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Monday, October 27, 2008

Domande scomode

Quelle poste, oggi sul Corriere, da Pierluigi Battista:
«Ma se una frazione cospicua della classe dirigente, pur predicando l'intangibilità della scuola pubblica così com'è, spedisce i propri figli nelle scuole private, è solo un deplorevole pettegolezzo sottolinearne la plateale incoerenza?
(...)
non è ingiusta questa sottile, non detta, mai confessata deriva classista mentre si finge di non vedere che una scuola pubblica dove il merito non conta niente è una scuola che conserva sì la sua titolarità pubblica ma ha smarrito il significato della sua natura democratica?
(...)
Rinserrati nelle loro auree nicchie d'eccellenza, i genitori che bocciano con furore ogni parvenza di riforma della scuola pubblica ma proteggono i loro figli dalla sorte di frustrazione e di insignificanza cui sono condannati tutti gli altri, pensano davvero che prima o poi nessuno chiederà il conto di un così cinico doppio standard?
(...)
E se loro se ne vanno nelle isole beate dell'"eccellenza", che titolo hanno più per parlare, e per difendere l'indifendibile, senza nemmeno un po' di convinzione?»
Il punto non è fidarsi ad occhi chiusi dei provvedimenti della Gelmini, ma eventualmente saper criticare per il verso giusto, chiedendo cioè più tagli, riforme più coraggiose nel senso del merito e della concorrenza.

Prendiamo, ad esempio, il blocco del turn over. E' una misura criticabile, non perché gli organici non debbano essere ridotti, ma perché tende ad aumentare l'età media del corpo docenti, ponendo una iniqua barriera all'ingresso nella professione di migliaia di insegnanti più giovani e preparati e peggiorando quindi il servizio offerto agli studenti. Sarebbe preferibile che lo stato si comporti da stato, e che riducesse gli organici in eccesso prendendosi la responsabilità di licenziare gli insegnanti meno produttivi.

Leggo i rapporti dell'Ocse da anni, e a leggerli bene, con onestà intellettuale, non si può che concludere che la ricetta per risolvere i mali della scuola e dell'università italiane è quella del mercato e della concorrenza. Basta con i soldi a pioggia dallo stato; assegnare i fondi a seconda dei risultati, scientifici e didattici, e della capacità degli istituti di attrarre capitale privato; meno insegnanti ma pagati meglio; meno iscritti all'università ma più laureati.

Tutti vorremmo che lo stato investisse di più nell'istruzione a tutti i livelli e nella ricerca, ma con il sistema e gli incentivi attuali vorrebbe dire gettare i soldi dalla finestra. Se una domestica torna dalla spesa con pacchi di patatine e caramelle, e si giustifica dicendo che non le sono bastati i soldi per comprare anche pasta, carne e verdure, la volta successiva non le dai più soldi, la licenzi!

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