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Tuesday, November 30, 2010

La migliore (o la meno peggio) riforma possibile

I punti forti e quelli deboli della riforma Gelmini sono indicati con precisione, oggi sul Corriere della Sera, da Francesco Giavazzi, che coglie anche il nodo politico della situazione: «La realtà è che la legge Gelmini è il meglio che oggi si possa ottenere data la cultura della nostra classe politica». Perché? Perché tutte le critiche e le opposizioni alla riforma, sia nel Palazzo che nella piazza, sono nel senso della conservazione dell'esistente e non di un'ulteriore e più radicale spinta riformatrice. Nessuno, limitandoci ai tre appunti mossi da Giavazzi, si lamenta perché la riforma non abolisce il valore legale dei titoli di studio, o non fa cadere il vincolo che impedisce alle università di determinare liberamente le proprie rette, o perché non separa medicina dalle altre facoltà. E sbaglia Giavazzi a ritenere che il Partito radicale di oggi sosterrebbe queste tre proposte, quando alla fine dei conti i 6 deputati radicali voteranno esattamente come hanno già votato i 3 senatori, cioè contro la migliore (o la meno peggio) riforma possibile. «Il risultato, nonostante tutto, non è poca cosa», riconosce infatti Giavazzi:
«La legge abolisce i concorsi, prima fonte di corruzione delle nostre università. Crea una nuova figura di giovani docenti "in prova per sei anni", e confermati professori solo se in quegli anni raggiungano risultati positivi nell'insegnamento e nella ricerca. Chi grida allo scandalo sostenendo che questo significa accentuare la "precarizzazione" dell'università dimostra di non conoscere come funzionano le università nel resto del mondo. Peggio: pone una pietra tombale sul futuro di molti giovani, il cui posto potrebbe essere occupato per quarant'anni da una persona che si è dimostrata inadatta alla ricerca... innova la governance delle università: limita l'autoreferenzialità dei professori prevedendo la presenza di non accademici nei consigli di amministrazione... per la prima volta prevede che i fondi pubblici alle università siano modulati in funzione dei risultati».
E infine, neanche le rimostranze sui tagli hanno più senso ormai: «I fondi sono 7,2 miliardi nel 2010, 6,9 nel 2011, gli stessi di tre anni fa». Un dibattito comunque fuorviante, quello sulle risorse, perché possono essere troppe o troppo poche, ma si tratta di una riforma per lo più ordinamentale e di governance, quindi utile a spendere meglio quello che c'è.

Oltre ai tre appunti condivisibili di Giavazzi, da un punto di vista liberale la riforma è criticabile perché troppo timida. Va tenuto presente, però, come fa Giavazzi, che né nella nostra classe politica, e tanto meno nelle piazze, c'è chi assuma questo punto di vista. Altro che privatizzazione e smantellamento dell'università pubblica... Pur cercando di introdurre elementi di merito e di valutazione dei risultati nell'assegnazione dei fondi, e di responsabilità nella gestione dei bilanci (prevedendo pesanti sanzioni in caso di disavanzo), essenzialmente la riforma non tocca le "strutture", non riconosce il mercato come unico vero giudice di meriti e demeriti individuali e collettivi: non vengono spostate risorse rilevanti dal fondo ordinario verso la disponibilità degli utenti; non vengono alzati i tetti delle rette universitarie; non viene modificato lo status delle università come enti 100% statali (seppure si apre alla sperimentazione di «modelli organizzativi diversi», come le fondazioni), né quello del personale docente e non docente come dipendente pubblico.

Sarebbe urgente, invece, attrarre cospicui investimenti privati - gli unici che nel mondo di oggi possono davvero fare la differenza - ma per far questo andrebbe introdotto un sistema di incentivi serio per le donazioni, andrebbero "aperti" i consigli di amministrazione, ma i privati che investono o donano dovrebbero essere messi nella condizione di intervenire sull'offerta sia didattica che scientifica, e di controllare davvero come vengono spese le risorse. Ecco perché, allo stato attuale, pur essendoci la possibilità teorica, nessun privato butta soldi nel calderone pubblico. In poche parole, la riforma Gelmini è un valido tentativo di far funzionare meglio il baraccone statale, mentre andrebbe smantellato almeno nelle strutture che conosciamo oggi.

2 comments:

Anonymous said...

Giavazzi dice cose inesatte. Strano per lui. Evidentemente questa riforma nasce proprio sotto una cattiva stella.

1) La legge non abolisce i concorsi. Cambia la regole. Sai che novita', le cambiano ogni cinque/dieci anni. La legge Moratti 2005 (epocale pure quella, si come no) non ha insegnato nulla?

2) Il posto da professore in prova dovrebbe ispirarsi alla "tenure track" di tradizione anglosassone. Bene. Ma senza accantonamento di fondi per l'eventuale stabilizzazione alla fine del periodo di prova e' semplicemente un contratto di 6 anni, non e' una tenure track. Basta chiedere ad un giovane ricercatore straniero se in questa totale assenza di garanzie verrebbe in italia con questo tipo di contratti.

3) La porzione di finanziamenti legata al merito e' ridicola, cosa ormai riconosciuta anche dai sostenitori della legge.

P.

Anonymous said...

MA SE SONO, tutte cose positive , anche se blande ....cosa si lagnano a fare gli studenti ?
.
a si .....gli studenti ....stanno A CASA A STUDIARE ....quelli visti in Tv sono i soliti centri sociali ed i soliti TEPPISTI che la sinistra sa mobilitare ....pagando i service....ad ogni boiata.