Ma ogni dubbio sull'organizzazione italiana del vertice è stato spazzato via prima da Mike Froman, lo "sherpa" americano del G8, che in una conferenza stampa a L'Aquila ha definito «splendido» il lavoro del governo italiano: «Gli italiani hanno definito l'agenda del vertice con largo anticipo ed hanno lavorato in modo metodico per svilupparla». Poi sono arrivate le parole di Obama, al termine dell'incontro con il presidente Giorgio Napolitano al Quirinale: «Il governo italiano ha dimostrato una forte leadership» sui temi del G8, ha riconosciuto.
L'articolo del Guardian inoltre è stato bocciato anche da uno dei suoi autorevoli editorialisti, Bill Emmott, notoriamente non un amico di Berlusconi. Emmott era direttore dell'Economist quando il settimanale pubblicò una copertina in cui definiva Berlusconi "unfit", inadatto a guidare l'Italia, a causa del conflitto d'interessi. L'ipotesi di un'esclusione dell'Italia dal G8 «non esiste», dice oggi a La Stampa. L'Italia è «perfettamente in grado di ospitare il vertice. L'eventuale perdita di credibilità del premier, ammesso che esista, non avrà alcun impatto». «Si capisce che non è un pezzo ben informato... Non è credibile», rincara la dose. Ma secondo Emmott non c'è un «complotto», quanto piuttosto «il tipico atteggiamento della stampa inglese, che tende a considerare tutti gli altri paesi europei come una comica». Il fatto, spiega, è che Berlusconi è «un bersaglio facile», i giornali lo vedono «indebolito dagli scandali» e scorgono «un'opportunità per affondare i colpi». Il problema vero è il G8, secondo Emmott, «un grande evento, seguito da migliaia di giornalisti, che in genere non dà notizie» e quindi ai giornali «non pare vero di avere per le mani uno scandalo a sfondo sessuale che coinvolge l'ospite del vertice».
Cantonate, quindi, non degne della fama di giornali autorevoli come il New York Times e il Guardian, che evidentemente si sono fatti trascinare dentro il "teatrino" della politica italiana seguendo gli attacchi contro Berlusconi alimentati dal gruppo la Repubblica-L'Espresso. Contro questo modo di strumentalizzare persino la politica estera, danneggiando l'immagine e gli interessi non di una parte politica, ma del Paese intero, ha preso posizione oggi il Corriere della Sera, attraverso l'editoriale di apertura di Sergio Romano, che scrive: il G8 «è l'occasione in cui gli italiani hanno interesse a ricordare che nei grandi incontri internazionali il governo, al di là di polemiche e vicende personali, piaccia o no, rappresenta l'intero Paese. Se ne esce a testa alta è una vittoria per tutti, se ne esce male siamo tutti sconfitti».
Nel merito, Romano non crede «che l'Italia, in questo momento, debba vergognarsi della sua politica internazionale». Vede certo «alcune debolezze», per «vecchi errori» e «obiettive condizioni di bilancio», ma «abbiamo sempre avuto, anche quando l'espressione non esisteva, un certo soft power che giova al nostro ruolo internazionale». Dalla Jugoslavia all'Afghanistan e al Libano, il nostro impegno internazionale è apprezzato da tutti. «Facile - osserva Romano - ironizzare sull'Italia che gioca contemporaneamente su molti tavoli e riesce a essere amica di tutti», ma «chiunque abbia occasione di andare in giro per il Mediterraneo e il Medio Oriente si accorge che abbiamo un credito e una simpatia che possono servire sia all'Unione mediterranea di Nicolas Sarkozy, sia alla nuova politica di Barack Obama verso l'Islam». Gli accordi con la Libia, per esempio, «sono utili per tutti, non soltanto per noi».
Per quanto riguarda in particolare Berlusconi e il suo "stile", Romano «ha molti dubbi sulla utilità della personalizzazione delle relazioni internazionali», ma riconosce «che i rapporti di Berlusconi con Putin e con Erdogan, negli anni in cui George W. Bush era poco amato in Russia e in Turchia, sono serviti a tenere aperti i canali di comunicazione e a raffreddare alcuni momenti di tensione». Così la pensa anche Charles Kupchan, professore della Georgetown University e studioso del Council on Foreign Relations, secondo cui lo «stile di vita» di Berlusconi preoccupa poco gli americani, più interessati al ruolo positivo che può svolgere nell'ammorbidire la Russia: «Berlusconi - dice oggi Kupchan a il Riformista - è stato il leader che ha spinto con più forza per mantenere delle relazioni salde e positive con la Russia, soprattutto dopo l'invasione della Georgia l'estate scorsa, che secondo altri era invece l'inizio di una nuova Guerra Fredda. Fa parte della sua convinzione dell'importanza di coinvolgere l'ex Unione Sovietica nella più larga comunità transatlantica. Ed è una politica assolutamente condivisibile».
