Mousavi ha confermato la sua presenza alla preghiera del venerdì all'università di Teheran, che sarà condotta, per la prima volta dalle contestate presidenziali, da Rafsanjani, l'ex presidente che molto si è dato da fare dietro le quinte per portare il clero di Qom su posizioni ostili alla coppia Khamenei-Ahmadinejad. Il suo sermone di domani dovrebbe sancire però il definitivo compromesso, o per lo meno una tregua duratura, tra le due fazioni del regime. Ai segnali di cui parlavamo due giorni fa, si aggiungono oggi i retroscena - non saprei dire quanto attendibili - di alcuni media arabi di proprietà saudita. Secondo fonti iraniane "ufficiali" citate dal quotidiano al Sharq al Awsat e dalla tv satellitare al Arabiya, subito dopo la preghiera sarebbe stato autorizzato un corteo guidato da Rafsanjani, Mousavi e dall'ex presidente Khatami.
Mi sembra ipotesi al quanto improbabile, ma secondo le stesse fonti suggellerebbe il compromesso che si sta profilando a Teheran: verrebbe autorizzata la formazione di un largo "Fronte d'opposizione moderata" guidato dal candidato sconfitto, Mousavi, e sostenuto dai due ex presidenti, Rafsanjani e Khatami, «in modo da garantire un ombrello politico [leale al regime, n.d.r.] per tutte le forme di dissenso». In cambio, il Fronte dovrebbe riconoscere «la legittimità del governo di Ahamdinejad». Su sollecitazione degli ayatollah di Qom verrebbero inoltre rilasciate «tutte le persone arrestate» durante gli scontri e verrebbe aperta «un'indagine su larga scala per punire i responsabili della repressione» - cose ancor più improbabili. Anzi, secondo una fonte "governativa" citata sempre da al Sharq al Awsat, sarà lo stesso Rafsanjani nel suo sermone a chiedere di «punire i responsabili delle repressioni avvenute durante le manifestazioni di protesta e di aprire una inchiesta su larga scala» e a insistere perché «non si ripeta mai più la brutalità» contro i manifestanti.
Il fratello di Rafsanjani, Mohammed Hashimi, citato dal quotidiano arabo, avrebbe spiegato che «le condizioni politiche e sociali per la formazione di un Fronte sono ormai mature perché coloro che hanno votato per Mousavi rappresentano una forza enorme» tra «le elite universitarie e gli studenti». Il quotidiano conservatore Sarmaya, citato dalla tv al Arabiya, scrive che «se Mousavi riconosce la legittimità del governo e chiede l'autorizzazione per formare un suo partito, sarà un passo positivo che accoglieremo». Staremo a vedere.
Intanto, da Washington giunge una conferma della linea dell'amministrazione Obama (condanna della repressione, ma mano tesa a Teheran), anche se il trascorrere del tempo senza risposte sembra rendere più ultimativi i toni dell'offerta da parte americana. Ieri, parlando al Council on Foreign Relations, Hillary Clinton ha ammonito l'Iran e gli altri avversari degli Stati Uniti di «non interpretate la volontà americana di dialogare come un segno di debolezza». E se il segretario di Stato ha sentito l'esigenza di chiarirlo esplicitamente, vuol dire che il rischio concreto che le aperture vengano intepretate come debolezza esiste davvero. Dopo aver definito «inaccettabile» la repressione, la Clinton ha spiegato anche che la scelta che ha di fronte l'Iran «è chiara»: «Noi rimaniamo pronti a negoziare con l'Iran, ma il momento di agire è questo». Negli ultimi tempi l'amministrazione Obama sta enfatizzando sempre di più il fatto che «l'opportunità non rimarrà aperta all'infinito».
La Clinton ha anche voluto chiarire che pur avendo scelto di aprire un momento della diplomazia, l'amministrazione rimane pronta a usare la forza: «Non esiteremo a difendere i nostri amici e noi stessi vigorosamente quando necessario, con l'esercito più forte del mondo. Non è un'opzione che cerchiamo, né una minaccia, ma una promessa al popolo americano». Un altro messaggio all'indirizzo di Teheran.
«A parte il fatto che con questo regime non ci si può fidare di negoziare nulla - commenta oggi il Wall Street Journal - più immediatamente evidente è che milioni di iraniani si rifiutano di accettare i "leader" della "Repubblica islamica" (parole della Clinton) che l'amministrazione così ansiosamente mira a coinvolgere... Perché Washington ha fretta di conferire il riconoscimento americano e internazionale a un regime che non gode della legittimazione del suo stesso popolo?». Anche il WSJ volge «occhi e orecchie» al sermone di venerdì: Rafsanjani «si opporrà apertamente al regime, o cercherà di porre fine alla faida interna?». Penso che ormai rimangano pochi dubbi: la seconda.
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