Con un po' di ritardo è uscito anche questa settimana LibMagazine (siamo al n° 9), tutto da divorare. In questo numero il mio contributo è sul concetto di laicità, per mettere a fuoco alcune questioni anche in risposta all'editoriale di Ciuffoletti, della scorsa settimana.
Nell'editoriale "La laicità come metodo" (LibMagazine VIII, 30 ottobre), Tommaso Ciuffoletti a mio avviso svuota di significato il concetto di laicità. Certamente la laicità non è un insieme di temi, ma riguarda tutti i temi, e in questo senso può definirsi un metodo. Tuttavia, non - o non solo - un metodo di confronto, di tolleranza, di apertura al dialogo. Tutti siamo per un confronto non dogmatico, aperto, tollerante, eccetera. Ma che c'entra? In questo modo il concetto di laicità verrebbe a coincidere con un generico invito alla tolleranza e allo spirito critico, un sinonimo di democrazia e libertà d'espressione. Certo, questi principi sono impliciti nel concetto di laicità, ne fanno parte, sono presupposti necessari ma non sufficienti, ma la sua essenza è altro.
L'essenza della laicità non è neanche nella contrapposizione alla religiosità, qualsiasi sia la sua forma confessionale. La laicità è una concezione non autoritaria e non etica del diritto, un metodo che respinge qualsiasi pretesa di dare un fondamento etico o uno scopo educativo alla legge, provengano esse dalla Chiesa, dai partiti, o da qualsiasi normale cittadino che intenda trasferire la sua etica "buona" in leggi per tutti. Con pretese etiche, o eticiste, mi verrebbe da dire, non c'è compromesso che tenga e che non svilisca il senso della laicità. Il processo deliberativo democratico che porta alla produzione delle regole della nostra convivenza dovrebbe rimanere off-limits per schemi morali e ideologici che tocchino, limitandole, le libertà individuali, qualunque sia la loro origine.
Tempo fa Giuliano Amato sottolineò l'esigenza di un "aggiornamento della nozione stessa di laicità". Eppure il Novecento, con le sue tragedie, ha già prodotto l'aggiornamento della nozione ottocentesca di laicità. La nostra laicità è già "nuova". I laici sono già dotati di nuovi strumenti.
Proprio il secolo delle ideologie da cui siamo usciti ci ha insegnato che la laicità, quella "nuova", non si contrappone alla religione così, per gusto, per vezzo anti-religioso, bensì a qualsiasi pretesa, confessionale o ideologica, di monopolizzare l'etica pubblica, negando pari dignità morale ad altre visioni etiche della vita. Non vuol dire indifferenza a principi e valori, ma rinunciare all'uso autoritario del diritto, individuare i suoi limiti e la dimensione propria dell'etica. L'Italia fascista, o l'Iraq di Saddam Hussein, erano forse stati laici? Facendo riferimento a una nozione ottocentesca della laicità potremmo rispondere "sì", in quanto il loro potere legale non si fondava su una confessione religiosa. Ma l'esperienza dei totalitarismi del secolo scorso ci ha insegnato che è davvero laico solo lo Stato che non assuma per legge alcuna visione etica, neanche su temi come la famiglia, il sesso, o la scienza; e in generale non attribuisca alle leggi, al diritto positivo, alcuna funzione "educativa".
Dunque, che le leggi dello Stato sposino una visione morale o ideologica (che sia essa di ispirazione religiosa, razionalistica, o frutto dell'incontro tra fides e ratio, non fa alcuna differenza) rimane inaccettabile e incompatibile con il principio di laicità. Il che non equivale a negare che i legislatori presi singolarmente agiscano ciascuno con la propria morale. Ciò è persino ovvio. Il fatto che a trovarsi spesso concordi con alcune posizioni della Chiesa siano i cosiddetti "atei devoti", o alcuni conservatori "non credenti", non significa che quelle posizioni non si trovino in contrasto con il principio di laicità. Essi stanno in realtà dissimulando una concezione etica del diritto, facendo passare per razionale o naturale, "laico" nel senso di "non confessionale", ciò che corrisponde a una dottrina religiosa, storicamente e culturalmente condizionata.
Popperianamente parlando, quindi, non facciamo del relativismo sul concetto di laicità. Essa ha un contenuto, non è solo forma, ovvero la sua forma è contenuto. E prende forma nella libertà, nella supremazia della ragione, nella democrazia, nell'individuo quale elemento centrale ed insostituibile del mondo in cui viviamo. "Su se stesso, sul proprio corpo e sulla propria mente, l'individuo è sovrano" (John Stuart Mill).