Come sapete, la penso in modo leggermente diverso sui rapporti Usa-Russia, ma bisogna riconoscere che al momento sia Obama che Medvedev sembrano sinceramente impegnati a migliorare le relazioni, anche se non è ancora chiaro cosa sono pronti a concedere.
L'articolo del Guardian inoltre è stato bocciato anche da uno dei suoi autorevoli editorialisti, Bill Emmott, notoriamente non un amico di Berlusconi. Emmott era direttore dell'Economist quando il settimanale pubblicò una copertina in cui definiva Berlusconi "unfit", inadatto a guidare l'Italia, a causa del conflitto d'interessi. L'ipotesi di un'esclusione dell'Italia dal G8 «non esiste», dice oggi a La Stampa. L'Italia è «perfettamente in grado di ospitare il vertice. L'eventuale perdita di credibilità del premier, ammesso che esista, non avrà alcun impatto». «Si capisce che non è un pezzo ben informato... Non è credibile», rincara la dose. Ma secondo Emmott non c'è un «complotto», quanto piuttosto «il tipico atteggiamento della stampa inglese, che tende a considerare tutti gli altri paesi europei come una comica». Il fatto, spiega, è che Berlusconi è «un bersaglio facile», i giornali lo vedono «indebolito dagli scandali» e scorgono «un'opportunità per affondare i colpi». Il problema vero è il G8, secondo Emmott, «un grande evento, seguito da migliaia di giornalisti, che in genere non dà notizie» e quindi ai giornali «non pare vero di avere per le mani uno scandalo a sfondo sessuale che coinvolge l'ospite del vertice».
Cantonate, quindi, non degne della fama di giornali autorevoli come il New York Times e il Guardian, che evidentemente si sono fatti trascinare dentro il "teatrino" della politica italiana seguendo gli attacchi contro Berlusconi alimentati dal gruppo la Repubblica-L'Espresso. Contro questo modo di strumentalizzare persino la politica estera, danneggiando l'immagine e gli interessi non di una parte politica, ma del Paese intero, ha preso posizione oggi il Corriere della Sera, attraverso l'editoriale di apertura di Sergio Romano, che scrive: il G8 «è l'occasione in cui gli italiani hanno interesse a ricordare che nei grandi incontri internazionali il governo, al di là di polemiche e vicende personali, piaccia o no, rappresenta l'intero Paese. Se ne esce a testa alta è una vittoria per tutti, se ne esce male siamo tutti sconfitti».
Nel merito, Romano non crede «che l'Italia, in questo momento, debba vergognarsi della sua politica internazionale». Vede certo «alcune debolezze», per «vecchi errori» e «obiettive condizioni di bilancio», ma «abbiamo sempre avuto, anche quando l'espressione non esisteva, un certo soft power che giova al nostro ruolo internazionale». Dalla Jugoslavia all'Afghanistan e al Libano, il nostro impegno internazionale è apprezzato da tutti. «Facile - osserva Romano - ironizzare sull'Italia che gioca contemporaneamente su molti tavoli e riesce a essere amica di tutti», ma «chiunque abbia occasione di andare in giro per il Mediterraneo e il Medio Oriente si accorge che abbiamo un credito e una simpatia che possono servire sia all'Unione mediterranea di Nicolas Sarkozy, sia alla nuova politica di Barack Obama verso l'Islam». Gli accordi con la Libia, per esempio, «sono utili per tutti, non soltanto per noi».
Per quanto riguarda in particolare Berlusconi e il suo "stile", Romano «ha molti dubbi sulla utilità della personalizzazione delle relazioni internazionali», ma riconosce «che i rapporti di Berlusconi con Putin e con Erdogan, negli anni in cui George W. Bush era poco amato in Russia e in Turchia, sono serviti a tenere aperti i canali di comunicazione e a raffreddare alcuni momenti di tensione». Così la pensa anche Charles Kupchan, professore della Georgetown University e studioso del Council on Foreign Relations, secondo cui lo «stile di vita» di Berlusconi preoccupa poco gli americani, più interessati al ruolo positivo che può svolgere nell'ammorbidire la Russia: «Berlusconi - dice oggi Kupchan a il Riformista - è stato il leader che ha spinto con più forza per mantenere delle relazioni salde e positive con la Russia, soprattutto dopo l'invasione della Georgia l'estate scorsa, che secondo altri era invece l'inizio di una nuova Guerra Fredda. Fa parte della sua convinzione dell'importanza di coinvolgere l'ex Unione Sovietica nella più larga comunità transatlantica. Ed è una politica assolutamente condivisibile».
Come sapete, la penso in modo leggermente diverso sui rapporti Usa-Russia, ma bisogna riconoscere che al momento sia Obama che Medvedev sembrano sinceramente impegnati a migliorare le relazioni, anche se non è ancora chiaro cosa sono pronti a concedere.
1 comment:
al di la delle parole di circostanza non poteva essere peggio...
http://nuovalibertalia.blogspot.com/2009/07/obama-smerdacchia-berlusconi-ma-i.html
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