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Tuesday, July 28, 2009

Riforma sanitaria trappola politica per Obama

Il problema politico è che molti americani vogliono la copertura sanitaria universale, ma quando un concreto progetto di riforma si avvicina all'esame del Congresso, una parte importante di coloro che la vogliono (e che magari per averla hanno eletto un presidente democratico di colore) si spaventano dei costi. Non sanno più di cosa avere più paura, se di non avere in alcuni momenti della loro vita una copertura sanitaria, o delle tasse che dovranno sborsare per pagarla a tutti. Così si ha il paradosso che il presidente eletto per fare una riforma sanitaria che garantisca una copertura universale perde consensi nei sondaggi proprio quando si appresta a presentarla al Congresso.

Il suo partito, che deve votarla, si spaventa, perché dopo un anno ci sono le elezioni di medio termine e rischia di perdere la maggioranza al Congresso. Per un verso, quindi, Obama rischia sia di non riuscire a far passare la sua riforma al Congresso, sia di causare in ogni caso una sconfitta per il suo partito alle elezioni di medio termine del 2010, come accadde già a Clinton prima di lui. Per un altro verso, l'approvazione della sua riforma rischia di dare «il colpo di grazia», come osserva Alberto Alesina, oggi sul Sole 24 Ore, alla finanza pubblica americana, «già sotto enorme stress a causa della crisi».
Che il sistema sanitario americano vada riformato non c'è dubbio. I costi della sanità sono altissimi e circa 45 milioni di americani non sono assicurati. Chi sono? Non sono i più poveri, i quali sono protetti da un sistema pubblico che si chiama Medicaid. Non sono gli anziani, ricchi o poveri che siano, che sono ben protetti (perfino troppo, perché sono un gruppo di elettori cruciali) da un altro sistema pubblico, Medicare, una vera emorragia di risorse. I non assicurati sono coloro che non sono abbastanza anziani per Medicare, non sono abbastanza poveri per Medicaid, e lavorano in imprese che non offrono l'assicurazione sanitaria e scelgono di non assicurarsi da soli, dati i costi. Le imprese che non offrono l'assicurazione sanitaria sono in genere quelle piccole. E poi vi sono i lavoratori autonomi. Particolarmente problematico diventa quindi perdere il posto di lavoro perché in molti casi con esso se ne va l'assicurazione sanitaria.
Le possibili soluzioni sono di due tipi, indica Alesina. Una è quella adottata dal Massachusetts, di «lasciare i cardini del sistema immutati ma di dare sussidi a quella parte dei 45 milioni di americani che non si può permettere l'assicurazione sanitaria privata, rendendola invece obbligatoria». Copertura sanitaria fornita ancora dalle assicurazioni private, quindi, ma obbligatoria. Un po' come da noi l'Rc auto. Il secondo tipo di riforma è quello di «passare essenzialmente a un sistema di assicurazione pubblica stile europeo ed è quello che propone Obama».

Sarebbe un disastro. Causerebbe il fallimento di molte società di assicurazione privata, che non potrebbero competere con quella pubblica, e comporterebbe costi enormi per lo Stato, anche se Obama naturalmente sostiene che il suo piano farebbe risparmiare. Ma passare a un sistema sanitario stile europeo comporta anche altri svantaggi, oltre ai costi per lo Stato: minore qualità ed efficienza del servizio, e minore accessibilità alle cure (tempi di attesa estremamente lunghi). Obama insomma vuole rovinare il sistema sanitario che "produce" i Dottor House.

Alesina riferisce che Doug Elmendorf, nuovo giovane direttore del Congressional Budget Office, un organo indipendente e bipartisan, «ha testimoniato al Congresso che secondo lui non vi sarebbero risparmi con il piano Obama, anzi i costi per lo Stato si moltiplicherebbero». Elmendorf, spiega Alesina, è tra l'altro «ex collaboratore di Larry Summers, il consigliere economico di Obama, ed è di simpatie democratiche, quindi non è affatto un "nemico giurato" dell'amministrazione, anzi». Anche in base alle ipotesi più ottimistiche, il deficit americano potrebbe essere ancora del 7% del Pil nel 2020. Per finanziare la sua riforma Obama vorrebbe alzare le tasse ai più abbienti, ma rischiando di ostacolare la ripresa. Il Partito democratico è comprensibilmente scettico e preferirebbe un approccio più realistico, del primo tipo. Invece Obama spinge a testa bassa per l'approvazione in tempi brevi.
«Obama fa benissimo - conclude Alesina - a cogliere il momento della crisi per sfruttare energie politiche che potrebbero sostenere riforme importanti, una lezione che il nostro governo dovrebbe recepire. Ma il presidente americano sbaglia a buttarsi a testa bassa cocciutamente su una riforma che parte con il piede sbagliato. E infatti sta scontrandosi con una forte opposizione anche all'interno del suo partito».
Contrarissimi ai piani di Obama per la sanità i liberisti del Cato Institute.

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