2 comments:
sul fatto che non sono giuste leggi educative sono daccordo, sulla questione delle leggi etiche invece non ti seguo, le leggi servono a normare i comportamenti umani sono etiche per forza di cose, nel senso che sono generate da un sistema di valori che chiamiamo "etica".
delle leggi che non sono etiche sono letteralmente leggi "ingiuste", o inique.
o si ha uno stato etico o si ha uno stato ingiusto, quindi quella che proponi te non assenza di etica delle leggi, ma solo un'etica altra rispetto a quella che ispira le leggi sulle quali non sei daccordo.
A questo proposito c'era anche un post di nullo:
http://nullo.ilcannocchiale.it/?id_blogdoc=1209202
che invece non è daccordo neanche sull'educazione.
le concezioni etiche del diritto sono dissimulate dai più e dai tempi che furono.
nihil sub sole novi, dunque. neanche la polemica sulla chiesa ed i suoi accoliti, ferventi seguaci o parvenue dell'ultima ora che siano, è cosa nuova...è un dejavù stantio e sterile.
il guaio è che tutta la dottrina del pluralismo è fondata su un equivoco, su quello che etica ( o morale ) e diritto possano convivere e riconoscersi l'un l'altro anzi, l'uno nell'altro, in un ordinamento positivo. e questo solo perché nel diritto stesso, si annidano le radici profonde dell'esperienza dell'uomo, come animale sociale e politico...questo è quanto, dunque, ma è chiaro a tutti che gli effetti di questa verità sono nocivi se branditi a mò di inganno, come fumo negli occhi.
a mio avviso, quando l'improvvida commistione di prima si materializza ( specie se col vezzo dell'inganno )...è la fine del diritto, il suo capolinea...the end...ed il rischio che ciò accada è sempre attuale poiché un concetto aperto come è quello del pluralismo-ordinamento ( ovvero ordinamento pluralista, per intenderci ), presta il fianco senza indugio ad abusive "infiltrazioni" di stampo etico-morale.
che io aborro.
accettando e riconoscendo queste infiltrazioni malevole, la nozione di ordinamento positivo rischia di essere applicata anche a quelle realtà che si muovono nell'ambito del diritto statuale col solo scopo di sovvertirlo ovvero che nello stato ( e contro di esso ), creano un loro "ordinamento" alternativo. nel primo caso portato come esempio, mi riferisco tranquillamente alla rivoluzione; nel secondo, alle società criminali che, come noi italiani ben sappiamo, trovano la loro ragion d'essere - se non legittimità -, nell'esperienza giuridica dello stato in cui operano...
che esista questo inganno, da cui nasce e poi anche si nutre questa commistione, non lo dico solo io che sono un rozzo bipede antropomorfo; se ne era accorto anche il de cuius moravia a., che a proposito di commistioni tra etica e diritto, con implicazioni nell'ambito della società criminale, in una sua prefazione ad un libro di turkus e feder, firmò una feroce pagina che spiegava - da sola -, tutto. moravia, infatti, analizzava la somiglianza del sindacato assassini con i trust e lo faceva partendo proprio dalla constatazione che il sindacato era una organizzazione, parimenti alla seconda, unificata, centralizzata, variamente articolata e ben capillare quanto alla sua diffusione sul territorio. praticamente uno stato che agiva per conto suo dentro lo stato, una industria nell'industria...
se le cose stanno così, è vero che tale commistione può riguardare anche la chiesa, specie se intesa come organizzazione che avversa lo stato cd "laico"; ed è così anzi, alla luce di quanto ho postato in merito, direi che non potrebbe essere altrimenti. perché non la chiesa, dunque? nel suo caso, infatti, stiamo parlando di una "organizzazione" che muove da un pathos originariamente cristiano, secolarizzatosi nei tempi, nel diritto positivo.
non a caso, la dottrina sociale della chiesa è stata distorta da tutti, dai preti medesimi ai politici...andatelo a chiede a qualche residuato bellico di stampo vetero-post-neo-ex-comunista, magari allo stesso pio napolitano, che di sicuro se ne intende; i rossi e i dicciisti, sull'equivoco dottrina sociale della chiesa-stato sociale...ci hanno costruito moltitudini di carriere...
qui sì che l'individuo ha prevalso!!!
tutto già visto...
ciao.
io ero tzunami...
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