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Tuesday, November 23, 2010

I frutti avvelenati dell'appeasement

Myanmar, Corea del Nord, Iran. Tre regimi sanguinari e disumani per i popoli che opprimono, pericolosi per gli altri; tre insuccessi dell'Occidente e in particolare della strategia obamiana della "mano tesa" (o, piuttosto, del "porgere l'altra guancia"), ma anche di una certa realpolitik convinta che si possa escludere dall'analisi il fattore natura del regime.
COREA DEL NORD - Partiamo dall'ultimo e più allarmante sviluppo in ordine di tempo. Questa mattina la Corea del Nord ha attaccato la Corea del Sud colpendo con l'artiglieria l'isola di Yeonpyeong, in quello che rappresenta forse il più grave incidente dalla guerra degli anni '50.

Ma non va dimenticato che un paio di settimane fa la Corea del Nord ha rivelato l'esistenza di un nuovo grande impianto per l'arricchimento dell'uranio costruito rapidamente e in totale segretezza. Una sfida esplicita alla politica anti-proliferazione della Casa Bianca e un nuovo rilancio nel gioco di estorsioni in cui ormai sono campioni i nordcoreani. Lo scienziato Usa cui è stata mostrata, è rimasto basito dalla modernità tecnologica della centrale e ha parlato di migliaia di centrifughe. La scoperta è particolarmente inquietante, perché se l'impianto è stato tirato su in un anno e mezzo (fino all'aprile del 2009 non esisteva), è probabile che ad aiutare i nordcoreani sia stata una mano straniera, in violazione delle sanzioni Onu e in barba ai controlli internazionali.

Sono i risultati della politica di dialogo e di appeasement. Per tornare a sedersi al tavolo dei negoziati a sei, il regime di Pyongyang alza la posta, chiede nuovi e ulteriori benefit, in una rincorsa di ricatti che non avrà mai fine, mentre gli Usa, la Corea del Sud e il Giappone, coinvolgendo Cina e Russia, avrebbero la forza per una grande operazione di libertà per milioni di vite tenute prigioniere in un medioevo di fame e miseria. E' evidente ormai che Pyongyang non mira solo a estorcere soldi e benefit, ma anche ad essere riconosciuta come potenza nucleare (possiede tra le 8 e le 12 testate), e a tenere in ansia l'Occidente con l'implicita minaccia di cedere una delle sue bombe ad al Qaeda o all'Iran.

L'aggressione militare di oggi fa temere un cambio di passo. Si mette alla prova la risolutezza degli Stati Uniti nel difendere i propri alleati in Asia. Una condanna non basta. A questo punto non basta ribadire di essere «completamente impegnati nella difesa del nostro alleato, la Repubblica di Corea, e nel mantenimento della pace e della stabilità regionali». Non basta a dissuadere Pyongyang né a rassicurare i preziosi alleati, da Seul a Taiwan.

MYANMAR - In Myanmar, dopo le recenti elezioni-farsa da cui il regime militare esce rafforzato e le opposizioni democratiche divise, si festeggia la "liberazione" del premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi. Libera per modo di dire, visto che non potrà guidare il suo partito, la Lega Nazionale per la Democrazia, sciolto d'autorità lo scorso settembre, né riorganizzarlo, e visto che la sua sarà piuttosto una libertà vigilata, sottoposta cioè a pesanti restrizioni. Inoltre, va tenuto presente che già altre volte la "Dama" è stata "liberata", vivendo brevi periodi di "libertà". Dopo i primi 7 anni di prigionia fu liberata nel 1995, per tornare in cella nel 2000. Nel 2002 fu rilasciata, ma appena un anno dopo fu di nuovo arrestata e da questa data ebbe inizio il suo secondo lungo periodo di arresti domiciliari, che si sarebbe dovuto concludere nel 2009. Senonché, a pochi giorni dalla scadenza riceve la visita di un misterioso ospite americano e subisce una nuova condanna a tre anni di prigione e lavori forzati, pena poi commutata in altri 18 mesi di arresti domiciliari.

Visti i precedenti, dunque, i festeggiamenti di questi giorni appaiono del tutto fuori luogo. Nulla ci induce a ritenere che anche questa volta non si tratti che di una breve parentesi di libertà vigilata tra due carcerazioni (qui si scommette della durata all'incirca di un anno). Inoltre, dalle elezioni richieste dalla comunità internazionale e dagli Usa in primis, il regime ha di fatto incassato una legittimazione (anche se solo formale), che nessun soggetto esterno, né tanto meno interno, avrà la forza di contestare per un lungo periodo. Tanto che la stessa leader democratica birmana sembra essersi convertita a più miti consigli.

