proprietà immobiliare riducendo i suoi rischi». La lettura del passato dovrebbe insegnare qualcosa nel presente di questa campagna presidenziale.
«Le proposte centrali di Obama sull'assicurazione sanitaria, sulla politica commerciale e sui crediti fiscali, cercano tutte di ridurre una serie di rischi economici. Le idee di McCain sulla salute, l'educazione e il codice fiscale, invece, sono orientate alla "libertà di scelta", o a lasciare che siano gli individui a valutare i rischi economici da prendersi».
In questo le visioni e i programmi dei due candidati alla Casa Bianca sono davvero antitetici. Peccato che McCain si stia facendo stritolare da questa crisi e non sia in grado di assumere una iniziativa forte, spiegando agli americani, in maggior parte contrari al piano Paulson, che con lui non rischierebbero questo genere di crisi, la cui gravità è determinata non dalla deregulation ma dall'invasività di politiche pubbliche manipolate da interessi privati. Purtroppo, invece, sembra invischiato nelle trattative a Washington per far passare il piano. D'altra parte, Obama non ha alcuna difficoltà ad appiattirsi sul piano di salvataggio, visto che rientra perfettamente nella logica interventista del suo programma. La Heritage Foundation ha calcolato che il "bailout" da 700 miliardi è niente in confronto al costo dei piani di previdenza sociale e assistenza sanitaria promossi dai democratici: 41mila miliardi, pari a 60 piani Paulson.

In un altro editoriale del Wall Street Journal di oggi viene citato addirittura Alexander Hamilton per sostenere il piano di salvataggio del Tesoro Usa e leggiamo:
«Ci viene detto che questo è un salvataggio per Wall Street. Ma se gli americani sono onesti con se stessi, ammetteranno che le banche non sono l'unica causa della nostra difficile situazione attuale. Gli Stati Uniti stanno vivendo le conseguenze di una tipica "credit mania", di cui tutti abbiamo goduto finché è durata. Non ricordiamo molte proteste mentre il valore delle case stava crescendo del 15% l'anno, o mentre i tassi d'interesse rimanevano fermi all'1%...»
Il punto, sottolinea il WSJ, «non è assolvere Wall Street o Washington», ma impedire che la crisi si estenda provocando danni ancora maggiori. «In questo senso, stiamo salvando noi stessi» con il piano Paulson.

Non tutti i deputati repubblicani che l'altro giorno hanno votato contro il piano sono «eroi» di coerenza. «Alcune delle voci più rumorose che oggi invocano "mercati liberi" denunciando il piano Paulson si sono opposte a una stretta creditizia». Il WSJ si riferisce a quando alla Camera si discusse dei bilanci di Fannie e Freddie e di come limitare i loro portafogli - una storia che abbiamo rievocato nel post di ieri - e riporta degli stralci dagli interventi di alcuni deputati repubblicani che all'epoca «si opposero furiosamente ad ogni tentativo di rendere Fannie e Freddie meno pericolose».

L'amministrazione Bush, ricorda il quotidiano, è stata «dalla parte giusta in questo dibattito per 8 anni», così come l'ultimo Tesoro di Clinton. «E ora, avendo contribuito così tanto a questo caos, molti degli stessi deputati che protessero Fannie e Freddie stanno denunciando il salvataggio come un favore a Wall Street. I veri eroi della Camera - conclude il WSJ - sono i deputati che tentarono di riformare Fannie quando era impopolare e ora stanno tentando di difendere il sistema finanziario quando questo anche è difficile».

Tuttavia, seppure non tutti i deputati repubblicani che hanno votato contro il "bailout" siano degli eroi di coerenza liberista, tra di essi ci sono anche quei libertari come Ron Paul, cui di certo non possono essere contestate certe contraddizioni.

Le loro posizioni erano riportate ieri da L'Opinione: «Proponendo la stessa politica, e in dosi maggiori, non faremo altro che intensificare la distorsione della nostra economia (tutte le cattive allocazioni di capitali e tutti i cattivi investimenti) e ritardare il tentativo del mercato di ristabilire un prezzo razionale delle case e degli altri patrimoni», avverte Ron Paul. Lew Rockwell, del Mises Institute, spiega che «i cattivi debiti non possono diventare buoni per volontà di una legge. Questo vuol dire che saranno necessari sempre più soldi e che i cittadini della classe media saranno sempre più vampirizzati da uno Stato predatore negli anni a venire». «Cercare di fermare la caduta dei prezzi ha senso quanto pretendere di cambiare la legge di gravità», ammonisce Bob Barr:
«Il crack finanziario non è dovuto alla presunta "crisi del capitalismo", ma è il risultato di folli politiche pubbliche, manipolate da interessi privati, come sempre avviene a Washington. Dando a Washington più potere non avremo la soluzione (...) Tenendo in vita un morto che cammina non faremo altro che rallentare i necessari aggiustamenti del mercato».
Lucida l'analisi di Ron Paul:
«Abbiamo un problema che ha cause ben precise. Abbiamo speso troppo, ci siamo indebitati troppo, abbiamo troppo inflazionato la nostra moneta, ora siamo in crisi e il mercato ci sta dicendo che dobbiamo correggere tutti questi errori. La gente deve liquidare i cattivi debiti e far piazza pulita degli investimenti sbagliati. Ma quello che il governo cerca di fare adesso è di rendere permanenti tutti questi errori».
Riemerge dal campo libertario la proposta di tornare al gold standard, che dovrebbe interessare tutti quelli che diffidano della finanza virtuale non agganciata a beni reali:
«Dobbiamo porre fine al sistema che stampa moneta campata in aria. Deve essere respinta la legge che limita la circolazione di moneta a base aurea e argentea. Non possiamo avere una moneta che dipende dalle vuote promesse dei burocrati».

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