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Friday, July 10, 2009

Ingerire in nome della stabilità

Mi sembra che sia stato poco sottolineato il fatto che in due anni il governo cinese ha dovuto far fronte a due rivolte delle minoranze etniche che rappresentano gran parte della popolazione in due province enormi e ricche di risorse come il Tibet e lo Xinjiang. E ha dovuto far ricorso a repressioni sanguinose come non se ne erano viste da vent'anni, da Piazza Tienanmen. Se si considera la crescita delle proteste che non fanno notizia, quelle contro la corruzione e gli abusi delle autorità o quelle dei lavoratori per le loro condizioni (secondo un rapporto governativo 100mila l'anno, rispetto alle 80mila di tre anni fa - ogni 4 minuti una protesta di oltre 100 persone), bisogna concludere che la crescita della Cina sia tutt'altro che "armoniosa" e che anzi l'instabilità interna stia aumentando pericolosamente, per la Cina ma anche - per gli stessi motivi per cui è ritenuta ormai interlocutore irrinunciabile su tutti i temi globali - per la stabilità economica e politica del resto del mondo. C'è n'è abbastanza per preoccuparsi e per "ingerire" un po' negli affari interni cinesi? Le dimensioni del PIL e la percentuale della sua crescita sono davvero gli unici parametri che rendono la Cina indispensabile per la governance globale, o non dovrebbe contare anche (non dico la democrazia, roba da neocon ormai) la stabilità interna? Si è parlato di escludere l'Italia dal G8 per un premier che si gode la vita, ma nessuno mette in dubbio i titoli della Cina di far parte di un G14 nonostante sia sempre più evidente che è seduta su una polveriera. Il rientro frettoloso del presidente Hu Jintao non è solo un colpo all'immagine e alla credibilità dell'ideale di "società armoniosa", ma essendo "la prima volta nella storia della Repubblica popolare che un presidente abbandona un appuntamento ufficiale per rientrare in patria", come ha ricordato Il Foglio, è la prova che la crescente instabilità preoccupa come mai prima i vertici cinesi, anche se a quanto pare non i governi occidentali. La mancanza di democrazia e le politiche repressive sono sempre state giustificate dalla leadership cinese con l'esigenza di mantenere la stabilità, ma nonostante l'avanzato stato di "sinizzazione" e la politica di investimenti nello Xinjiang e in Tibet, ora proprio quelle politiche si rivelano causa di instabilità. E' una conferma - per i molti che sembrano ancora averne bisogno - che la democrazia è l'unica via per una "società armoniosa" e per la stabilità. Questo chi dovrebbe farlo capire ai cinesi?

UPDATE: Splendido post di 1972. Anche Enzo si sofferma sulla «periferia dell'impero» e sente puzza di ex Jugoslavia:
Si può leggere in tanti modi la storia del XX secolo, ed uno di essi è certamente l'emergenza di forze centrifughe all'interno di strutture statali ortopedicamente assemblate. La lotta degli imperi comunisti centralizzati contro le tendenze disgregatrici si è svolta sempre attraverso i classici strumenti dello spostamento di popolazioni (colonizzazione dei territori periferici), della propaganda nazionalista e della repressione violenta. Ciascuno di questi tre elementi è presente nel caso uiguro.
La Cina «che pretende di essere una grande potenza internazionale» in realtà non ha le carte in regola. L'instabilità dovuta ai conflitti etnici e sociali è in pericolosa crescita e per ora non irradia alcun modello coerente che possa competere con quello liberaldemocratica, né alcuna attraente way of life: «Ethnic conflict is perhaps the most intractable problem, even for democracies. For one-party states, it is almost insoluble».

3 comments:

Anonymous said...

Se posso, una critica.
La Cina è il più grande acquirente di buoni del tesoro americani in un periodo in cui gli Usa hanno disperatamente bisogno di puntellare il loro debito, inoltre è uno dei più grandi mercati del mondo e quello che cresce più in fretta. Non credo che vedremo "ingerenze" di alcun tipo della comunità internazionale.
In ogni caso gli Han sono il 90% della popolazione. Non credo che esista una possibilità jougoslava.
Potrebbero ritrovarsi con un problema "ceceno" è vero ma non credo avrebbero problemi a soffocare nel sangue un eventuale serie di rivolte centrifughe.

Carlo

JimMomo said...

Non mi risulta che siano il 90%. Secondo dati citati dal Cfr.org i cinesi di etnia Han oggi rappresentano il 40% della popolazione, contro il 5% negli anni '40. Si calcola che ormai ve ne siano tra i 6 e 15 milioni.

Anonymous said...

maaaaaah io ho letto la cifra sul NY Times credo controllino le loro fonti.
C'era un bel servizio sulle diverse componenti etniche della Cina.
Cerco i tuoi dati ma sono abbastanza sicuro dei miei.

Carlo