IRAN - Per quanto riguarda l'Iran, Obama non è riuscito non dico a ottenere la rinuncia da parte di Teheran al proprio programma nucleare, ma nemmeno a convincere gli iraniani a intavolare una trattativa seria. Siamo nella fase delle sanzioni. Ne sono state approvate di stringenti dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu, e sanzioni ancora più dure sono state adottate unilateralmente da Stati Uniti e Unione europea. La sensazione, però, è che non sortiranno l'effetto sperato. E le divisioni che anche in queste ore vediamo emergere nell'establishment iraniano, il clima sempre più da resa dei conti interna (il tentato impeachment di Ahmadinejad da parte di alcuni deputati conservatori, fermati solo dall'intervento dell'ayatollah Khamenei, e il mandato d'arresto che pende sul figlio di Rafsanjani) non sono il frutto dell'isolamento internazionale, della stretta morsa di Obama, bensì della resistenza di una parte del regime, anch'essa clericale e conservatrice, alla presa totale del potere da parte di Ahmadinejad e della sua cricca, e alla militarizzazione della Repubblica islamica in corso con il beneplacito di Khamenei. Una faida interna il cui sbocco potrebbe essere tutt'altro che democratico, anche perché nel frattempo l'opposizione popolare, l'"onda verde", è stata stroncata mentre l'Occidente non muoveva un dito.

E' proprio vero, quando l'America è più debole, è distratta, o non è guidata in modo saldo, il mondo si fa rapidamente un posto più pericoloso.

5 comments:

Anonymous said...

Il gatto si lecca le ferite economiche ed i topi ballano

Anonymous said...

I Romani dicevano: SI VIS PACEM PARA BELLUM. Ma si sa le elite liberal sono troppo superiori a tutto...

Cachorro Quente said...

Prima di Bush in Iran c'era un regime sicuramente odioso, ma che aveva teso la mano per l'Iraq e per l'Afghanistan e che sembrava sull'orlo della modernizzazione. Dopo Bush, Ahmadinejad.

Per non parlare dei brillanti successi ottenuti dalla precedente amministrazione americana con la Corea del Nord (che le 8 o 10 testate non le ha ottenute durante un transitorio controllo della Casa Bianca da parte degli hippies, mi pare) e con la Russia.

Lungi da me confondere post hoc con propter hoc, ma perchè questo post acquisti un po' di senso ci dovresti parlare dei successi della politica di "non appeasement". Che se ci sono, sono nascosti molto ma molto bene.

Sulla Birmania poi sinceramente non si capisce il rapporto tra l'amministrazione Obama e le considerazioni che fai. Insomma, tu dici che è rimasto tutto uguale: in che modo questo possa essere un "insuccesso della strategia obamiana della mano tesa" lo sai solo tu.

@ anonimo: "I Romani dicevano: SI VIS PACEM PARA BELLUM. Ma si sa le elite liberal sono troppo superiori a tutto..."

Molto produttivo ragionare per stereotipi; come le persone di sinistra che sono convinte che Kennedy era un presidente pacifista, o le persone di destra convinte che Reagan abbia sconfitto l'URSS con il pugno di ferro (in realtà è stato uno dei presidenti americani più restii all'impegno militare diretto).

JimMomo said...

Non c'è stata una politica di "non appeasement". Nei tre casi citati - Myanmar, Corea del Nord, Iran - la politica della precedente amministrazione non è certo stata incisiva, è stata anzitutto titubante, tra un approccio duro e uno dialogante. Obama è riuscito a far peggio e via via dalla mano gli stanno prendendo il braccio.

Cachorro Quente said...

"è stata anzitutto titubante, tra un approccio duro e uno dialogante"

Questa è una cosa molto più sensata. Per quel che ne capisco io, in particolar modo questo approccio è fallimentare con l'Iran: messaggi contrastanti che mettono in difficoltà l'opposizione e favoriscono il regime. Non credo che, da questo punto di vista, Bush e Obama differiscano poi molto; resta il fatto che i peggiori sviluppi del problema Iran si sono avuti durante la precedente amministrazione e nel tuo post non porti nessun esempio di come il nuovo presidente sia riuscito a far peggio.
Non certo peggio, comunque, del regalo che Bush ha fatto al regime iraniano occupando l'Iraq.